Nel
post precedente ho commentato un articolo scientifico da poco
pubblicato nel quale gli autori hanno tentato
di studiare le alterazioni di un'emozione sociale nella malattia di
Huntington (Se ho l'Huntington non godo delle tue disgrazie: è così?).
Torno
sull'argomento per affrontare alcune importanti implicazioni sociali,
non più cliniche.
Con
il termine Schadenfreude s'intende il piacere provato per le
disgrazie che capitano agli altri.
Con
il termine Glückschmerz
s'intende il dolore
provato per le fortune che capitano agli altri.
Si
tratta di due emozioni sociali che sono scatenate dal risentimento e
dall'invidia verso determinate persone.
Studiare
le variazioni di intensità di Schadenfreude
e Glückschmerz
nei diversi contesti sociali è importante per
capire il tipo di manipolazioni attive che condizionano le nostre
reazioni.
Ad
esempio, selezionare le descrizioni negative di un gruppo può
aumentare la nostra avversione verso i suoi membri, il nostro piacere
quando capitano ad essi delle disgrazie, la nostra sofferenza quando
hanno onori e buona sorte.
Diciamo
la verità, l'empatia e la compassione non sono affatto universali.
Comprendiamo
meglio la dinamica di Schadenfreude
e Glückschmerz
quando ci confrontiamo con persone di diversi gruppi etnici, diverse
classi economiche, diverse appartenenze politiche.
Mina
Cikara, che dirige il Laboratorio di Neuroscienze dell'Intergruppo
all'Università di Harvard,
analizza in modo innovativo tale dinamica (Cikara, Bruneau, Van Bavel e Saxe, 2014; Cikarae Fiske, 2013),
non tanto in relazione a fattori individuali quanto in termini di
interazione tra gruppi.
Noi
interagiamo con altri gruppi – anche in situazioni pacifiche – in
base a un pregiudio
di empatia intergruppo:
in determinate condizioni bambini e adulti assegnati casualmente a
diversi gruppi mostrano maggiore empatia verso i membri del proprio
rispetto ai membri degli altri gruppi.
Più
si aumenta la competizione tra gruppi, più si rafforza il
pregiudizio di empatia intergruppo e si innescano reazioni
contro-empatiche extragruppo.
Non
è necessario che i gruppi siano formati da lungo tempo: la
solidarietà tra membri e l'avversione per i non-membri può essere
opportunamente alimentata anche nei gruppi di nuova formazione. Non è
neppure necessario avere a che fare direttamente con i non-membri.
La
mancanza di empatia e compassione porta ad essere indifferenti alle
sofferenze degli altri e addirittura a provare piacere per le
disgrazie delle persone appartenenti ad altri gruppi.
Ecco
che emergono invidia e risentimento, che a loro volta innescano
Schadenfreude e Glückschmerz.
Come
si può ridurre il pregiudizio di empatia intergruppo?
Si
possono usare due strategie sperimentali: coinvolgere i membri di un
gruppo in attività cooperative assieme ai membri di un altro gruppo
oppure, in un contesto competitivo, fornire indizi che riducano la
percezione del gruppo come entità.
Che
implicazioni ha questa teoria nella vita reale?
Per
Cikara, il pregiudizio di empatia intergruppo dispone all'ostilità e
riduce i comportamenti prosociali. Ad esempio, in un ampio studio ha
dimostrato che, quanto maggiore era il divario empatico di soggetti
americani nei confronti di soggetti arabi, tanto minori erano le
donazioni destinate ad associazioni arabe. Questo tipo di
comportamento, inoltre, si protraeva anche dopo una settimana.
Se
la discordia è guidata da fattori politici quali la concorrenza per
le scarse risorse e le violenze della storia, essa può anche essere
alimentata dalle fiamme della psicologia.
Cikara
nei suoi studi affronta anche la tendenza, tipica delle situazioni di
incertezza, ad attribuire un'etichetta che ha il solo scopo di
ridurre la tensione.
È
quello che succede, ad esempio, con la smania pseudodiagnostica di
disturbo mentale per ogni atto terroristico che si verifichi in
questi mesi – solo - nel mondo occidentale.
Le
narrazioni – o per chi preferisce storytelling
– politiche, economiche e giornalisitiche hanno un enorme potere
nel cambiare gli atteggiamenti delle persone e possono aumentare in
modo esplicito l'empatia verso il proprio gruppo e la contro-empatia
verso altri gruppi, con gli effetti pericolosi di discriminazione e
stigma.
Pensiamo,
ad esempio, al filtro di informazioni sui migranti: più
frequentemente ci arrivano notizie di aggressioni e di 'privilegi' (i
mitici 35 euro e i favolosi alberghi) che, foraggiando la
contro-empatia, scatenano invidia e risentimento (e quindi nella
migliore delle ipotesi indifferenza ma più spesso Schadenfreude e
Glückschmerz).
Sono invece più rare le interviste ai migranti, le storie personali,
l'interesse per le motivazioni che inducono a rischiare la vita in un
viaggio e quasi inesistenti le descrizioni dei tanti benefici per le
comunità che li accolgono.
Le
descrizioni degli 'altri' come persone sono le più efficaci nel
ridurre il pregiudizio di empatia intergruppo: si tratta di
descrivere personalità, fatiche, speranze, pensieri, emozioni e
sogni.
In
conclusione, l'empatia non sta in un neurone.
L'empatia
dipende da una complessità di fattori individuali e sociali.
L'empatia
e la contro-empatia possono essere modulate da interventi politici,
economici, psicologici e sociali.
Sapere
che possiamo essere empatici e contro-empatici ci spinge ad
approfondire le diverse motivazioni sottostanti ad ogni reazione sociale e a
conoscere i pregiudizi personali o quelli indotti da fonti esterne.
A
far sì che questi pregiudizi non ci rendano meno solidali e più
ostili. O almeno ad essere consapevoli e responsabili delle cause
della nostra intolleranza.
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