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domenica 15 marzo 2015

La storia dell'ossicino e della tambina.


La staffa è uno degli ossicini dell'orecchio medio, assieme al martello e all'incudine. Con i suoi 3-4 milligrammi è l'osso più piccolo del corpo umano e trasmette le vibrazioni prodotte dalle onde sonore all'orecchio interno.

Il funzionamento della staffa può essere danneggiato da una distrofia ossea – l'otosclerosi – che ha una prevalenza stimata tra 0.1 a 0.5% nella popolazione adulta degli Stati Uniti e dell'Europa occidentale ma nei bambini è una malattia rara. La mobilità della staffa ne risulta ridotta e così la trasmissione del suono tende progressivamente a deteriorare, causando sordità – ipoacusia trasmissiva. La malattia si manifesta anche con acufeni e vertigini, che possono essere descritti da un adulto ma nel bambino, che cresce con una percezione uditiva alterata, il riconoscimento delle sue manifestazioni può verificarsi in ritardo.
L'otosclerosi è una delle cause dell'ipoacusia trasmissiva, uno dei tipi di ipoacusia – che invece non è rara nei bambini - assieme a quella neurosensoriale e a quella centrale.

Nelle ipoacusie trasmissive il deficit sensoriale è tipicamente moderato, con una soglia uditiva che non supera i 50/60 dB.
Ma in quella gamma di decibel cadono i suoni del linguaggio. Ne deriva che i bambini con ipoacusia trasmissiva non percepiscano le conversazioni, quell'esposizione necessaria al parlare, all'apprendere e al relazionarsi con gli altri.

D. è una bambina di 12 anni che ha difficoltà a scuola e così viene inviata a un esame neuropsicologico.
Due anni prima è stata sottoposta a un intervento chirurgico di ossiculoplastica sinistra per la ricostruzione degli ossicini dell'orecchio medio di sinistra.
L'anno prima è stata sottoposta a stapedoplastica destra per la sostituzione della staffa con una protesi biocompatibile.
Il suo audiogramma tonale riporta un'ipoacusia trasmissiva bilaterale: la soglia audiometrica per via ossea è normale - l'orecchio interno funziona, mentre la soglia per via aerea è più alta (la curva più in basso) – l'orecchio medio non funziona bene.


La soglia di un udito normale è tra 0-20 decibel e possiamo sopportare suoni di intensità superiore, fino a 120dB, purché sia per brevissimo tempo.
L'ipoacusia determina l'alzarsi della soglia e quindi – a seconda della gravità - la difficoltà a percepire i suoni corrispondenti a diverse frequenze. La frequenza di udibilità del nostro orecchio è compresa tra 20 Hz e 20 kHz. L'orecchio umano è particolarmente sensibile alle frequenze che vanno dai 500 ai 2000 Hz, corrispondenti ai suoni della comunicazione verbale, mentre l'intensità di una normale conversazione è tra i 50 e i 60 dB.


La sensibilità uditiva di D. è adesso sufficiente ma in alcuni contesti, ad esempio in classe, deve usare delle protesi per discriminare meglio il linguaggio. Le porta con sé le protesi e le mette quando le ritiene necessarie.

Negli anni ha sviluppato una spiccata abilità nella lettura delle labbra dei suoi interlocutori. D. ha acquisito il linguaggio e molto probabilmente la graduale perdita di udito, causata dall'otosclerosi, è stata post-verbale. Ora è alla scuola media ed è ben inserita nella classe. Alla scuola primaria invece ha sofferto, non perché non riuscisse a stare dietro al programma didattico ma perché era stata emarginata da alcune compagne e faceva fatica a capire e ad essere capita. E allora sono comparse le fobie e gli attacchi di panico.
D. non era più in grado di comprendere i suoni dei suoi ambienti di vita quotidiana, soprattutto quelli verbali, e questo la spaventava tantissimo.

Ma solo dopo qualche anno gli esami diagnostici hanno accertato le cause di tutte queste difficoltà.

D. ha un livello intellettivo nella norma. Ha un eloquio fluido, ben articolato ma scandito. La perdita di udito deve essere quindi iniziata dopo l'acquisizione del linguaggio.
D. ha le competenze verbali dei bambini della sua età, nelle conoscenze generali apprese, nelle astrazioni, nella comprensione.
Legge rapidamente le parole e i brani. Fa invece fatica a leggere quelle che noi neuropsicologi chiamiamo 'non-parole' o parole senza senso, proprio come tambina.
Scrive bene e velocemente, su dettato scandito e nei testi.
La matematica no, quella non le riesce: fa fatica con le quantità, con le operazioni scritte e a mente.
D. riesce a svolgere correttamente compiti che richiedono coordinazione, velocità e integrazione visuomotoria. Ha però difficoltà in alcune prove di ragionamento visuospaziale.

La prestazione più bassa, lievemente al di sotto della norma per la sua età, la ottiene alle prove di memoria di lavoro verbale, quel processo cognitivo che è insieme attenzione e memoria a breve termine. Un vero e proprio sistema che permette di mantenere on-line per alcuni secondi le nuove informazioni ed eventualmente di elaborarle o ripeterle affinché siano trasferite nella memoria a lungo termine. Entra in gioco quando ad es. dobbiamo memorizzare un nuovo numero di telefono o dei versi.

La difficoltà di memoria di lavoro verbale è stata dimostrata in diversi studi sui bambini sordi. Koo e colleghi (2008) hanno confermato tale risultato anche in gruppi di sordi adulti che usavano la lingua dei segni oppure il linguaggio orale, rispetto a soggetti di controllo senza difficoltà uditive che conoscevano oppure no la lingua dei segni.
Il diverso esordio (ad es. pre- o post-verbale) e la diversa durata del periodo di deprivazione sensoriale, l'uso del linguaggio orale o della lingua dei segni sembrano avere un impatto comune sulla riorganizzazione del cervello a seguito di una degradata trasmissione dei suoni. La memoria di lavoro, fondamentale per l'apprendimento, risulta invariabilmente compromessa.

Un altro aspetto importante è che la difficoltà di memoria di lavoro verbale non condiziona l'apprendimento della lettura. Benché quando s'impara a leggere s'inizi dalla identificazione e segmentazione delle lettere e del loro suono – i fonemi – attraverso l'elaborazione del magazzino fonologico della memoria di lavoro, nei sordi tale elaborazione sembra in qualche modo garantita.

Nel caso di D. la lettura potrebbe essere stata appresa appena prima del periodo di deprivazione sensoriale oppure è stata assicurata da capacità residue o alternative. I troppi errori nella lettura delle non-parole – sono invece un segnale inequivocabile dello scarso funzionamento dell'elaborazione fonologica pura.

Quello che appare certo è che si può leggere bene anche senza un'efficiente memoria di lavoro verbale. Inoltre, gli stessi paradigmi non valgono per tutte le popolazioni: mentre nei soggetti senza difficoltà uditive la memoria di lavoro verbale è un predittore delle abilità di lettura, nei soggetti con difficoltà uditive l'applicazione di tale rapporto può portare a risultati fuorvianti.

Anche le scarse abilità nella conoscenza numerica e nel calcolo dipendono dalla memoria di lavoro. In questo caso possono essere coinvolti sia processi verbali sia processi visuospaziali. È stato anche dimostrato, infatti, che i bambini sordi hanno difficoltà di elaborazione e attenzione visuospaziale – non solo verbale, proprio perché viene a mancare la sinergia tra le diverse modalità sensoriali (visiva e uditiva in questo caso) nel corso dello sviluppo neuroanatomico e cognitivo.

Il caso di D. testimonia la necessità di individuare il più precocemente possibile le difficoltà che possono presentare i bambini nel corso della loro crescita. Ogni indizio non deve essere trascurato: lo scarso adattamento a scuola e gli attacchi di panico sono un segnale forte ma aspecifico, nel senso di un'unica manifestazione per difficoltà diverse (da quelle sensoriali, a quelle di apprendimento, a quelle da bullismo). Un esame tempestivo e approfondito potrà differenziare i profili patologici, cognitivi, comportamentali e affettivi e avviare i diversi percorsi di cura, riabilitazione e supporto.


Anche puntando il gomito, la conchiglia
dell'orecchio non distingue in esse nessun ruglio,
ma battiti di tele, di persiane, di mani,
bollitori su fornelli, al massimo strida di gabbiani.
Iosif Brodskij



Koo D, Crain K, LaSasso C, Eden GF. Phonological awareness and short-term memory in hearing and deaf individuals of different communication backgrounds. Ann N Y Acad Sci. 2008 Dec; 1145:83-99. doi: 10.1196/annals.1416.025.


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