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sabato 13 giugno 2020

Due ippocampi per sognare. Il sonno e i sogni nell'amnesia



Due intriganti studi appena pubblicati rivelano nuovi rapporti tra il ricordare e il dormire.
Com'è il sonno quando la memoria viene persa a causa di una lesione bilaterale degli ippocampi? E come sono i sogni?

Ippocampo (in verde)


Sono le domande che si è posta Goffredina Spanò, assieme ai suoi collaboratori nel gruppo di ricerca di Eleanor Maguire, una neuroscienziata tra le più interessanti e straordinarie*.

Nell'articolo pubblicato su Current BiologySleeping with Hippocampal Damage -, Spanò e collaboratori scrivono: “L'ippocampo gioca un ruolo critico nei processi di memoria correlati al sonno ma non è chiaro quali caratteristiche specifiche del sonno siano dipendenti da questa struttura cerebrale. L'esame della fisiologia del sonno in pazienti con danno ippocampale bilaterale e amnesia potrebbe fornire delle prove su questi rapporti”.

I pazienti amnesici sono finora stati studiati in modo molto approfondito in veglia, anche in compiti di immaginazione, ma ci sono pochi studi sul loro sonno.

Per gli scopi della ricerca sono state quindi reclutate 4 persone amnesiche molto speciali. Si tratta di quattro uomini, destrimani, con un'età media di 59 anni che alcuni anni fa (una media di circa 9 anni fa) hanno subito un danno bilaterale degli ippocampi a causa di un'encefalite limbica con anticorpi LGI1. Il danno cerebrale causato dall'encefalite si è localizzato a livello dell'ippocampo, nella regione temporo-mesiale di ciascun emisfero cerebrale, senza estendersi ad altre aree.
La localizzazione molto circoscritta della lesione e l'assenza, dopo il ricovero ospedaliero, di crisi epilettiche e altri segni clinici, nonché di sintomi psichiatrici e disturbi dell'umore rende possibile ricerche molto approfondite sui diversi effetti della selettiva mancanza degli ippocampi. Difatti, tutti e quattro sono molto studiati da diversi neuropsicologi.

Per analizzarne il sonno, Spanò e collaboratori hanno richiesto loro di completare dei questionari sulle abitudini del dormire (ad es., se fossero mattinieri o nottambuli, se facessero il riposo pomeridiano, ecc.) e li hanno poi sottoposti a polisonnografia che, con il posizionamento di appositi elettrodi, ha permesso di visualizzare e registrare l'elettroencefalogramma, i movimenti oculari, la frequenza cardiaca e altri parametri. Attraverso un apposito strumento diagnostico veniva misurata anche l'eventuale presenza di apnee notturne e con un altro dispositivo venivano monitorati i ritmi sonno-veglia per un periodo di 7 giorni consecutivi.

Le misure qualitative e quantitative, soggettive e oggettive utilizzate nello studio sono quindi numerose e tali da garantire un'accurata e prolungata misurazione delle diverse caratteristiche del sonno in ciascun soggetto.

La polisonnografia veniva registrata a casa dei soggetti (sia delle quattro persone amnesiche sia di 10 soggetti di controllo), in modo da rendere lo studio più ecologico possibile. 
I dati sono stati raccolti in quattro notti per ogni soggetto ma ai fini delle analisi statistiche la prima notte di registrazione è stata esclusa perché ritenuta di familiarizzazione dei partecipanti con la procedura. Attraverso tutti i dati delle tre notti sono stati quindi determinati i profili medi individuali e i profili medi di gruppo (soggetti amnesici versus controlli) sulla qualità del sonno, la sua macro- e micro-architettura, la sua stabilità e frammentazione.


Nei quattro soggetti amnesici, Spanò e collaboratori hanno osservato una sistematica e sostanziale riduzione, rispetto ai controlli, delle onde lente del sonno non-REM (1.6 minuti in media per i soggetti amnesici a fronte di 21.73 minuti per i controlli, che per questi ultimi sono appropriati all'età).
Le altre componenti del sonno (ore totali, sonno REM, risvegli notturni) non presentavano differenze tra i due gruppi.

Il controllo degli artefatti, delle eventuali apnee notturne e della familiarizzazione con la procedura escludono spiegazioni incidentali del fenomeno.

Per gli autori, la quasi totale assenza di sonno a onde lente nei soggetti amnesici deriverebbe dall'incapacità del cervello di produrre oscillazioni di durata sufficiente a soddisfare i criteri per la stadiazione del sonno. Le onde lente e sincronizzate restano presenti nell'EEG ma sono rare.
Oltre alla riduzione del sonno lento e della densità di attività lenta, anche la strutturazione dei fusi appariva ritardata.

Ciò suggerisce che l'ippocampo potrebbe mediare queste associazioni e mettere a punto i tempi degli eventi corticali...”.

La relazione tra le differenze individuali nella struttura dell'ippocampo e le variazioni nelle oscillazioni del sonno non REM (fusi e onde lente) era stata dimostrata già da altri ricercatori come Saletin e collaboratori (2013, 2016).

I risultati di Spanò e colleghi, come ha scritto proprio Jared Saletin in un commento su Current Biology, aprono una nuova possibilità: che l'ippocampo – o i suoi segnali mnesici – siano necessari per la generazione delle onde lente. Se le onde lente servono fondamentalmente alla memoria, l'assenza di memoria non le rende più necessarie.

Le lesioni dell'ippocampo causerebbero, quindi, anche un'alterazione specifica nell'architettura del sonno, in particolare nella strutturazione delle oscillazioni e dei fusi del sonno lento.

Saranno necessarie ulteriori repliche di questo studio che per ora dimostra elegantemente un ruolo significativo dell'ippocampo anche nella fisiologia del sonno.


Nell'articolo su eLifeDreaming with Hippocampal Damage -, Spanò, Maguire e colleghi si sono immersi in quella esperienza mentale soggettiva internamente generata che si verifica durante il sonno: il sogno.

I sogni hanno ricevuto le più svariate interpretazioni: religiose, psicoanalitiche, premonitrici, cabalistiche o legate alla memoria.

Mary Calkins (1863-1930), pioniera della psicologia che si vide negare il dottorato ad Harvard in quanto donna, già nel 1890 iniziò a condurre esperimenti sui sogni. Assieme al collega Edmund Sanford (1859-1924) decisero di svegliarsi ciascuno a ore diverse nella notte per annotare tutte le informazioni relative ai loro sogni. Calkins, affermando il primato dell'osservazione e del metodo sperimentale, concluse che il sogno riproduce gli eventi, gli episodi e le persone della percezione in veglia e si contrappose così alla teoria freudiana dei sogni allora in auge.

Più recentemente, è stato dimostrato che il sognare ha rapporti con i processi di consolidamento della memoria.

I dati finora disponibili sul sogno delle persone amnesiche sono contrastanti sia per i metodi di raccolta dei dati in fasi diverse del sonno, sia per la selezione di pazienti con lesioni o difficoltà più estese.

Studiando, dopo la fisiologia del loro sonno, i sogni dei quattro speciali soggetti amnesici, Spanò e colleghi si sono orientati a comprendere se gli ippocampi siano necessari per sognare.

Con le stesse apparecchiature dello studio precedente i ricercatori si sono recati per due notti nelle case di tutti i partecipanti (i 4 soggetti amnesici e i 10 controlli). Mentre il soggetto studiato dormiva, due ricercatori ospitati in una stanza attigua controllavano le fasi del sonno in tempo reale con l'elettroencegalogramma. Ogni partecipante veniva quindi svegliato in fasi di sonno non-REM e REM (a tre minuti dal loro inizio) per una decina di volte a notte.

Non vi erano intervalli fissi per tutti i partecipanti (ad es., risveglio dopo ogni ora dall'addormentamento) proprio perché gli stadi del sonno e la loro durata hanno un andamento individuale.

Il soggetto veniva svegliato inviando un suono di 500Hz seguito eventualmente dalla chiamata per nome e, una volta sveglio, gli veniva chiesto di dire tutto quello che gli era passato per la mente prima del risveglio. Potevano seguire domande del tipo “Mi può dire di più?” allo scopo di raccogliere, attraverso un protocollo strutturato, tutte le informazioni possibili sull'attività onirica immediatamente precedente.



I sogni riferiti venivano classificati attraverso apposite scale di misura in base a: frequenza (numero totale di sogni/numero totale di risvegli), numero di parole per descriverlo, complessità, vividezza, bizzarria/implausibilità, valenza emotiva, dettagli esterni e interni.

I risultati ottenuti da Spanò, Maguire e colleghi dimostrano che i quattro soggetti amnesici riportavano una minore frequenza di sogni rispetto ai controlli, indipendentemente dal sonno REM e non-REM.
Uno dei partecipanti amnesici non aveva fatto neppure un sogno!

È possibile che i soggetti amnesici pur avendo sognato non ricordassero più il sogno al momento del risveglio?

Non essendo possibile misurare oggettivamente quando si sogna, Spanò e collaboratori avevano distinto tre tipi di reazioni dei soggetti al risveglio: riferivano un sogno (Dream); riferivano di non aver sognato (NoDream); riferivano di aver sognato ma di non ricordarne il contenuto (Blank Dream).

Sebbene ci fossero differenze statisticamente significative per le risposte Dream e NoDream tra soggetti amnesici e controlli, i due gruppi non differivano nella proporzione di risposte Blank Dream, che era bassa in entrambi i gruppi.

Questo portava a pensare che i soggetti amnesici distinguessero le situazioni in cui avevano sognato da quelle in cui non avevano sognato e anche da quelle in cui pur avendo sognato non ricordavano il sogno.
In veglia, inoltre, la loro capacità di mantenere nuove informazioni dura diversi minuti e quindi la ridotta frequenza dei sogni non sembra attribuibile a un rapido decadimento della traccia del sogno.

Sembra quindi che i soggetti amnesici sognino di meno ma quando sognano possono ricordare di averlo fatto, almeno entro pochi minuti.

I sogni dei soggetti amnesici erano complessivamente così pochi da renderne difficile il confronto dei contenuti con quelli dei controlli.

Tuttavia, escludendo il paziente che non aveva fatto alcun sogno, i ricercatori hanno potuto osservare che il numero di parole informative non era molto diverso tra i due gruppi: i soggetti amnesici non avevano difficoltà a raccontare i sogni. Altri studi sugli stessi soggetti ne hanno dimostrato abilità adeguate in diversi compiti verbali.

Pur con tutti i limiti di un confronto sproporzionato tra i pochi sogni dei soggetti amnesici e i molti sogni dei controlli, negli aspetti qualitativi come la complessità, la vividezza, la bizzarria e la valenza emotiva non vi erano differenze significative tra i due gruppi. Tuttavia i tre soggetti amnesici descrivevano i loro sogni sistematicamente con meno dettagli interni (episodici) ma con la stessa quantità di dettagli esterni (non-episodici) rispetto ai controlli.

In sintesi, la frequenza dei sogni era ridotta nei soggetti amnesici rispetto ai controlli e i pochi sogni contenevano meno dettagli spazio-temporali.

La ridotta frequenza non è imputabile alle peculiarità nell'architettura del sonno lento dimostrata nello studio precedente, dal momento che non vi erano differenze tra i sogni riferiti nei diversi stadi del sonno dai soggetti amnesici rispetto ai controlli.

Secondo Spanò e colleghi, l'integrità dell'ippocampo può rappresentare un prerequisito per il sogno e i sogni sembrano presentare caratteristiche analoghe alle altre funzioni cognitive dipendenti dall'ippocampo.

Nel commento di Erin Wamsley su eLife:

"Queste osservazioni supportano la visione emergente secondo cui i sogni sono generati nel cervello da reti simili a quelle coinvolte nel recupero dei ricordi e nella costruzione di scenari immaginati durante la veglia (Fox et al., 2013; Graveline e Wamsley, 2015). Come la memoria e l'immaginazione, un sogno vivido richiede la costruzione di scene immaginarie dettagliate e basate sulla memoria - e questo processo sembra basarsi sull'ippocampo.
[…] piuttosto che essere un fenomeno completamente distinto, il sogno è parte di un continuum di pensieri e immagini spontanei e costruttivi, generati costantemente dal sonno agli stati di veglia”.

Da questi due affascinanti studi e in attesa di altre conferme si può concludere che:

- i soggetti amnesici sognano meno;
- i sogni sono fatti di memoria e la memoria struttura il sonno, almeno quello lento e profondo;
- gli ippocampi sono i possibili e formidabili architetti delle costruzioni che generiamo nei pensieri e nelle immagini della veglia e del sonno.


*Delle ricerche di Eleanor Maguire, del suo rigore e delle sue pubblicazioni accessibili avevo scritto anche in:





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