sabato 31 ottobre 2015

Vedo-non vedo: alle origini della coscienza.

Una conversazione con Silvia Savazzi.


Vedere ci serve per riconoscere e dare un significato agli oggetti e per localizzarli e usarli nelle nostre azioni. Fino a qualche anno fa si riteneva che la percezione visiva per il riconoscimento – mediata dalla via ventrale occipito-temporale del nostro cervello – richiedesse la consapevolezza e che la percezione per l'azione – mediata dalla via dorsale occipito-parietale – avvenisse al di fuori della consapevolezza.

Milner e Goodale 1995


La percezione per il riconoscimento ci serve ad esempio a distinguere la moneta per prendere il caffè alla macchinetta – ci fermiamo un attimo, lasciamo da parte quella bicolore -, mentre la percezione per l'azione ci serve ad inserire correttamente la moneta nella fessura, adattando senza esitazioni la posizione e la traiettoria di movimento del braccio e della mano – rapidamente e senza farci caso.

Sono da un lato gli studi sperimentali e dall'altro gli studi di casi clinici con lesioni selettive lungo una delle vie visive a permettere di analizzare l'affascinante dissociazione tra la visione e la consapevolezza.

Nell'ultimo anno, nuove ricerche hanno aperto nuovi scenari, dimostrando che la distinzione tra le due vie visive sulla base della consapevolezza potrebbe non essere così definita.
Diventa quindi cruciale stabilire 'dove' ha origine la coscienza per comprendere meglio come il nostro cervello elabora gli stimoli visivi provenienti dall'ambiente.

Ne ho parlato con Silvia Savazzi, Professore associato al Dipartimento di Scienze Neurologiche Biomediche e del Movimento dell'Università di Verona. Era tra le tre valorose donne (assieme ad Anna Berti e a Gabriella Bottini) presenti alla giornata in onore di Giovanni Berlucchi, tenutasi a Verona lo scorso 22 settembre, nella quale sono state presentate le ricerche più recenti sulla fenomenologia e neurologia della coscienza.
All'interno del PandA Lab, assieme ai suoi collaboratori, Savazzi si propone l'ambizioso progetto di studiare “come, quando e dove” origina nel nostro cervello la percezione cosciente.

Con molta generosità e disponibilità ha accettato di rispondere ad alcune domande e nel delizioso scambio di mail a un certo punto ha inserito anche la visione utropica - “è una libera traduzione di utrocular discrimination” - intendendo che nell'area visiva primaria (V1) “ci sono neuroni che rispondono solo alle informazioni provenienti da un occhio e non dall’altro ma noi non ne siamo consapevoli”, in determinate condizioni.


- Qualche mese fa su Neuropsychologia è stato pubblicato l'articolo che descrive gli studi che hai condotto con Chiara Bagattini e Chiara Mazzi (2015) sulla localizzazione della consapevolezza nelle vie visive. Un lavoro iniziato con Chiara Mazzi e Francesca Mancini (2014). Dove avete trovato la coscienza della percezione visiva?
Certo che come prima domanda ci vai giù duro! Avessi questa risposta dovrei imparare a dire “Grazie per il premio” in svedese. Scherzi a parte, quello che ci dicono i nostri dati è che l’attività dei neuroni che si trovano nel solco intra-parietale può generare consapevolezza visiva. Per dirlo in un modo molto di moda in questo periodo, il solco intra-parietale sarebbe quindi uno dei nodi all’interno della rete di aree che concorrono alla generazione della consapevolezza. Ovviamente questo non è l’unico luogo nel nostro cervello dove l’attività neurale correla con la consapevolezza, ma prima dei nostri esperimenti si pensava (e credo molti continuino a pensarlo) che l’area che abbiamo studiato non lo potesse fare.

- Il processo di revisione dei due articoli è stato lungo? Li avete sottoposti ad altre riviste scientifiche prima di Neuropsychologia?
Ti rispondo così. La fase di pubblicazione del primo lavoro è durata così tanto che due delle persone coinvolte (Francesca Mancini e Chiara Mazzi) hanno avuto tutto il tempo di avere tre figli. Un gestazione lunghissima, quella dell’articolo intendo. Il processo di revisione del primo lavoro è stato veramente complicato (col secondo è stato più veloce ma siamo sempre nell’ordine dell’anno). Il primo lavoro è stato pubblicato dopo cinque rifiuti da parte di altre riviste scientifiche e anche con la sottomissione a Neuropsychologia ci hanno dato del filo da torcere. Credo che la motivazione principale stesse nel fatto che i nostri dati non erano facilmente interpretabili secondo un paio di teorie scientifiche ben consolidate (il modello di Milner e Goodale e quello di Lamme) e, giustamente, prima di accettare gli articoli ci hanno fatto le pulci.

- Nell'ultimo studio alla domanda 'dove' si sviluppa l'esperienza cosciente, avete aggiunto la domanda 'quando': perché è cruciale conoscere la dinamica della percezione visiva e con quali procedure sperimentali avete risposto a ciascuna delle due?
Ad entrambe le domande abbiamo cercato di rispondere generando consapevolezza visiva in soggetti sani e pazienti con deficit di campo visivo grazie all’uso della stimolazione magnetica transcranica (TMS) e misurando le risposte neurali che correlavano con essa grazie all’uso dell’elettroencefalografia (EEG). Io credo che sia importante anche definire il quando dell’esperienza cosciente perché conoscere le dinamiche temporali di un fenomeno come la consapevolezza visiva è essenziale per capire, sempre nella metafora dei nodi della rete, quali aree abbiamo il primato di innescare il processo che ha come risultante l’esperienza cosciente. Capire in quali aree (il dove) del cervello l’attività neuronale correla con la presenza o l’assenza di esperienza cosciente è importante per capire quali siano i nodi della rete. Capire cosa succede prima e cosa dopo (il quando) ha il potere di dirci l’attività di quale area causa l’attività in alte aree, dandoci quindi non solo l’informazione su quali nodi della rete siano importanti per l’esperienza cosciente ma anche di capire i rapporti di causa-effetto che ci sono tra questi nodi.

- I risultati – esposti con pacatezza e quasi cautela – rivoluzionano una delle conoscenze ritenute acquisite fino a qualche mese fa: la percezione cosciente si verifica lungo la via ventrale che ci permette di riconoscere le cose nel loro significato mentre la trasformazione delle informazioni visive in azioni che avviene lungo la via dorsale è al di fuori della coscienza. La vostra scoperta che implicazioni ha per le teorie della percezione visiva?
I nostri dati sono controversi, la pacatezza e la cautela sono d’obbligo. Per quanto riguarda la via ventrale direi che tutto rimane invariato. Quello che dicono i nostri dati è che anche la via dorsale può avere accesso alla coscienza. Credo però che il modello delle due vie rimanga sempre valido, con una suddivisione del lavoro tra le due vie che dipende da cosa ci dobbiamo fare con le informazioni che riceviamo. Quello che possiamo dire è che anche nel controllo delle azioni “on-line”, ossia il principale lavoro della via dorsale, ci possa essere accesso alla consapevolezza. Quello che secondo me sarà interessante per il futuro è capire di che tipo di consapevolezza stiamo parlando per la via dorsale. Sospetto di un tipo diverso, forse più rudimentale, di quella generata nella via ventrale.

- Come hanno reagito Milner e Goodale [autori dell'articolo di riferimento del 1992]?
Di reazioni da parte di Milner non ho notizia, ma vista la posizione espressa nel suo articolo del 2012, nel quale alla domanda del titolo “Is visual processing in the dorsal stream accessible to consciousness?” [Milner 2012] risponde di no, sospetto che non sarebbe d’accordo con quanto diciamo noi. Ho invece parlato con Goodale il quale mi è sembrato molto più possibilista nell’accettare che anche la via dorsale possa avere accesso alla consapevolezza.

- Alla giornata dedicata a Berlucchi, Vallar ha proposto una spiegazione alternativa, riferendosi a un'iniziale ipotesi di Rizzolatti (Rizzolatti e Matelli, 2003): esiste una terza via ventrale-dorsale nel sistema visivo?
Io non penso che sia una spiegazione alternativa ma sì, esiste una terza via. Per dirla meglio, secondo Rizzolatti e collaboratori, la via dorsale sarebbe costituita da due vie, una dorso-dorsale e una ventro-dorsale (il primo lavoro che mi viene in mente come riferimento è quello di Rizzolatti e Matelli del 2003 ma ce ne sono molti altri). La via dorso-dorsale è la via classica descritta dal modello di Milner e Goodale, che servirebbe per la trasduzione visuo-motoria delle informazioni visive in azioni e sarebbe inconsapevole. La via ventro-dorsale invece sarebbe sempre coinvolta nelle azioni ma con un ruolo cruciale anche nella percezione dello spazio, e darebbe quindi ragione del fenomeno del neglect (che, come sai, è l’altra metà del mio cuore scientifico), e sarebbe una via consapevole. La proposta di Vallar faceva riferimento a quest’ultima via e si chiedeva se noi non stessimo stimolando la via ventro-dorsale, e quindi nessuna sorpresa che trovassimo consapevolezza, e non la via dorso-dorsale. Rispondere a questa obiezione (una delle tante fatteci dai revisori) sarebbe lungo qui, ma nei nostri articoli ci sono diverse pagine in cui diciamo perché rimaniamo convinte che quella da noi stimolata fosse la via dorso-dorsale.

- Se V1 non è necessaria per la coscienza, ha un ruolo cruciale nella percezione visiva?
Direi proprio di sì. Come tutti sappiamo, un danno alla V1 causa un deficit visivo e il paziente non è più consapevole di una parte del suo mondo visivo. Rimango quindi convinta che la V1 abbia un ruolo cruciale nella visione consapevole normale. Questo però non significa che sia un correlato neurale della consapevolezza. Altri meglio di me hanno spiegato perché la V1 non può essere parte del network che genera consapevolezza, mostrando come l’attività in V1 non correli con la consapevolezza (un esempio tra tanti sono le microsaccadi, piccolissimi movimenti che il nostro occhio fa continuamente, che modificano l’attività dei singoli neuroni in V1 ma non alterano la nostra esperienza cosciente). Il ruolo cruciale di V1 nella visione consapevole per me sta nella posizione che occupa lungo le vie visive e per le caratteristiche dei suo neuroni ma la consapevolezza è generata altrove. Quando c’è un danno in V1, tutte le aree che ricevono afferenze da V1 sono influenzate dal danno e modificano la loro attività. Secondo me, quando pensiamo al danno in V1 che causa deficit di campo visivo, dovremo tener conto dell’impatto del danno (in termini di attività neurale) non solo nell’area danneggiata ma in tutte le aree visive che ricevevano, e dopo il danno non ricevono più, informazioni da V1.

- Lo studio dei pazienti con deficit di campo visivo causati da lesioni della corteccia visiva è fondamentale per comprendere il ruolo di V1 nella consapevolezza. Tali soggetti forniscono l'affascinante opportunità di studiare la coscienza molto da vicino: a quel livello in cui si ha la percezione visiva ma non si arriva all'esperienza soggettiva. Quali sono le procedure per rilevare la presenza di visione cieca?
Le procedure sono moltissime. In generale le si possono distinguere in due grandi gruppi: i metodi diretti e i metodi indiretti. I primi consistono nel chiedere al paziente di fornire una risposta sulla caratteristica di uno stimolo presentato nel campo cieco (esempio, dire se uno stimolo è fermo o in movimento, indicare col dito o spostare gli occhi sulla posizione dello stimolo, ecc). I secondi invece si basano sul potere dello stimolo non percepito consapevolmente di influenzare la risposta del paziente ad uno stimolo percepito (es. la velocizzazione dei tempi di reazione ad uno stimolo nel campo sano quando un altro stimolo è presentato nel campo cieco). Tutti questi metodi si basano sul report del paziente che ti dice che lo stimolo presentato non viene da loro percepito consapevolmente (in caso contrario non potremo parlare di visione cieca o blindsight). Giusto per farti incuriosire un po’, ti dico che stiamo lavorando proprio sull’idea di quanto affidabili siano i report dei pazienti quando dicono che hanno o non hanno visto uno stimolo e ci siamo chiesti se un fenomeno così complesso come la consapevolezza visiva sia davvero misurabile con una scala tutto-o-nulla (vedo/non vedo) come quella usata fino ad ora. I risultati che stiamo trovando, in studi comportamentali con pazienti emianopsici e in soggetti sani con l’EEG, sono davvero intriganti e ci fanno pensare che il modo in cui misuriamo la presenza o meno di consapevolezza dovrebbe tener conto della qualità dell’esperienza visiva e non essere quindi una misura tutto-o-nulla.

- Puoi descrivere il tuo laboratorio e gli strumenti di lavoro?
Devo dire che sono piuttosto fortunata; nel mio laboratorio, dove adesso lavorano tre dottorandi e un’assegnista di ricerca, abbiamo a disposizione molto spazio per i laboratori e diverse attrezzature. Oltre a diversi laboratori per studi puramente comportamentali dove si fanno esperimenti al computer e testing neuropsicologico, abbiamo a disposizione una TMS e un sistema EEG. La cosa però che adoro maggiormente è che i nostri laboratori sono bellissimi, con pareti nere opache, e che la gente che ci vive dentro (per gli esperimenti che facciamo, durano sempre un’eternità, è proprio il caso di dirlo) è stupenda. Come ho detto all’inizio, sono fortunata.

- Quanti fondi di ricerca hai a disposizione ogni anno?
Questa è la battuta di fine intervista vero? Purtroppo gli unici fondi di cui dispongo sono quelli derivanti dal FUR (fondo unico per la ricerca) che ci viene dato dall’Ateneo. Per fortuna il mio Ateneo (e a cascata il mio Dipartimento, che ha fatto un grandissimo lavoro su questo) ha adottato un regolamento di suddivisione dei fondi che tiene conto della produttività dei ricercatori. Con questi fondi quindi riesco ogni anno a pagare un assegno di ricerca, andare in giro (poco) per congressi e a comprare un po’ di attrezzatura per i laboratori. Di questi tempi non mi posso proprio lamentare.


Bagattini C, Mazzi C, Savazzi S. (2015). Waves of awareness for occipital and parietal phosphenes perception. Neuropsychologia, 70: 114-125.

Goodale MA e Milner AD. (1992). Separate visual pathways for perception and action. Trends in Neurosciences, 15, 20–25.

Milner AD. Is visual processing in the dorsal stream accessible to consciousness? Proc Biol Sci. 2012 Jun 22;279(1737):2289-98.

Rizzolatti G, Matelli M. Two different streams form the dorsal visual system: anatomy and functions. Exp Brain Res. 2003 Nov;153(2):146-57. Epub 2003 Aug 28. Review.

Mazzi C, Mancini F, Savazzi S. (2014). Can IPS reach visual awareness without V1? Evidence from TMS in healthy subjects and hemianopic patients. Neuropsychologia, 64:134-144.


Nessun commento:

Posta un commento