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lunedì 30 novembre 2015

Josee e la paralisi cerebrale.


La paralisi cerebrale infantile - secondo la datata denominazione originaria – o discinesia encefalica precoce non evolutiva sta ad indicare una lesione del sistema nervoso centrale acquisita in epoca prenatale (entro la 28a settimana di gestazione), perinatale (dalla 28a settimana di gestazione al 10° giorno di vita) o postnatale (dopo il 10°giorno di vita), che causa deficit prevalentemente motori ai quali possono essere associati disturbi sensoriali, cognitivi e comportamentali. Il decorso è non progressivo e richiede programmi riabilitativi appropriati.

Fu descritta per la prima volta dall'ortopedico inglese John Little nel 1862, che ipotizzò una relazione tra i diversi quadri di spasticità e deformità articolari osservati e la sofferenza al parto, in quello che fu allora indicato come il “Morbo di Little”.
Nel 1889 William Osler introdusse la definizione “Paralisi cerebrale del bambino” nella sua descrizione clinica di 150 bambini affetti.
Nel 1897 Sigmund Freud nel suo lavoro “La paralisi cerebrale infantile” attribuiva maggiore importanza alle anomalie dello sviluppo intrauterino o alla nascita prematuri quali cause dei disturbi motori.

Fin dai primi mesi il bambino mostra ridotti movimenti volontari e spontanei degli arti o di un emilato del corpo.

La diagnosi si basa sull'esame neurologico e sui reperti neuroradiologici.
La caratterizzazione clinica richiede un protocollo di valutazione complesso che comprende approfondimenti in diversi ambiti: sensoriale, fisioterapico, neuropsicologico e comportamentale.
In base alla caratterizzazione clinica viene definito un piano riabilitativo più o meno intensivo e, successivamente, il percorso assistenziale e di inserimento scolastico più appropriato.

I bambini affetti da discinesia encefalica o paralisi cerebrale hanno bisogno di ausili e supporti per il movimento (dai deambulatori alla carrozzina, che devono essere adattati alla crescita).


Josee, la protagonista del film Joze to tora to sakana tachi (2003, Josee, la tigre e il pesce) diretto da Inudou Isshin, è affetta da paralisi cerebrale.
In realtà si chiama Kumiko e vive con l'anziana nonna, che l'ha nascosta per tutto il tempo. L'ha nascosta in casa, dove se necessario si trascina nell'armadio ad anta scorrevole. L'ha nascosta fuori, dove la nonna porta Kumiko solo al mattino presto quando la strada è quasi deserta, in una carrozzina da bambino ben coperta, in modo che non se ne veda neppure il viso.
La scena è oggetto di pettegolezzo e c'è chi sospetta che la nonna possa trasportare droga.

Josee è cresciuta leggendo libri su libri, tutti quelli che la nonna recupera dai rifiuti del vicinato. È dai libri che trae il suo nuovo nome e la curiosità per la tigre e i pesci.
Il deficit motorio interessa solo gli arti inferiori, non ha problemi sensoriali o di linguaggio, a patto che la comunicazione sia semplice, a volte ha reazioni aggressive.

Tsuneo è uno studente universitario che lavora part-time in una sala da mahjong. Bello e intraprendente, piace molto alle ragazze e lui cerca il più possibile di ricambiarle.

Rientrando a casa una mattina presto, si trova ad incrociare quella carrozzina misteriosa che, sfuggita alla nonna, precipita in discesa e va a sbattere sul ciglio della strada.

Tsuneo si avvicina lentamente, solleva la coperta e vede il viso di Kumiko, dolorante per il colpo. Decide di accompagnarle a casa, spingendo la carrozzina.

In segno di ringraziamento la nonna e Kumiko gli preparano la colazione e Tsuneo seduto al basso tavolino osserva la ragazza che si solleva su un panchetto nei pressi dei fornelli e poi si butta a caduta sul pavimento quando tutto e pronto. Si sposta da seduta, rapidamente, nella piccola casa tradizionale.

Tsuneo torna a far loro visita, porta del cibo, coinvolge un'amica che studia servizio sociale affinché la casa possa essere adattata il più possibile alle esigenze di Kumiko.


Gli assistenti sociali non erano a conoscenza dell'esistenza di Kumiko: la nonna l'aveva tenuta così nascosta - per la vergogna e per proteggerla dal giudizio dei vicini - che non aveva neppure richiesto l'indennità per la disabilità.
Da allora alcune bambine del vicinato la cercano. Kumiko esiste.

Alla nonna alla lunga non va bene quella frequentazione perché Kumiko non può essere normale e fingere di esserlo la esporrebbe a ulteriori sofferenze. Una sera Tsuneo viene cacciato in malo modo e gli viene chiesto di non ripresentarsi.

Dopo diversi mesi Tsuneo apprende che la nonna di Kumiko è morta: corre da lei.
Inizia la loro storia d'amore.



Negli ultimi mesi Kumiko era sopravvissuta grazie ai vicini che le portavano la spesa. La carrozzina a spinta era rimasta parcheggiata fuori.


Josee e Tsuneo vanno in viaggio, al mare, allo zoo, all'acquario.



Al ritorno Tsuneo lascia Kumiko...

La narrazione è delicata e concreta: una modesta quotidianità resa senza pietismi né sentimentalismi.
Passi di continuo dal pensare al coraggio di questo giovane alla sua crudeltà, dalla sua generosità al suo egoismo.
E poi arriva la domanda fatidica, che riecheggia la sproporzionata iperprotezione della nonna: a che è servito? A cosa è servito illudere Josee per poi abbandonarla?



La scena finale è la risposta. Kumiko percorre da sola la strada verso casa con la borsa della spesa sulla sua carrozzina elettrica, in pieno giorno.


La disabilità non è malattia, è vita.

Sono alcuni registi giapponesi a mostrarlo nel modo più efficace.

I due bravi attori protagonisti sono Chizuru Ikewaki (Josee) e Satoshi Tsumabuki (Tsuneo).



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