tizianametitieri.net

lunedì 14 novembre 2016

Solo l'italiano? Le indicazioni sul bilinguismo nei bambini con disordini dello sviluppo.



Nelle nostre società sempre più multiculturali conoscere più lingue è una scelta, spesso una necessità e in alcune nazioni un diritto.

Ancora oggi capita di affrontare nella pratica clinica opinioni contrarie al bilinguismo. Una di queste, molto resistente al tempo, è che i bambini che presentino disordini dello sviluppo – da un disturbo del linguaggio, alla disabilità intellettiva, all'autismo, alla sindrome di Down – non debbano essere esposti all'apprendimento di più lingue.
Molti specialisti e operatori tendono infatti a raccomandare alla famiglia di usare solo l'italiano, che il bambino può sperimentare in tutti i posti in cui vive e cresce, a svantaggio della prima lingua (o di una seconda) materna o paterna, che viene abbandonata.
Genitori cinesi, albanesi, rumeni, arabi, peruviani oppure di nazionalità miste, da un certo punto in poi dovranno interrompere la comunicazione nella prima lingua (il cinese, l'albanese, il rumeno, l'arabo, il peruviano, ecc.) - che conoscono bene - e parlare solo in italiano - che conoscono più o meno bene - quando è presente il bambino con disordine dello sviluppo (DS).

Si tratta quindi di situazioni cliniche particolari, che seguono una tendenza del tutto opposta a quella dibattuta in ambito scientifico e che postula che i bilingui siano più intelligenti (ora sappiamo che hanno tanti benefici sociali, relazionali e professionali ma sono altrettanto intelligenti dei monolingui).

In questo caso, gli scienziati sono concordi nel promuovere il bilinguismo anche nei bambini con DS ma questa indicazione non trova applicazione pratica.

Per i bambini con DS il bilinguismo non è visto come una priorità ma spesso è controindicato.

Le opinioni e le credenze in ambito sanitario e assistenziale sono prive di valore se non sostenute da risultati scientifici condivisi e addirittura in certi casi possono diventare pericolose.

Cosa sappiamo del bilinguismo nei bambini con disordini dello sviluppo? Conoscere più lingue aggrava le difficoltà di comunicazione verbale?

La rivista Journal of Communication Disorders ha dedicato all'argomento l'ultimo numero, che permette di fare un punto sulle prove scientifiche disponibili, sulle opinioni degli operatori, sulle politiche educative e assistenziali e sulle prospettive future.

Dalle diverse indagini condotte in Canada, negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Olanda emergono, in generale, attitudini positive all'accesso al bilinguismo nei bambini con DS ma pratiche cliniche ed educative non inclusive. Insegnanti, logopedisti, specialisti, amministratori, ritengono auspicabile favorire l'apprendimento di più lingue anche nei bambini con disturbi di linguaggio ma nella pratica non lo fanno. Questa disconnessione è dovuta a proprie routine professionali, a direttive predefinite, alla scarsità di tempo e di strumenti disponibili, all'assenza di operatori multilingue nei centri di diagnosi e di riabilitazione e nella scuola.
Solo se la famiglia ha la possibilità economica di pagare due logopedisti e un insegnante di lingue a casa, allora un bambino con DS potrà avere le stesse opportunità di un bambino con sviluppo tipico di conoscere bene più lingue.

Come riassume Johanne Paradis nell'articolo introduttivo, la ricerca sul bilinguismo nei DS è complessa e deve tener conto di diversi fattori:
- specifici, come l'età di acquisizione (simultanea o sequenziale) e il tempo di esposizione a ciascuna lingua;
- clinici, come il tipo di DS, la gravità dei disturbi di linguaggio, la gravità della disabilità intellettiva;
- metodologici, come le misure di valutazione (dirette o indirette), l'età di valutazione, la lingua esaminata (la prima, la seconda, entrambe), i processi analizzati (vocabolario recettivo, vocabolario espressivo, struttura morfologica e sintattica), i gruppi di controllo (monolingui con DS, bilingui con sviluppo tipico).

Finora sono pochi gli studi che hanno considerato tutti questi fattori mentre mancano del tutto gli studi longitudinali, che permettono di osservare gli effetti del bilinguismo in un bambino con DS che diventa adolescente e adulto.

Più numerosi saranno gli studi, più dettagliate saranno le indicazioni applicative (in riabilitazione e a scuola) e potranno anche esserci delle condizioni in cui il bilinguismo sarà controindicato.

Per adesso quello che si sa è che i bambini con DS possono essere bilingui: can and do become bilingual, scrivono Elizabeth Kay-Raining Bird, Fred Genesee e Ludo Verhoeven nel loro contributo al numero speciale della rivista.
Nell'articolo dal titolo Bilingualism in children with developmental disorders: A narrative review, i tre autori adottano la definizione di bilinguismo come uso regolare di due lingue. Tale definizione, che non si basa sul livello di conoscenza, si adatta bene ai bambini con DS che, per quanto non riusciranno mai ad acquisire  completamente alcuna lingua, hanno la necessità di usare due lingue per crescere e svolgere in modo ottimale le diverse attività della vita quotidiana, nei diversi contesti.
Gli autori presentano una revisione degli studi finora condotti in tre gruppi di bambini bilingui con DS: quelli con Disturbo Specifico di Linguaggio (DSL), quelli con Disturbo dello Spettro Autistico (ASD) e quelli con Sindrome di Down (SD). Si tratta di tre condizioni che presentano difficoltà della comunicazione verbale e/o dell'interazione sociale, che nelle ultime due condizioni possono essere associate a disabilità intellettiva da lieve a severa.

Secondo quanto riportato da Kay-Raining Bird, Genesee e Verhoeven:

  • nei bambini con sviluppo tipico, i bilingui simultanei (esposti a entambe le lingue prima dei 3 anni di età) raggiungono le diverse tappe del linguaggio in tempi analoghi a quelli dei bambini monolingui; i bilingui sequenziali (esposti a una seconda lingua dopo i 3 anni) richiedono più anni per raggiungere gli stessi livelli di competenza dei monolingui. La durata dell'esposizione a ciascuna lingua è un fattore determinante nella formazione del vocabolario e della morfosintassi.

  • nei bambini con DSL, i bilingui simultanei che hanno avuto un'esposizione costante e prolungata alle due lingue dimostrano abilità analoghe a quelle dei monolingui con DSL; i bilingui sequenziali mostrano minori abilità nella seconda lingua rispetto ai monolingui con DSL.

  • nei bambini con ASD, i bilingui simultanei ottengono le stesse prestazioni dei monolingui con ASD ai test di vocabolario recettivo e nella produzione di parole. Il numero totale di parole prodotte in entrambe le lingue è molto superiore a quelle prodotte dai bambini monolingui con ASD. I bilingui sequenziali non differiscono dai monolingui con ASD. Il tempo di esposizione a ciascuna lingua è positivamente correlato con il livello di vocabolario e con le abilità pragmatiche raggiunti. Ci sono effetti negativi quando viene scelta esclusivamente la seconda lingua (quella della nazione di residenza) e abbandonata la prima lingua.

  • nei bambini con SD, i bilingui simultanei e sequenziali acquisiscono competenze verbali analoghe a quelle dei monolingui con DS, almeno nella lingua di maggioranza, e non ne traggono alcuno svantaggio.

Se confrontati con i bambini con sviluppo tipico, i bambini bilingui con DS mostrano le caratteristiche difficoltà di linguaggio di diversa gravità. Tali difficoltà sono le stesse che si osservano nei bambini monolingui con DS.

Se i bambini bilingui con DS vengono confrontati con i bambini monolingui con DS non mostrano difficoltà aggiuntive e questo si verifica nel confronto con ciascuna delle due lingue parlate dai bilingui con DS.
L'età di acquisizione della seconda lingua e il tempo di esposizione a ciascuna delle due lingue sono i fattori che condizionano le abilità verbali e la comunicazione nei bilingui con DS.

La conclusione è quindi forte:

Il bilinguismo non aggrava le difficoltà di comunicazione nei bambini con disordini dello sviluppo.

I bambini con disordini dello sviluppo devono avere le stesse opportunità dei bambini con sviluppo tipico di imparare una seconda lingua, attraverso piani individualizzati per la logopedia e per la didattica.

Non si può - certamente non in questo periodo di restrizione di risorse sanitarie, assistenziali, scolastiche – auspicare una pratica clinica, riabilitativa ed educativa bilingue ma almeno non si deprivi chi ha la fortuna di nascere in un contesto multilingue, solo perché ha un DS.

L'italiano va bene ma senza spegnere la prima lingua!

Nessun commento:

Posta un commento