tizianametitieri.net

mercoledì 3 settembre 2014

"Il ragazzo che credeva d'essere un melone"


Un bellissimo caso clinico per osservazione psicopatologica e interpretazione teorica descritto da Tommaso Campanella nel 1635 (1) e citato per esteso da Alessandro Dini (2).

"Io stesso ho fatto l'esperienza di un ragazzo che, consumandosi per il calore dell'estate, alla vista di meloni putrefatti immaginò di andare anche lui in putrefazione e di sudare per questo, e subito credette di essere un melone in decomposizione e così affermava. 

Era di bell'aspetto, ma di temperamento melanconico: nel suo spirito, non appena credette di essere un melone, le fuliggini volatili impedirono l'avvertenza e il discorso, e poiché l'affezione non cessava, perseverò nell'idea di essere un melone, e quanto più ci pensava tanto più era affetto dalla specie del melone, e si credette tale per alcuni giorni, finché non cessò la calura. 
Pertanto, l'umore melanconico non procura l'inganno a colui che immagina, ma offre l'occasione di immaginare e pone l'impedimento per non avvertire. Allo stesso modo, coloro che credono di essere dei galli o dei vasi di coccio o altre cose, sbagliano per il giudizio e la credenza: infatti, qualunque cosa si dà loro a vedere quando si trovano in qualche affezione, subito ripongono in essa la loro credenza."

E più sopra scriveva:

"Infatti, non è l'immaginazione a sbagliare quando immagina un centauro o un ircocervo, in quanto essa produce davvero in sé l'immagine del centauro, ma sbaglia la credenza o il giudizio, se crede che in realtà ci sia ciò che l'anima immagina."

Nella concezione della filosofia naturale di Campanella: 

"Il senso è la percezione di un oggetto presente; la memoria è senso anticipato [qui è interessante citare quanto formulerà tre secoli più tardi Tulving sulla memoria episodica, intesa come proiezione sia nel passato sia nel futuro]; la fede è consenso, ossia sentire per mezzo di altro; l'immaginazione non è sentire la cosa, ma l'immagine che rappresenta la cosa; la ragione è sentire in altro, cioè nel noto l'ignoto e discorrere da quello a questo; l'intelletto è penetrazione fino a pervenire a una cosa che non è sentita; il giudizio è discernimento di tutte le cose notate. Se, dunque, sentiamo o riteniamo di sentire qualcosa, sentiamo necessariamente o una cosa o l'immagine che rappresenta una cosa data; ciò che non è, infatti, non può muovere il senso, né la ragione né l'intelletto."


Il disegno, non me ne volere, è uscito dalla mia matita.


1. Campanella Tommaso. Medicinalium iuxta prorpia pincipia libri septem, Lugduni, Ex Officina Ioannis Pillehotte, 1635, 340-342.

2. Dini Alessandro (a cura di). Il medico e la follia. Cinquanta casi di malattia mentale nella letteratura medica italiana del Seicento. Firenze, Casa Editrice Le Lettere, 1997, 67-70.

Nessun commento:

Posta un commento