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lunedì 11 aprile 2016

Se batto le mani non faccio rumore

Una conversazione con Lorenzo Pia sull'anosognosia per l'emiplegia

 

La coscienza - l'esperienza soggettiva di sé, la consapevolezza delle proprie percezioni, dei propri pensieri, delle proprie emozioni -, è quello stato della mente che diamo quotidianamente per scontato e che non riconosciamo di perdere o aver perso.

È fondamentale quando dobbiamo prendere decisioni, quando ci troviamo in situazioni nuove o a dover svolgere azioni nuove o complesse e anche quando, mentre svolgiamo azioni automatiche, commettiamo un errore o c'è una variazione che richiede di aggiustare quello che di solito facciamo senza renderci conto.

Gli studi neuropsicologici sono stati determinanti nel farci comprendere che siamo dotati di gradi diversi e diverse componenti di coscienza. Accade, quindi, che a causa di un danno cerebrale specifico in una regione del lobo parietale destro, non siamo più consapevoli degli oggetti o delle porzioni di immagini nell'emispazio sinistro (neglect percettivo-attentivo o neglect rappresentazionale). Neppure ci accorgiamo di lasciare il cibo nella parte sinistra del piatto o di non raggiungere un posto situato alla nostra sinistra, in un percorso noto. Restiamo però consapevoli che il nostro linguaggio è corretto e comprensibile, che le persone che ci circondano sono quelle di sempre, che la nostra memoria, a parte qualche lacuna, è abbastanza affidabile,...

Si tratta di un'ulteriore dimostrazione dell'irrinunciabilità e della validità dello studio rigoroso dei casi clinici come metodo scientifico al pari della sperimentazione in laboratorio.

Nel 1914 il neurologo francese Joseph Babinski introdusse il termine anosognosia per designare la negazione di una malattia: un fenomeno che mi sembra degno di nota, e che propongo di approfondire”. Tale fenomeno era stato osservato a partire dal 1885 da Von Monakow, Anton, Pick e Zingerle in associazione a diverse patologie neurologiche. Tuttavia, già in Seneca si ha una prima descrizione di negazione della cecità: “Questa folle donna ha improvvisamente perso la vista. Non solo, ora ti dico una cosa incredibile, ma vera. Ella non sa di essere cieca.” (Lettera IX, citata da Bisiach e Geminiani in un capitolo del libro Awareness of Deficits after brain injury, del 1991).

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L'anosognosia per l'emiplegia è caratterizzata dalla negazione di un'emiparesi dell'arto inferiore e/o superiore.

Un caso di emiplegia.
The Salpêtriére, Paris.

Quello che segue è un estratto dell'esame neuropsicologico di un caso clinico pubblicato da Anna Berti, Elisabetta Làdavas, Andrea Stracciari, Clara Giannarelli, Antonella Ossola nel 1998. Si trattava di una paziente di 80 anni, destrimane, che per un ictus nell'emisfero destro, che aveva causato una lesione sottocorticale frontoparietale, manifestò: emianopsia sinistra, neglect extrapersonale sinistro, una completa emiplegia dell'arto superiore sinistro, una grave emiparesi dell'arto inferiore sinistro, una densa anestesia dell'arto superiore sinistro.

Dove ci troviamo?
- In ospedale.
Perché si trova in ospedale?
- Sono caduta e ho battuto la gamba destra.
Come vanno il braccio sinistro e la gamba sinistra?
- Mi fanno un po' male.
Riesce a muovere il braccio sinistro?
- Certo.
Riesce a toccare il mio dito con la sua mano sinistra (dopo aver posizionato il suo dito nell'emispazio visivo destro della paziente)?
Non segue alcun movimento.
Allora, ha toccato il mio dito?
- Sì.
Può battere le mani, per cortesia?
- Non siamo mica a teatro!
Lo so ma volevo vedere se riusciva a farlo.
La paziente solleva la mano destra e la porta nella giusta posizione per battere le mani, perfettamente allineata alla linea mediana del tronco, muovendola come se stesse effettivamente battendola sulla sinistra. La paziente sembra assolutamente soddisfattadella sua prestazione.
È sicura che sta battendo le mani? Non sento alcun rumore.
- In ogni cosa che faccio non faccio mai rumore.
Come sta la mano sinistra?
- Molto bene.

L'assenza di consapevolezza del deficit motorio rimane anche quando la persona verifica che non ci sono gli effetti dell'azione che l'arto paretico avrebbe dovuto svolgere.

Lorenzo Pia, Marco Neppi-Modona, Raffaella Ricci e Anna Berti nel 2004 hanno dimostrato che l'anosognosia per l'emiplegia è presente in circa il 30% dei pazienti con lesione dell'emisfero destro ed emiplegia.

Nel 1955 Edwin Weinstein e Robert Kahn, nel libro Denial of illness: Symbolic and physiological aspects, avanzarono l'ipotesi che l'anosognosia fosse un meccanismo psicologico di difesa, che permetteva al paziente di sopportare la perdita di funzionalità di un arto. Tuttavia, questa ipotesi, che richiede una qualche coscienza dell'emiparesi per negarla, è stata esclusa attraverso ripetute dimostrazioni dell'assenza di consapevolezza esplicita ed implicita nei pazienti emiplegici e anosognosici per il deficit motorio.
Inoltre, non spiega perché siano tipicamente i pazienti con lesione dell'emisfero destro a negare l'emiplegia.

Altre ipotesi hanno fatto riferimento a un'amnesia selettiva, allo stato confusionale post-ictus, a una deafferentazione sensoriale, a un deficit da neglect spaziale, a confabulazione.

Allora, diventa cruciale comprendere a che livello è il danno che causa l'anosognosia per l'emiplegia.

A tale scopo, ho posto alcune domande a Lorenzo Pia, Professore Associato di Psicologia all'Università di Torino e Coordinatore del gruppo di ricerca SAMBA (SpAtial, Motor & Bodily Awareness).

Pia lavora da diversi anni con Anna Berti sui temi multicomponenziali della coscienza.
È anche esperto di pallacanestro, fine gustatore di vini e molto attivo su diversi social network.

È stato generoso e rapidissimo nelle risposte, non ripagato dalla mia lentezza nella stesura del post.


1. Nel recente lavoro pubblicato su Neuropsychologia con Alessandro Piedimonte, Francesca Garbarini, Tiziana Mezzanato e Anna Berti, avete dimostrato che nei pazienti emiplegici anosognosici risulta preservata l'intenzione di movimento. Per arrivare a tali risultati, che continuano una lunga e innovativa ricerca, avete misurato in modo ingegnoso gli effetti del programma motorio sulla percezione visiva, in due condizioni (bimanuale e unimanuale). Come funzionava la procedura nei soggetti di controllo e come il movimento influenzava la loro percezione?
- Ai soggetti sani, come ai pazienti, è stato sottoposto un paradigma di movimento apparente noto per mostrare un bias nella scelta dell’effettore da utilizzare per indicare la direzione del movimento (es. se il movimento apparente è verso destra si risponde con la mano destra).



2. E nei soggetti con emiplegia senza anosognosia?
- Questi pazienti non mostrano il bias sopracitato in quanto non programmano più movimenti avendo “imparato” della loro paralisi.

3. Qual è stato il risultato sorprendente nei pazienti con emiplegia e anosognosia?
- Gli anosognosici, come i soggetti sani, mostrando il bias di risposta consistente con il movimento apparente. I punto cruciale è che i primi non si muovono.

4. Quindi la non consapevolezza di un'emiplegia libera un'illusione di movimento che a sua volta altera il modo di percepire il mondo oltre ad alterare i movimenti dell'arto non emiplegico, come hai dimostrato nelle precedenti ricerche assieme ai tuoi collaboratori?
- Esattamente, l’effetto mostra che l’intention programming system è risparmiato e funzionante come nei soggetti sani che, effettivamente, si muovono.

5. Quali sono le spiegazioni possibili e in che modo lo studio dei pazienti con anosognosia per l'emiplegia rivela il legame complesso e dinamico tra azione e percezione? A che livello l'azione può influenzare la percezione?
- Azione/programmazione e percezione sono strettamente dipendenti e si influenzano reciprocamente. Queste relazioni esistono sia a livello implicito che esplicito.

6. L'illusione soggettiva di movimento dell'arto paralizzato nel paziente emiplegico anosognosico è sufficiente a mantenere e consolidare l'anosognosia? O meglio è alla base stessa dell'anosognosia? Quindi, se si ha la percezione soggettiva che il braccio paralizzato si muova non si può ritenere che sia paralizzato.
- In parte si, esattamente come in un soggetto sano che non pensa di non potersi muovere.

7. Oppure l'anosognosia per l'emiplegia è una forma di confabulazione?
- Noi riteniamo di no, l’anosognosia è una reale esperienza soggettiva del programma motorio.

8. L'esperienza soggettiva è più forte di quella oggettiva? E quindi, l'emiplegico anosognosico, a dispetto dell'assenza degli effetti concreti del movimento del suo arto paralizzato (ad es. il fallimento nel prendere una tazza, spostare un libro, premere un interruttore, infilare una manica) permane convinto di usarlo. Può attribuire inconsapevolmente alcune azioni compiute con l'arto non empilegico a quello leso?
- In parte si l’esperienza soggettiva, a volte, è talmente potente da cancellare quella oggettiva.

9. Comprendere meglio i meccanismi sottostanti all'emiplegia con anosognosia sarà fondamentale per disegnare interventi riabilitativi efficaci. Quali sono i prossimi sviluppi delle tue ricerche in questo campo?
- Gli sviluppi futuri riguardano principalmente l’esame sempre più dettagliato delle componenti cognitive sottendenti la cognizione motoria (es. intenzione, conseguenze sensoriali, etc) nonché l’integrazione di queste componenti con la rappresentazione del corpo.

10. Quali sono le ricerche nelle quali sei impegnato in questo momento?
- Rapporto tra consapevolezza di agire e consapevolezza corporea.

11. Puoi descrivere il tuo laboratorio e gli strumenti di lavoro?
- Nei nostro gruppo di ricerca utilizziamo metodiche comportamentali che fisiologiche (EEG) o di neuroimaging (TMS; fMRI). Lavoriamo sia su soggetti sani che su pazienti neurologici

12. Quanti fondi di ricerca hai a disposizione ogni anno?
- Pochissimi!!!!


Se prendiamo come riferimento il modello del controllo motorio (Blakemore, Wolpert e Frith, 2002; Haggard, 2005), ora si fa chiara la risposta alla domanda relativa al livello al quale si manifesta l'anosognosia per l'emiplegia.

Modello semplificato del controllo motorio,
modificato da Anna Berti.


Il paziente con anosognosia per l'emiplegia ha quindi l'intenzione di svolgere un movimento, formula il piano per l'esecuzione del movimento, fa previsioni sugli effetti di quel movimento ma non è in grado di confrontare correttamente gli effetti concreti dell'azione con le previsioni, perché la lesione ha danneggiato il comparatore. Risulta così una falsa consapevolezza di continuare a usare l'arto leso, che spiega la convinzione dei pazienti di aver per davvero eseguito il movimento richiesto.

La conclusione affascinante è che la coscienza motoria si costruisca nel momento in cui si formulano le intenzioni e i piani e non al termine dell'azione e sulla base dei suoi effetti.

 

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