C'è
un appello che si ripete regolarmente, che regolarmente rimane
inascoltato: la chiamata agli scienziati affinché informino i
cittadini e i politici sull'importanza della sperimentazione animale
per la ricerca di base e clinica.
Ad
ogni appello segue un breve risveglio, una discussione interna, un
pugno sul tavolo e poi ciascuno torna alle proprie attività
accademiche.
Si
dà così la vittoria alla paura di esporsi e alle credenze di quanti
disinformano sull'inutilità della sperimentazione animale.
La
disinformazione persegue interessi personali ed economici e sfrutta
la risposta emotiva dei cittadini alle campagne shock abilmente
pianificate.
Era
del 1991 l'appello di David Hubel, neurofisiologo e Nobel per la
Fisiologia e la Medicina nel 1981, dal titolo Are we willing to
fight for our research? (1).
Hubel,
alle cui ricerche con i gatti si devono fondamentali scoperte sul
funzionamento del nostro sistema visivo, ammoniva gli scienziati a
rispondere sempre e a voce alta agli attacchi provenienti dai gruppi
animalisti radicali, contro la pericolosa scelta di rimanere in
silenzio. In tal modo, si sarebbero convalidate le affermazioni più
estremiste.
Chi
altri può spiegare e informare se non gli scienziati stessi?
If we who are doing the research are not willing to speak up for it, who will? I believe that the very fact that we have kept silent unless directly attacked has "sent a message" (as they would say in Washington) that we give in to the points that we know so well to be false-that animals have contributed nothing to medical research, that we can do it all with computers, that our animals suffer terribly, and so forth. We will have to begin to contest statements such as these in a loud, clear voice. Silence as a strategy has not served us well. Our silence is all the more ironic because our arguments are compelling and our audience is mostly reasonable and prepared to listen.
Il
ruolo degli scienziati è anche quello di chiarire che non è
possibile fare a meno della sperimentazione animale e che ogni Paese
ha dei regolamenti molto rigidi da seguire per i ricercatori
coinvolti e nei laboratori dedicati.
Lo
scopo degli scienziati non è di infliggere sofferenze agli animali.
We should make clear in our discussions that we do not like killing animals, or inflicting pain or suffering, and that we support the attempts to minimize suffering, though recognizing that its complete elimination may not always be possible. Most people have no idea that there are strict regulations and guidelines on animal use, at local, state, and federal levels, and that we support these regulations. We have to admit that not all scientists are saints, and that research animals are on some rare occasions subject to cruelty, just as pets and children are. But such cruelty is rare.
Nella
comunicazione, bisogna stare anche attenti a non essere ipocriti: per
le neuroscienze la sperimentazione animale è stata e continua ad
essere fondamentale allo scopo di conoscere l'organizzazione del
nostro cervello e di scoprirne i meccanismi di funzionamento. Le
ricerche di Hubel lo dimostrano, come pure le ricerche di Sperry, che ne condivise il Nobel per le scoperte sulla specializzazione
degli emisferi cerebrali, iniziate sugli animali e poi continuate
nell'uomo.
Appigliarsi
sempre al fatto che ogni esperimento permetterà di curare gravi
malattie degenerative non corrisponde alla realtà e diventa una
giustificazione non richiesta.
If we can spend two billion dollars on the Hubble space telescope to help us understand the universe (and I fully support that venture), we can certainly spend that kind of money and use some animals to help us understand the most complex machine in the known universe, the mammalian brain. Can any reasonable person doubt that understanding the brain will help us understand learning and hence education, emotions, aggression-in fact all human interactions? To justify our work entirely in a framework of disease restricts us needlessly, and also is hypocritical given that many of us (I include myself) are driven as much by scientific curiosity as we are by immediately practical applications in prevention and cure of disease.
Hubel
fa un breve riferimento al caso che costò il lavoro a Edward Taub,
psicologo comportamentista americano che, con i suoi esperimenti
sulle scimmie prima e poi con gli studi clinici nelle persone colpite
da ictus, ha rivoluzionato la riabilitazione neurologica e dimostrato
gli effetti della neuroplasticità del cervello.
Edward
Taub, nato nel 1931, aveva iniziato il suo lavoro di ricerca durante
gli studi universitari alla Columbia. Lo continuò - non senza
difficoltà per le aperte ostilità e gli accesi attacchi da parte
della comunità scientifica - durante il dottorato all'Università di
New York, conducendo studi sperimentali sulle scimmie alle quali
veniva prodotta chirurgicamente una lesione dei nervi spinali per
interrompere le vie sensoriali che innervavano un arto superiore.
Tale tecnica di deafferentazione delle vie sensitive e/o motorie era
basata sui fondamentali lavori di Charles Sherrington che ne derivò
la sua teoria dei riflessi, dominante in campo neurologico per buona
parte del secolo scorso.
Dopo
la lesione, la scimmia non usava più l'arto superiore deafferentato.
Taub
e i suoi collaboratori sperimentarono allora due tecniche di
riabilitazione motoria: l'allenamento dell'arto deafferentato e la
contenzione dell'arto sano, in modo che la scimmia fosse 'costretta'
ad usare l'arto leso.
I
miglioramenti ottenuti dimostrarono a livello teorico
l'implausibilità della teoria riflessologica di Sherrington: i
riflessi spinali non costituivano le fondamenta del comportamento.
Erano gli sviluppi delle neuroscienze: i movimenti non dipendevano
dai nervi del midollo spinale ma dal cervello.
La
teoria alternativa avanzata da Taub era invece che il non uso
dell'arto deafferentato dipendesse da un processo di apprendimento –
learned nonuse – che portava a una graduale soppressione dei
movimenti in quell'arto dopo la lesione.
La
riabilitazione motoria risultò efficace perché in grado di
interrompere l'apprendimento al disuso.
Tali
esperimenti avevano quindi lo scopo di simulare negli animali quello
che avviene nell'uomo a seguito di un ictus cerebrale, che causa una
paralisi nel lato del corpo opposto all'emisfero del cervello
danneggiato.
La
differenza tra le due tecniche riabilitative utilizzate era nei
risultati: mentre l'allenamento dell'arto deafferentato portava a
benefici che però erano limitati a quei movimenti e a quelle azioni
che erano stati allenati, con la costrizione dell'arto sano si
determinava una generalizzazione dei benefici anche ad altri
movimenti e azioni che non erano stati esercitati. Tali risultati
hanno ormai ricevuto un'ampia dimostrazione scientifica e clinica
nell'uomo, raggiungendo obiettivi riabilitativi impensabili.
Attualmente le tecniche della Constraint-Induced Therapy sono
le più efficaci, nell'adulto e nel bambino e non si limitano
all'ambito motorio, sono state applicate anche al linguaggio e alla
percezione. Dedicherò alle specificità della tecnica e ai risultati
ottenuti un prossimo post.
Nel
maggio del 1981 Edward Taub lavorava all'Istituto di Scienze
Comportamentali di Silver Spring, quando arrivò nel suo laboratorio
- finanziato dal National Institutes of Health (NIH) - Alex Pacheco, per
proporsi come collaboratore volontario. Pacheco era uno studente
universitario di scienze politiche alla George Washington University
e, soprattutto, era uno dei fondatori assieme a Ingrid Newkirk di
PETA (People for the Ethical Treatment of Animals), l'associazione
animalista che nelle ultime settimane stava organizzando numerose
proteste proprio davanti alla vicina sede del National Institutes of
Health.
Pacheco,
si offrì di rimanere in laboratorio anche di notte e approfittando
di una vacanza di Taub, ebbe modo di scattare numerose fotografie ai
macachi in cattività, cercando di far emergere – e creare
artificiosamente ove non ci fossero – le prove di maltrattamenti e
crudeltà.
A
settembre dello stesso anno Pacheco denunciò Taub, che fu arrestato
e rinviato a giudizio con gravi accuse. Era la prima volta che i poliziotti piombavano
in un laboratorio scientifico per arrestare uno scienziato,
accusandolo di maltrattamenti su ciascuno dei 17 macachi custoditi:
Chester, Paul, Billy, Hard Times, Domitian, Nero, Titus, Big Boy,
Augustus, Allen, Montaigne, Sisyphus, Charlie, Brooks, Hayden, Adidas
e Sarah.
Il
caso fu riportato con grande clamore sui mezzi di comunicazione,
furono diffuse le foto e le descrizioni delle condizioni di pulizia e
contenzione.
Gli
iscritti a PETA passarano dalle poche decine del 1980 agli oltre 400.000 degli
anni '90.
I
macachi furono sequestrati e cominciò per loro una lunga avventura
tra scomparse, trasferimenti e processi, durata una decina d'anni.
Alla fine tornarono in custodia al NIH e, prima dell'eutanasia, per
alcuni di essi fu autorizzata una registrazione dell'attività
elettrica con elettrodi di profondità impiantati in alcune regioni del cervello,
che rivelò una sorprendente riorganizzazione della corteccia
sensoriale.
Era
l'inizio – reso tragico - della storia della neuroplasticità.
Taub
fu licenziato, perse i fondi di ricerca, fu abbandonato e denigrato
dalla comunità scientifica e gli fu imposto il divieto giudiziario
di condurre altre ricerche.
Processo
dopo processo fu gradualmente prosciolto da tutti i capi d'accusa.
Solo
quando Taub fu definitivamente assolto, 67 associazioni professionali
statunitensi si schierarono a suo favore rivolgendosi al National
Institute of Health, che ritornò sulla propria decisone di non
finanziarlo ulteriormente, in quanto non vi erano più prove delle
accuse all'origine del caso (2).
Nel
1986, tra le accese proteste degli animalisti, Taub riprese a
lavorare all'Università di Alabama a Birmingham, dove ebbe
l'opportunità di continuare gli studi sulla Constraint-Induced
Therapy nei pazienti colpiti da ictus. La rivoluzione nella
riabilitazione neurologica - con 10 anni di ritardo, aggressioni e
resistenze – ebbe inizio.
Edward
Taub continua il suo lavoro, ha prodotto corpose prove scientifiche e
stimolato la ricerca di base e clinica per quello che la Società di
Neuroscienze statunitense ha annoverato tra i 10 traguardi raggiunti dalle neuroscienze traslazionali nel XX secolo.
Come
ha scritto nel 2002 Mark Matfield in Animal experimentation: the
continuing debate (3), le prime discussioni pubbliche sulla
sperimentazione animale risalgono alla fine del 1800, furono sospese
sia in Europa che negli Stati Uniti durante la Prima Guerra Mondiale
e ripresero dopo il 1970, con le attività delle associazioni
animaliste rivolte a promuovere nuove normative.
Ne
sono risultati nuovi e rigidi regolamenti che hanno permesso di
superare i precedenti standard utilizzati nei laboratori di ricerca animale.
Spesso
l'esistenza di tali regolamenti è ignorata dai cittadini, anche per
la responsabilità degli scienziati stessi.
Come
già Hubel nel 1991, Matfield nel 2002 critica il ruolo passivo degli
scienziati ed esorta a prendere l'iniziativa.
For more than a century, the scientific community has had a passive role in the public and political debate about animal experimentation. We have responded when criticized and complied when regulated. This passive, reactive role has always left us at a disadvantage, allowing the antivivisection movement to control the debate. Surely, the time has come for us to take some of the initiative and seek to influence the way in which this debate develops in the future. Instead of being cast as ‘the bad guys’ because we experiment on animals, scientists should be seen as people who seek to improve the well being of both humans and animals.
Le
organizzazioni animaliste possono essere collocate lungo un continuum
che vede a un estremo i gruppi che vigilano e collaborano con gli
scienziati affinché siano rispettati i regolamenti esistenti o si
migliorino, mentre all'altro estremo si trovano i gruppi che agiscono
attraverso intimidazioni, vere e proprie aggressioni e danni
materiali ai laboratori di ricerca.
Le
prime sono state preziose per raggiungere le normative attuali, le
ultime continuano a fare danni e a seminare paura.
L'ultimo
caso è dello scorso 30 aprile: Nikos Logothetis - direttore
del Reparto di fisiologia dei processi cognitivi del
Max
Planck Institut
für
biologische Kybernetik
di
Tubingen - ha dichiarato che, dopo aver concluso le ricerche in corso
e già finanziate, non condurrà ulteriori esperimenti sui primati
non umani.
Il Max Planck, nel suo parere sulla decisione di
Logothetis, si difende dalle accuse che da alcuni mesi vedono
l'Istituto al centro di una campagna intimidatoria condotta da alcuni
gruppi animalisti che diffondono foto manipolate e false informazioni
sulle scimmie in cattività. Inoltre, sottolinea i
danni che le aggressioni causano al lavoro e alla vita degli
scienziati e ribadisce l'intenzione e l'importanza di continuare la
sperimentazione in ambito neuroscientifico sui primati.
In Germania,
la maggior parte dei rappresentanti politici ha espresso solidarietà
a Logothetis e al Max Planck.
E
in Italia cosa accadrebbe in un caso simile?
E'
del 5 maggio l'ultimo – unico - appello di Elena Cattaneo espresso
in una lettera inviata al quotidiano La Repubblica: Perché
la scienza non può rinunciare a sperimentare sugli animali:
Oggi il Senato si appresta a votare alcune mozioni sul benessere animale (giusto), dove la sperimentazione animale viene di fatto equiparata alle crudeltà (assurdo), laddove invece la sperimentazione animale ha come presupposto che gli animali non devono soffrire. Si dice che gli scienziati oggi possono usare un computer, che sarebbe più predittivo della reazione o dell'efficacia di un trattamento rispetto a un modello animale. Senza spiegare chi istruirà il computer con algoritmi (fantascientifici) tali da mimare le risposte biochimiche dell'organismo, dei suoi circuiti umorali, degli organi connessi, di ogni loro singola cellula, ciascuna con i suoi trentamila geni tradotti in centomila proteine funzionali. Non dicono come computer o cellule in un piattino di plastica possono farci capire le basi di malattie multisistemiche, l'attività dei farmaci per la depressione, per i disturbi del movimento o dell'alimentazione, l'insonnia, la Sma, la Sla, la sclerosi multipla, l'Huntington, l'Alzheimer, il diabete, etc.
Non ripetiamo la storia. Non
lasciamola sola.
1.
Hubel DH. Are we willing to fight for our research? Annu. Rev.
Neurosci. 1991.
2.
Doidge N. The brain that changed itself. Penguin Books 2008.
3.
Matfield M. Animal experimentation: the continuing debate. Nature
Rev. Drug Discovery, 2002 1:149-152.
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