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sabato 29 febbraio 2020

Le passioni di Marie Curie



Se pensiamo alle vite di scienziate e scienziati, più spesso visualizziamo persone chiuse in laboratorio o che al più frequentano spazi ristretti di vita. Queste immagini ci vengono anche dalle narrazioni stereotipate di rinunce e sacrifici, di austerità e isolamento creativo, che hanno per protagonisti molti più uomini che donne di scienza per la verità.

A loro volta queste narrazioni si sono ispirate ai reperti storici di uomini votati alla scienza come necessaria scelta sacerdotale. Come scrive Angela Saini nel libro Inferiori, “La tradizione che prevedeva il celibato maschile nei monasteri medievali si perpetuò nelle università di Oxford e Cambridge fino alla fine del XIX secolo. Ai professori non era consentito di sposarsi. A Cambridge si sarebbe atteso fino al 1947 prima che fossero assegnate lauree alle donne sulla base delle stesse regole applicate agli uomini”.

Tale scelta di ritiro dalla mondanità doveva quindi escludere le donne non solo come colleghe ma anche come possibili tentatrici: “Si pensava anche che la semplice presenza delle donne potesse disturbare il serio lavoro intellettuale degli uomini”.

Da allora ci siamo evoluti fino a ritenere che le donne possano essere ammesse ufficialmente alla scienza e ai suoi onori, purché manifestino condotte virtuose e morigerate e che si vestano e adornino con misura.

In questo scenario il film ‘Marie Curie’ della regista Marie Noëlle, in uscita il 5 marzo, è destinato a rompere parecchi stereotipi e a far tremare non poche credenze ancora attuali. Il film racconta il periodo della vita della scienziata di origine polacca che va dal 1903, quando ricevette a Stoccolma il primo premio Nobel – in fisica per la scoperta della radioattività - assieme al marito Pierre Curie, al 1911 quando tornò a Stoccolma a ritirare il suo secondo Nobel - in chimica, per la scoperta del radio e del polonio.

Ricostruendo le lettere e i documenti originali, Noëlle ha voluto affiancare al fervore per le scoperte scientifiche, all’insegnamento in fisica generale concessole non senza malumori all’Università Sorbona e all’incontro con Einstein durante il famoso Congresso Solvay del 1927, l’appassionata relazione tra Marie Curie, vedova dal 1906 dopo la morte accidentale di Pierre, e il matematico Paul Langevin, sposato e padre di quattro figli. 

La regista alterna i due sfondi, quello familiare di unione, sopravvivenza ai lutti e amore per la conoscenza e la natura a quello scientifico di esclusioni in quanto donna, di ostacoli alla realizzazione dei suoi progetti scientifici e applicativi e di condanna perché causa immorale di pubblico scandalo. Uno scandalo che le procurò continui attacchi da parte della stampa, nonché il consiglio dell’Accademia svedese – non ascoltato - di evitare di presentarsi alla cerimonia di ricevimento del secondo Nobel. Sono molto evocative le scene del film in cui Curie si reca a Stoccolma con la figlia Irène e pronuncia fiera il suo discorso di accettazione. Irène, nell’uscire assieme alla madre, si volta ad osservarla quella sala dove lei tornerà nel 1935, assieme al marito Frédéric Joliot, a ritirare il premio Nobel per la chimica.





Nel film ci sono alcune composizioni di immagini che sottolineano i momenti salienti di un’evoluzione personale e di un’emancipazione sessuale che accompagnano la maturazione scientifica.

Un esempio è dato da due scene, nella prima e nell’ultima parte del film, dove Curie/Gruszka passa da uscire frettolosamente dalla vasca da bagno col lungo camicione a entrarvi con passo lento e deciso mentre la figura si staglia eretta, svestita del camicione.

L’attrice Karolina Gruszka riesce a incarnare con luminosità la determinazione, il dolore, la sensualità, la disperazione e la lungimiranza di Marie Curie che ha affrontato la scienza e la vita con la stessa passione e con lo stesso coraggio. Lei possedeva, innate, elevate quantità dell’una e dell’altro verso la vita e verso la scienza ma, se le cerchiamo, sono distribuite in diverse dosi in ciascuna e ciascuno di noi.  



La regista Marie Noëlle richiama a cambiare la prospettiva sulla narrazione delle vite delle scienziate - ma anche di quelle degli scienziati - che sembrano troppo spesso imprigionate negli scafandri intrecciati dagli stereotipi di chi osserva.

Nelle note al film Noëlle scrive: piuttosto che limitarci a fornire uno sguardo retrospettivo su una vita fuori dal comune, volevamo raccontare la lotta di una donna per essere riconosciuta, una lotta che l’ha portata a negare molti aspetti del suo essere donna per poter seguire la propria passione per la scienza”

E aggiunge: "Il successo di Marie Curie fu tollerato fintanto che lei si prodigò devotamente e altruisticamente nelle sue ricerche accanto al marito. Una volta rimasta sola, diede scandalo osando mostrare i propri sentimenti, e fu costretta a imparare che ragione e passione non sono compatibili. L'esperienza di Marie Curie è esemplare per la vita di tutte le donne impegnate in settori tradizionalmente maschili. Perfino al giorno d'oggi"


Ulteriori letture:
- su Queryonline, L'inferiorità delle donne e la scienza
- su Valigia Blu, Donne e scienza: storie da raccontare



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