venerdì 9 agosto 2019

Pari opportunità in fisica ma un’analisi non basta




Il Comitato pari opportunità della Società Italiana di Fisica ha prodotto unAnalisi di genere del profilo dei laureati in Fisica italiani della quale ha scritto Giulia Fabriani su Le Scienze.



A una prima lettura ho pensato che il quadro fosse desolante, come si può leggere da questi estratti:


"Il 65 per cento degli immatricolati, infatti, sono maschi contro il 35 per cento di femmine, e le proporzioni non cambiano se si guarda al numero di laureati triennali."


"Le studentesse spesso escludono la possibilità di rimanere nel ramo accademico o nella ricerca: l’interesse femminile a proseguire con un dottorato è inferiore a quello maschile (64 per cento contro 73 per cento). Le giovani fisiche preferiscono investire tempo e risorse in scuole di specializzazione o stage aziendali."



Rileggendo con maggiore attenzione, il documento risulta  però incredibilmente deludente.

Cominciamo dal titolo: è quantomeno paradossale che un Comitato pari opportunità - che dovrebbe promuovere inclusione e diversità nel mondo accademico - titoli un documento sui laureati “italiani” e non sui laureati in Italia. Questa scelta riflette, forse non intenzionalmente, l’assenza dal documento di qualsiasi riferimento alla proporzione di cittadini stranieri che studiano fisica in Italia.

Analizzando la serie storica sul sito di AlmaLaurea, inserendo alcuni filtri è possibile sapere che dal 2004 al 2018 (dall’inizio delle rilevazioni e fino allo scorso anno) la percentuale di cittadini stranieri laureatisi in fisica ha oscillato dallo 0.9% del 2013 al 2.5% del 2012, attestandosi a una media dell’1.45%. Sono pochissimi anche rispetto alla media generale del 5.3% di studenti stranieri presenti nelle università italiane, mentre la media europea è dell’8.1%
A quanto pare, meno si vedono e meno se ne parla. 


Nel documento sono commentati i dati descrittivi per i vari temi considerati e le differenze tra i generi superiori al 3% ma non vengono posti termini di confronto, ad esempio rispetto alle medie europee, né vengono effettuate analisi statistiche anche se si fa menzione di differenze significative. Sono anche specificati i campioni di riferimento per ogni tema, ossia il numero di laureati (donne e uomini) che hanno risposto ai questionari e in questi casi, anziché parlare di rappresentatività del campione (che è sempre molto alta), vengono usate delle modulazioni qualitative sulla significatività (non determinata statisticamente): “ampiamente significativo”, “adeguatamente significativo”, “abbastanza significativo”. Dal momento che si tratta di un’Analisi istituzionale per il settore disciplinare di fisica, non avrebbe fatto difetto una terminologia più appropriata.

Nelle sezioni dedicate all’occupazione dei laureati, alle ripartizioni territoriali per le sedi delle aziende mancano i dati del sud e non è dato sapere se sia perché le donne laureate in fisica non trovano lavoro a Sud, rispetto ai dati che invece sono riportati per Nord-est, Nord-ovest, Centro e Isole.


Ho posto alcune di queste questioni alla Professoressa Anna Di Ciaccio, autrice del documento assieme a Chiara La Tessa, Sara Pirrone, Gian Michele Ratto, Paolo Rossi, Silvia Soria, e aggiungerò l’eventuale risposta.


Un altro aspetto critico del documento è la scelta dell’annata 2016 senza motivazioni documentate. Anzi, viene specificato che:

"Malgrado il relativo ritardo rispetto all’anno di indagine è ragionevole considerare che i dati siano abbastanza stabili nel tempo e quindi abbastanza significativi anche in relazione alla situazione presente."


Tuttavia, se con un altro paio di filtri, dal sito di AlmaLaurea andiamo a osservare i dati dei laureati triennali nel 2018, troviamo che, rispetto alle 593/1692 (35%) donne laureate in fisica nel 2016, si passa a 648/2013 (32.2%) nel 2018, con un calo di circa 3 punti percentuale e un lieve calo anche rispetto alla media della serie storica (2004-2018= 33.56%). Pur essendo aumentate (55 in più) le donne laureate nel 2018 rispetto al 2016, restano una minoranza rispetto ai molti più uomini che si sono laureati nel 2018 rispetto al 2016 (321 in più).

Inoltre, nel documento viene riportato che, per il 2016:

"La distribuzione dell’età alla laurea delle donne appare spostata verso l’alto rispetto a quella degli uomini: in particolare nella fascia di chi aveva meno di 23 anni si passa dal 52% degli uomini al 41% delle donne, mentre nella fascia dai 23 ai 24 anni si trova il 28% degli uomini e il 41% delle donne. Questo risultato è confermato dalla distribuzione della durata degli studi, che vede una minor percentuale di donne terminare in corso (−11% rispetto agli uomini) e percentuali più elevate di donne al primo (+7%) e secondo (+3%) anno fuori corso."

Se consideriamo i dati del 2018, troviamo che a un’età inferiore a 23 anni si sono laureati il 59.3% degli uomini e il 51.7% delle donne, che sono il 9.9% in meno le donne che si laureano in corso rispetto agli uomini e il 2% in più al primo anno fuori corso e il 4,6% in più rispetto agli uomini a laurearsi al secondo anno fuori corso.

Se prendiamo i dati di 10 anni fa, quindi del 2009, osserviamo che a meno di 23 anni si sono laureati il 55.7% degli uomini e il 54.9% delle donne, che il 4.7% in meno rispetto agli uomini era in corso, il 5.5% in più di donne si sono laureate al primo anno fuori corso e il 2% in più rispetto agli uomini si sono laureate al secondo anno fuori corso.

L’interpretazione di dati estratti arbitrariamente per un unico anno di laurea, senza considerare la serie storica e altri fattori contestuali può essere quindi molto ipotetica e come ha commentato Sveva Avveduto “si può pensare che ci siano più motivazioni dietro questi risultati”.

Soprattutto, un’analisi di questo tipo non fornisce indicazioni su dove e come agire per incrementare la proporzione di donne che si laureano in fisica. Difatti, nel documento, mancano del tutto le misure e le azioni per l’immediato futuro.

Stando ai dati del documento, come incrementare quel 67.6% di donne che, rispetto all’86.9% di uomini, intende proseguire gli studi con la laurea magistrale biennale (che resta al 69% per le donne e all’88.6% per gli uomini nel 2018, mentre era l’80.8% per le donne e l’83.1% per gli uomini nel 2009)?



Infine, mi soffermo su qualche dato delle lauree magistrali biennali. Nel 2016, secondo l’Analisi del Comitato pari opportunità della Società Italiana di Fisica, le donne erano 272 su 1016 laureati, corrispondenti al 27%.

Nel 2018, si sono laureate alla magistrale biennale in fisica 280/996 donne, corrispondenti al 28%, con un incremento di 8 unità, nonostante i -20 laureati sul numero totale, rispetto al 2016.



Per quanto riguarda le prospettive post-laurea, nel 2016:

“Le donne sembrano molto meno interessate al dottorato di ricerca (64% contro il 73% degli uomini), mentre una frazione significativa (5,8% contro 1,6% degli uomini) pensa a una scuola di specializzazione.”

Dopo due anni, nel 2018, il quadro non è molto cambiato se il 66.9% delle donne e il 72% degli uomini hanno espresso l’intenzione di proseguire con il dottorato di ricerca, mentre il 6.5% delle donne e lo 0.9% degli uomini intendono frequentare una scuola di specializzazione.

Nel 2009 le laureate alla specialistica/magistrale erano 140/437, corrispondenti al 32%, il 58.3% (67.3% per gli uomini) intendeva proseguire gli studi con il dottorato di ricerca e il 3.8% (2.1% per gli uomini) intendeva iscriversi a una scuola di specializzazione.


Le conclusioni del documento sono da prendere con estrema cautela perché da un lato tendono a essere speculative, dall’altro individuano solo nel contesto esterno all’università i fattori determinanti le disparità di genere (il liceo, l’origine socio-economica). Non viene formulata alcuna ipotesi sull’ambiente interno ai corsi di laurea di fisica, su eventuali disparità nelle valutazioni e nelle opportunità di ricerca scientifica, sull’impatto delle diverse proporzioni di donne tra i professori, sulle discriminazioni esplicite (non dimentichiamo Strumia) ed implicite nelle aule universitarie.


Come si supera un’impasse che resta immutata da almeno un decennio?

Servono azioni concrete nell’ambiente universitario se si ha davvero intenzione di dare pari opportunità in fisica alle donne e alle minoranze, allo scopo di garantire quell’ambiente diversificato e inclusivo che avvantaggia la conoscenza e la ricerca scientifica.


Unfortunately, diversity campaigns rarely have any impact, can result in illusions of fairness, and – at their worst – trigger poorer behaviour toward women and other underrepresented groups. There are several reasons for this, one being that the major focus of these campaigns is on individuals rather than systemic change – it’s cheaper to offer diversity training than try to change institutions.

da  Why we need to keep talking about equality in physics  di Jess Wade e Maryam Zaringhalam






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