La
mentalizzazione a scuola
Nel Regno Unito, 5000 insegnanti sono stati formati per insegnare ai loro
alunni anche la mentalizzazione – mindfulness -, una tecnica
di meditazione di derivazione buddista.
Si
tratta di un investimento governativo di diversi milioni di sterline,
caldeggiato dal Gruppo Parlamentare per la Mentalizzazione, che ha
raccomandato al Dipartimento dell'Istruzione britannico di
individuare le scuole in cui applicare “il pioneristico
insegnamento della mentalizzazione”. C'è chi ha definito “sessioni
di quiete” quegli spazi di riflessioni durante le ore scolastiche
ritenendoli necessari dopo il calo delle tradizioni religiose e
diversi parlamentari hanno espresso commenti entusiasti.
Tanti
sostenitori e tanti soldi proprio in questi anni di crisi, che vedono
anche il progressivo assottigliarsi delle risorse destinate alla
salute mentale.
La
mentalizzazione è ancora in fase di studio nell'ambito delle diverse
tecniche della psicoterapia, condotta da specialisti in contesti
controllati.
La
mentalizzazione a scuola consiste di sessioni di 10-20 minuti in cui
i bambini imparano a respirare lentamente, a rilassarsi, a
immaginare. Proprio come farebbero in una sessione di ascolto
musicale, di arte o durante una passeggiata all'aperto guardando le
nuvole. I benefici di questi esercizi possiamo sperimentarli tutti.
Per ora i commenti dei bambini sono l'unica prova di efficacia.
Non
esiste uno studio su grandi numeri e con un gruppo di controllo,
fondamentale per dimostrare, a parità di altre condizioni, che la
mentalizzazione abbia più effetto ad es. dell'ascolto musicale o del
guardare le nuvole. Non esiste uno studio in cieco, dove chi valuta i
bambini prima e dopo le 'sessioni di quiete' non è coinvolto e non
sa a quale tipo di sessioni abbiano partecipato (mentalizzazione,
ascolto musicale o guardare le nuvole) e può quindi essere più
obiettivo. Non esistono studi a lungo termine che dimostrino che le
'sessioni di quiete' fanno stare bene a lungo e non solo nella
giornata in cui si svolgono. Non c'è alcuna evidenza che questi
esercizi siano efficaci sui disturbi mentali o sulla loro
prevenzione. Per una revisione delle prove scientifiche attuali delle applicazioni a scuola: Chadwick & Gelbar, 2016.
Devono ancora essere identificati i prerequisiti
cognitivi ed emotivi per la loro applicazione.
C'è
chi ha parlato di “McMindfulness”. Vale lo stesso per le sessioni
di empatia. In effetti, si tratta dell'offerta promozionale di
pacchetti di quiete che puoi acquistare da chiunque abbia il marchio.
L'autismo
in risonanza
L'agenzia
di stampa Adnkronos
proclamava così il 15 febbraio scorso: Prevedere
l'autismo, identificate 'spie' nel cervello dei bimbi a rischio.
E
La
Repubblica
del 16 febbraio:
Autismo,
la ricerca: diagnosi precoce basata su sviluppo del cervello.
Entrambi
i titoli si riferivano a uno studio scientifico pubblicato sulla
prestigiosa rivista Nature.
Gli autori Hazlett e collaboratori hanno analizzato le risonanze
magnetiche a 6, 12 e 24 mesi di un gruppo di bambini ad alto rischio
di autismo – fratelli o sorelle di bambini con diagnosi di autismo
– confrontandole con quelle di un gruppo di bambini a basso
rischio.
In
base a tre parametri – il volume cerebrale totale, la superficie
corticale e lo spessore della corteccia – gli autori hanno rilevato
lievi differenze a 24 mesi in due parametri: un maggior volume e una
maggiore superficie nei bambini a rischio di autismo. Questo
risultato concorda con altri studi ma data l'ampia variabilità dei
due parametri nei bambini ad alto o basso rischio di autismo non
permette di arrivare a conclusioni definitive. Allora Hazlett e
collaboratori sono andati a confrontare i due parametri – volume
cerebrale e superficie corticale - in 78 regioni nel cervello di un
sottogruppo di bambini, a 6 e a 12 mesi.
Applicando
diversi algoritmi, sono stati identificati per autismo 30
bambini ad alto rischio, e solo 7 dei bambini a basso rischio (falso
positivo).
Come spiega
Jon Brock sul Guardian – mostrando le sue analisi dei dati
e fornendo nei commenti all'articolo anche la sintassi per rifarle –, la potenza dei modelli statistici usati da Hazlett e
collaboratori è molto bassa ed è limitato anche il numero di
bambini inseriti nei diversi livelli di analisi. Inoltre, i bambini
durante la risonanza erano addormentati ma ogni piccolo movmento invalida l'esame stesso e questo ha ridotto molto i dati
disponibili per ciascuno di essi. Il valore predittivo dei parametri individuati rimane
in sostanza molto basso e non sufficiente a giustificare risonanze
magnetiche ripetute a 6 e a 12. Rimane comunque interessante questo
indirizzo di ricerca per arrivare a caratterizzare – con studi a
maggiore numerosità e potenza metodologica – le specificità
cerebrali dei disturbi neuroevolutivi.
Oggi,
non è ancora possibile identificare precocemente l'autismo, che si
manifesta intorno ai due anni di età e richiede un lungo processo di
osservazioni, esami e test per la diagnosi clinica.
Contemporaneamente vengono attivati i precorsi riabilitativi che
quanto più sono precoci più si dimostrano efficaci nel lungo
termine.
Nessun commento:
Posta un commento