Nel 1935 il Professor Paul A. Witty e il suo allievo Martin D. Jenkins pubblicarono il caso di B, una bambina di intelligenza superiore, nera (1).
Jenkins
stava conducendo una ricerca sistematica (2) in sette scuole
pubbliche di Chicago con l'obiettivo di determinare l'incidenza di un
livello intellettivo superiore nei bambini neri. Fino ad allora i
bambini afroamericani super-intelligenti erano stati quasi del tutto ignorati
e poco si conosceva delle loro caratteristiche.
La
procedura di reclutamento prevedeva che gli insegnanti
identificassero per la propria classe: 1) il bambino più
intelligente; 2) il migliore alunno; 3) i bambini con
un'età inferiore rispetto all'anno di scuola frequentato.
Furono
così selezionati 539 bambini, corrispondenti al 6.5% della
popolazione scolastica considerata (8145 alunni). Una prima batteria
di test psicometrici fu somministrata a 512 (6.3%) dei bambini
selezionati e nella fase successiva furono individuati, attraverso la
batteria Stanford-Binet, 103 bambini con un QI uguale o superiore a
120 (45, 1.23%), di cui 29 con QI uguale o superiore a 130 e 29 con
QI uguale o superiore a 140. La media di QI nei 31 maschi era di
134.6 (ds=10.8) e nelle 72 femmine di 133.9 (ds=13.0).
Il
QI in assoluto più alto fu ottenuto da B.
La
curva a campana della distribuzione dei valori
di
QI nella popolazione generale (media=100)
|
Nell'articolo
di Jenkins si legge l'attenzione a dimostrare l'autentica genealogia
dei bambini: negli studi che consideravano etnie diverse, i
ricercatori erano tenuti a provare che non ci fosse alcun antenato
bianco nel soggetto in esame, perché questo ne avrebbe spiegato –
per motivi del tutto arbitrari - le eventuali abilità superiori.
B
fu scelta dalla sua insegnante come migliore alunna mentre
un'altra bambina di 4 anni più grande e con un QI che si rivelò
inferiore a 100 fu scelta come la più intelligente.
Dopo
la somministrazione della batteria Stanford-Binet il QI di B risultò
essere di 200, il più alto. Se si considera 100 come valore medio
del QI, statisticamente si tratta di una probabilità molto rara.
In
un editoriale del 1935 del Journal
of Negro Education (3), a commento del caso
di B, venivano delineate le implicazioni di un tale straordinario
caso.
Innanzi tutto, B
dimostrava che il gruppo etnico di appartenenza (allora si parlava
ancora di razza con intento discriminatorio) non determinava il
limite superiore del QI e smontava le conclusioni di diversi
psicologi secondo i quali i neri fossero meno intelligenti dei
bianchi.
In secondo luogo, smentiva un ipotizzato effetto negativo della scuola pubblica sul QI. Difatti, B fu scoperta in una delle scuole di Chicago che frequentavano i bambini neri e in un contesto nient'affatto culturalmente povero.
In secondo luogo, smentiva un ipotizzato effetto negativo della scuola pubblica sul QI. Difatti, B fu scoperta in una delle scuole di Chicago che frequentavano i bambini neri e in un contesto nient'affatto culturalmente povero.
In
terzo luogo, evidenziava come fossero i pochissimi studi condotti
fino ad allora sui bambini neri a influenzare i pregiudizi pervasivi
e, in generale, la scarsa attenzione data ai bambini neri con
abilità superiori, rispetto a quella con cui venivano osservati e
seguiti nel tempo i bambini bianchi.
L'autore
dell'editoriale, constatando che in quegli anni c'erano solo 25.000
studenti neri nei gradi di istruzione superiore degli Stati Uniti,
invitava ad investire più ampiamente e sistematicamente nei cervelli superiori afroamericani, per assicurare un futuro migliore del passato.
Al
momento dell'esame condotto nel 1934, B aveva 9 anni e 4 mesi ed era
in quinta primaria, dopo aver ricevuto non più di una doppia
promozione: avanzando di un ulteriore grado sua madre temeva di
staccarla troppo dal gruppo di coetanei.
B
era nata il 18 novembre del 1924, era figlia unica. Alla nascita la
madre aveva 27 anni e il padre aveva 31 anni.
B
fece i primi passi a 8 mesi per inseguire un cane ma raggiunse
stabilmente la deambulazione autonoma a 12 mesi.
Nel
linguaggio era stata più precoce: a 16 mesi pronunciava frasi
semplici e mostrava un ampio vocabolario; a 2 anni ripeteva le
filastrocche.
Imparò
precocemente anche l'alfabeto e a 4 anni iniziò a leggere.
Le
sue curve di crescita in altezza e peso erano nella norma ed era in
ottima salute.
All'epoca
dell'esame la sua definizione di mosaico
era: un certo numero di pietre dai colori vivaci – no, di tessere -
messe insieme per formare un disegno. La definizione per
tesoreria: il posto dove un gruppo collaborativo di persone
mantiene il denaro. E, per forfait: una rinuncia, non
un sacrificio. Così, B, all'età di 9, era in grado di distinguere le sfumature nella responsabilità di una scelta.
Il
suo comportamento non presentava aspetti critici: B era regolare
nelle abitudini, aveva un normale ritmo sonno-veglia, non soffriva di
paure specifiche, si adattava rapidamente ai diversi contesti di vita
e si integrava con successo nel gruppo di coetanei.
La
madre di B era un'insegnante; il padre era un ingegnere elettrico
laureatosi all'Università Cornell.
I
nonni, in linea materna e paterna avevano ricoperto ruoli di
responsabilità in varie aziende.
La
madre sottolineava la pura discendenza afroamericana di B: non si rintracciava
alcun antenato bianco nella linea materna o materna.
B
non giocava con le bambole, non mostrava particolare abilità o
interesse per la musica. Preferiva la scienza e, in particolare, la
chimica.
Per
Jenkins e per Witty, B era la prova che si potessero osservare doti
straordinarie anche nei bambini che avevano affrontato le conseguenze
e le sfide del razzismo e le cui esperienze di vita erano
sostanzialmente diverse dalle loro controparti bianche.
Il
loro studio fu fondamentale nel dimostrare che tra i bambini neri e
bianchi di intelligenza superiore non c'erano differenze di incidenza
e caratteristiche.
La
posizione dei due autori tra gli opposti estremismi rappresentati
dagli innatisti (l'itelligenza è determinata dai geni) e dai
comportamentisti (l'intelligenza è determinata
dall'addestramento) era moderata: le doti dei bambini così
ampiamente osservati potevano essere ricondotte a un'eredità
biologica fortunata, con in più opportunità abbastanza buone di
sviluppo cognitivo.
While both the extreme hereditarian and the environmentalist can find in these data ample support for dogmatizing concerning the importance of heredity or of environment, the writers, after months of study of this child and the social setting, believe that the provenance of this child’s rare ability can be traced to a fortunate biological inheritance plus a fairly good opportunity for development.
Infine,
Witty introdusse un concetto più generale relativo al talento
individuale: nella sua pionieristica visione, l'intelligenza ne era
solo un aspetto e si dovevano considerare anche le abilità e le
opportunità.
Un
QI elevato non significa necessariamente creatività produttiva
o successo.
There must be, in addition to ability, the desire to achieve and a favorable environment. High I.Q. does not necessarily mean high creative productivity.
Seguendo
le sue conclusioni, si può parlare di un bambino
prodigio solo nel caso in cui la sua prestazione in una
determinata e particolare attività sia costantemente e ripetutamente
straordinaria
[…] to consider any child as ‘gifted’ whose performance, in a valuable line of human activity is consistently or repeatedly remarkable.
Era
il caso di B, che nacque tra tre giorni, 91 anni fa.
Non
si sa se poi abbia realizzato la sua aspirazione a diventare un
chimico.
Ha
sicuramente contribuito a distruggere molti pregiudizi razziali e a
migliorare i percorsi educativi per i bambini con doti intellettive
superiori.
Resta
valida l'importanza di individuare precocemente (in II o III
primaria) il livello di intelligenza - indipendentemente dall'etnia,
dal genere, dallo status economico -, per fornire nei casi di QI
superiore, così come avviene per i casi di QI inferiore alla media,
le più adeguate strategie e traiettorie di apprendimento.
1)
Witty PA, Jenkins MD. (1935). The case of ‘B’—a gifted Negro
girl. Journal of Social Psychology, 6, 117–124
2)
Jenkins MD. (1936). A socio-psychological study of Negro children of
superior intelligence. Journal of Negro Education, 5(2), 175–190.
3)
Editorial Comment: Investing in Negro Brains (1935). Journal of
Negro Education, 4(2), 153–155.
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