Una conversazione con Silvia Savazzi.
Vedere
ci serve per riconoscere e dare un significato agli oggetti e per
localizzarli e usarli nelle nostre azioni. Fino a qualche anno fa si
riteneva che la percezione visiva per il riconoscimento – mediata
dalla via ventrale occipito-temporale del nostro cervello –
richiedesse la consapevolezza e che la percezione per l'azione –
mediata dalla via dorsale occipito-parietale – avvenisse al di
fuori della consapevolezza.
Milner e Goodale 1995 |
La
percezione per il riconoscimento ci serve ad esempio a distinguere la
moneta per prendere il caffè alla macchinetta – ci fermiamo un
attimo, lasciamo da parte quella bicolore -, mentre la percezione per
l'azione ci serve ad inserire correttamente la moneta nella fessura,
adattando senza esitazioni la posizione e la traiettoria di movimento
del braccio e della mano – rapidamente e senza farci caso.
Sono
da un lato gli studi sperimentali e dall'altro gli studi di casi
clinici con lesioni selettive lungo una delle vie visive a permettere
di analizzare l'affascinante dissociazione tra la visione e la
consapevolezza.
Nell'ultimo
anno, nuove ricerche hanno aperto nuovi scenari, dimostrando che la
distinzione tra le due vie visive sulla base della consapevolezza
potrebbe non essere così definita.
Diventa
quindi cruciale stabilire 'dove' ha origine la coscienza per
comprendere meglio come il nostro cervello elabora gli stimoli visivi
provenienti dall'ambiente.
Ne
ho parlato con Silvia Savazzi, Professore associato al Dipartimento
di Scienze Neurologiche Biomediche e del Movimento dell'Università
di Verona. Era tra le tre valorose donne (assieme ad Anna Berti e a
Gabriella Bottini) presenti alla giornata in onore di Giovanni
Berlucchi, tenutasi a Verona lo scorso 22 settembre, nella quale sono
state presentate le ricerche più recenti sulla fenomenologia e
neurologia della coscienza.
All'interno
del PandA Lab, assieme ai suoi collaboratori, Savazzi si
propone l'ambizioso progetto di studiare “come, quando e dove”
origina nel nostro cervello la percezione cosciente.
Con
molta generosità e disponibilità ha accettato di rispondere ad
alcune domande e nel delizioso scambio di mail a un certo punto ha
inserito anche la visione utropica - “è una libera
traduzione di utrocular discrimination” - intendendo che nell'area
visiva primaria (V1) “ci sono neuroni che rispondono solo alle
informazioni provenienti da un occhio e non dall’altro ma noi non
ne siamo consapevoli”, in determinate condizioni.
-
Qualche mese fa su Neuropsychologia è stato pubblicato
l'articolo che descrive gli studi che hai condotto con Chiara Bagattini e Chiara Mazzi (2015) sulla localizzazione della
consapevolezza nelle vie visive. Un lavoro iniziato con Chiara Mazzi e Francesca Mancini (2014). Dove avete trovato la coscienza della
percezione visiva?
Certo
che come prima domanda ci vai giù duro! Avessi questa risposta
dovrei imparare a dire “Grazie per il premio” in svedese. Scherzi
a parte, quello che ci dicono i nostri dati è che l’attività dei
neuroni che si trovano nel solco intra-parietale può generare
consapevolezza visiva. Per dirlo in un modo molto di moda in questo
periodo, il solco intra-parietale sarebbe quindi uno dei nodi
all’interno della rete di aree che concorrono alla generazione
della consapevolezza. Ovviamente questo non è l’unico luogo nel
nostro cervello dove l’attività neurale correla con la
consapevolezza, ma prima dei nostri esperimenti si pensava (e credo
molti continuino a pensarlo) che l’area che abbiamo studiato non lo
potesse fare.
-
Il processo di revisione dei due articoli è stato lungo? Li avete
sottoposti ad altre riviste scientifiche prima di Neuropsychologia?
Ti
rispondo così. La fase di pubblicazione del primo lavoro è durata
così tanto che due delle persone coinvolte (Francesca Mancini e
Chiara Mazzi) hanno avuto tutto il tempo di avere tre figli. Un
gestazione lunghissima, quella dell’articolo intendo. Il processo
di revisione del primo lavoro è stato veramente complicato (col
secondo è stato più veloce ma siamo sempre nell’ordine
dell’anno). Il primo lavoro è stato pubblicato dopo cinque rifiuti
da parte di altre riviste scientifiche e anche con la sottomissione a
Neuropsychologia ci hanno dato del filo da torcere. Credo che la
motivazione principale stesse nel fatto che i nostri dati non erano
facilmente interpretabili secondo un paio di teorie scientifiche ben
consolidate (il modello di Milner e Goodale e quello di Lamme) e,
giustamente, prima di accettare gli articoli ci hanno fatto le pulci.
-
Nell'ultimo studio alla domanda 'dove' si sviluppa l'esperienza
cosciente, avete aggiunto la domanda 'quando': perché è cruciale
conoscere la dinamica della percezione visiva e con quali procedure
sperimentali avete risposto a ciascuna delle due?
Ad
entrambe le domande abbiamo cercato di rispondere generando
consapevolezza visiva in soggetti sani e pazienti con deficit di
campo visivo grazie all’uso della stimolazione magnetica
transcranica (TMS) e misurando le risposte neurali che correlavano
con essa grazie all’uso dell’elettroencefalografia (EEG). Io
credo che sia importante anche definire il quando dell’esperienza
cosciente perché conoscere le dinamiche temporali di un fenomeno
come la consapevolezza visiva è essenziale per capire, sempre nella
metafora dei nodi della rete, quali aree abbiamo il primato di
innescare il processo che ha come risultante l’esperienza
cosciente. Capire in quali aree (il dove) del cervello l’attività
neuronale correla con la presenza o l’assenza di esperienza
cosciente è importante per capire quali siano i nodi della rete.
Capire cosa succede prima e cosa dopo (il quando) ha il potere di
dirci l’attività di quale area causa l’attività in alte aree,
dandoci quindi non solo l’informazione su quali nodi della rete
siano importanti per l’esperienza cosciente ma anche di capire i
rapporti di causa-effetto che ci sono tra questi nodi.
-
I risultati – esposti con pacatezza e quasi cautela –
rivoluzionano una delle conoscenze ritenute acquisite fino a qualche
mese fa: la percezione cosciente si verifica lungo la via ventrale
che ci permette di riconoscere le cose nel loro significato mentre la
trasformazione delle informazioni visive in azioni che avviene lungo
la via dorsale è al di fuori della coscienza. La vostra scoperta che
implicazioni ha per le teorie della percezione visiva?
I
nostri dati sono controversi, la pacatezza e la cautela sono
d’obbligo. Per quanto riguarda la via ventrale direi che tutto
rimane invariato. Quello che dicono i nostri dati è che anche la via
dorsale può avere accesso alla coscienza. Credo però che il modello
delle due vie rimanga sempre valido, con una suddivisione del lavoro
tra le due vie che dipende da cosa ci dobbiamo fare con le
informazioni che riceviamo. Quello che possiamo dire è che anche nel
controllo delle azioni “on-line”, ossia il principale lavoro
della via dorsale, ci possa essere accesso alla consapevolezza.
Quello che secondo me sarà interessante per il futuro è capire di
che tipo di consapevolezza stiamo parlando per la via dorsale.
Sospetto di un tipo diverso, forse più rudimentale, di quella
generata nella via ventrale.
-
Come hanno reagito Milner e Goodale [autori dell'articolo di
riferimento del 1992]?
Di
reazioni da parte di Milner non ho notizia, ma vista la posizione
espressa nel suo articolo del 2012, nel quale alla domanda del titolo
“Is visual processing in the dorsal stream accessible to
consciousness?” [Milner 2012] risponde di no, sospetto che non
sarebbe d’accordo con quanto diciamo noi. Ho invece parlato con
Goodale il quale mi è sembrato molto più possibilista
nell’accettare che anche la via dorsale possa avere accesso alla
consapevolezza.
-
Alla giornata dedicata a Berlucchi, Vallar ha proposto una
spiegazione alternativa, riferendosi a un'iniziale ipotesi di
Rizzolatti (Rizzolatti e Matelli, 2003): esiste una terza
via ventrale-dorsale nel sistema visivo?
Io
non penso che sia una spiegazione alternativa ma sì, esiste una
terza via. Per dirla meglio, secondo Rizzolatti e collaboratori, la
via dorsale sarebbe costituita da due vie, una dorso-dorsale e una
ventro-dorsale (il primo lavoro che mi viene in mente come
riferimento è quello di Rizzolatti e Matelli del 2003 ma ce ne sono
molti altri). La via dorso-dorsale è la via classica descritta dal
modello di Milner e Goodale, che servirebbe per la trasduzione
visuo-motoria delle informazioni visive in azioni e sarebbe
inconsapevole. La via ventro-dorsale invece sarebbe sempre coinvolta
nelle azioni ma con un ruolo cruciale anche nella percezione dello
spazio, e darebbe quindi ragione del fenomeno del neglect (che, come
sai, è l’altra metà del mio cuore scientifico), e sarebbe una via
consapevole. La proposta di Vallar faceva riferimento a quest’ultima
via e si chiedeva se noi non stessimo stimolando la via
ventro-dorsale, e quindi nessuna sorpresa che trovassimo
consapevolezza, e non la via dorso-dorsale. Rispondere a questa
obiezione (una delle tante fatteci dai revisori) sarebbe lungo qui,
ma nei nostri articoli ci sono diverse pagine in cui diciamo perché
rimaniamo convinte che quella da noi stimolata fosse la via
dorso-dorsale.
-
Se V1 non è necessaria per la coscienza, ha un ruolo cruciale nella
percezione visiva?
Direi
proprio di sì. Come tutti sappiamo, un danno alla V1 causa un
deficit visivo e il paziente non è più consapevole di una parte del
suo mondo visivo. Rimango quindi convinta che la V1 abbia un ruolo
cruciale nella visione consapevole normale. Questo però non
significa che sia un correlato neurale della consapevolezza. Altri
meglio di me hanno spiegato perché la V1 non può essere parte del
network che genera consapevolezza, mostrando come l’attività in V1
non correli con la consapevolezza (un esempio tra tanti sono le
microsaccadi, piccolissimi movimenti che il nostro occhio fa
continuamente, che modificano l’attività dei singoli neuroni in
V1 ma non alterano la nostra esperienza cosciente). Il ruolo cruciale
di V1 nella visione consapevole per me sta nella posizione che occupa
lungo le vie visive e per le caratteristiche dei suo neuroni ma la
consapevolezza è generata altrove. Quando c’è un danno in V1,
tutte le aree che ricevono afferenze da V1 sono influenzate dal danno
e modificano la loro attività. Secondo me, quando pensiamo al danno
in V1 che causa deficit di campo visivo, dovremo tener conto
dell’impatto del danno (in termini di attività neurale) non solo
nell’area danneggiata ma in tutte le aree visive che ricevevano, e
dopo il danno non ricevono più, informazioni da V1.
-
Lo studio dei pazienti con deficit di campo visivo causati da lesioni
della corteccia visiva è fondamentale per comprendere il ruolo di V1
nella consapevolezza. Tali soggetti forniscono l'affascinante
opportunità di studiare la coscienza molto da vicino: a quel livello
in cui si ha la percezione visiva ma non si arriva all'esperienza
soggettiva. Quali sono le procedure per rilevare la presenza di
visione cieca?
Le
procedure sono moltissime. In generale le si possono distinguere in
due grandi gruppi: i metodi diretti e i metodi indiretti. I primi
consistono nel chiedere al paziente di fornire una risposta sulla
caratteristica di uno stimolo presentato nel campo cieco (esempio,
dire se uno stimolo è fermo o in movimento, indicare col dito o
spostare gli occhi sulla posizione dello stimolo, ecc). I secondi
invece si basano sul potere dello stimolo non percepito
consapevolmente di influenzare la risposta del paziente ad uno
stimolo percepito (es. la velocizzazione dei tempi di reazione ad uno
stimolo nel campo sano quando un altro stimolo è presentato nel
campo cieco). Tutti questi metodi si basano sul report del paziente
che ti dice che lo stimolo presentato non viene da loro percepito
consapevolmente (in caso contrario non potremo parlare di visione
cieca o blindsight). Giusto per farti incuriosire un po’, ti dico
che stiamo lavorando proprio sull’idea di quanto affidabili siano i
report dei pazienti quando dicono che hanno o non hanno visto uno
stimolo e ci siamo chiesti se un fenomeno così complesso come la
consapevolezza visiva sia davvero misurabile con una scala
tutto-o-nulla (vedo/non vedo) come quella usata fino ad ora. I
risultati che stiamo trovando, in studi comportamentali con pazienti
emianopsici e in soggetti sani con l’EEG, sono davvero intriganti e
ci fanno pensare che il modo in cui misuriamo la presenza o meno di
consapevolezza dovrebbe tener conto della qualità dell’esperienza
visiva e non essere quindi una misura tutto-o-nulla.
-
Puoi descrivere il tuo laboratorio e gli strumenti di lavoro?
Devo
dire che sono piuttosto fortunata; nel mio laboratorio, dove adesso
lavorano tre dottorandi e un’assegnista di ricerca, abbiamo a
disposizione molto spazio per i laboratori e diverse attrezzature.
Oltre a diversi laboratori per studi puramente comportamentali dove
si fanno esperimenti al computer e testing neuropsicologico, abbiamo
a disposizione una TMS e un sistema EEG. La cosa però che adoro
maggiormente è che i nostri laboratori sono bellissimi, con pareti
nere opache, e che la gente che ci vive dentro (per gli esperimenti
che facciamo, durano sempre un’eternità, è proprio il caso di
dirlo) è stupenda. Come ho detto all’inizio, sono fortunata.
-
Quanti fondi di ricerca hai a disposizione ogni anno?
Questa
è la battuta di fine intervista vero? Purtroppo gli unici fondi di
cui dispongo sono quelli derivanti dal FUR (fondo unico per la
ricerca) che ci viene dato dall’Ateneo. Per fortuna il mio Ateneo
(e a cascata il mio Dipartimento, che ha fatto un grandissimo lavoro
su questo) ha adottato un regolamento di suddivisione dei fondi che
tiene conto della produttività dei ricercatori. Con questi fondi
quindi riesco ogni anno a pagare un assegno di ricerca, andare in
giro (poco) per congressi e a comprare un po’ di attrezzatura per i
laboratori. Di questi tempi non mi posso proprio lamentare.
Bagattini
C, Mazzi C, Savazzi S. (2015). Waves of awareness for occipital and
parietal phosphenes perception. Neuropsychologia, 70: 114-125.
Goodale
MA e Milner AD. (1992). Separate visual pathways for perception and
action. Trends
in Neurosciences, 15, 20–25.
Milner
AD. Is visual processing in the dorsal stream accessible to
consciousness? Proc Biol Sci. 2012 Jun 22;279(1737):2289-98.
Rizzolatti
G, Matelli M. Two different streams form the dorsal visual system:
anatomy and functions. Exp Brain Res. 2003 Nov;153(2):146-57. Epub
2003 Aug 28. Review.
Mazzi
C, Mancini F, Savazzi S. (2014). Can IPS reach visual awareness
without V1? Evidence from TMS in healthy subjects and hemianopic
patients. Neuropsychologia, 64:134-144.
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