Lo
scorso 11 maggio è stato pubblicato il documento elaborato
dall'apposito gruppo di lavoro del Ministero dell'Istruzione,
dell'Università e della Ricerca contenente le Indicazioni per azioni positive del MIUR sui temi di genere nell’università e nella ricerca.
Si
tratta di un documento necessario e atteso che pone come obiettivo
strategico il raggiungimento della parità di genere.
Lo
stato della parità di genere nella ricerca in Italia è riassunto in
una manciata di dati:
Nel 2014 si osserva che la percentuale di donne nelle diverse fasce accademiche si attesta al 50,6% per i titolari di assegni di ricerca; 45,9% per i ricercatori universitari; 35,6% per i professori associati; 21,4% per i professori ordinari. Inoltre si nota che questa forbice è maggiore nei settori STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics).
Nella disaggregazione per settori tali dati indicano una diseguaglianza nei settori STEM più marcata rispetto alla media europea. Ciò che preoccupa, nel caso italiano, è la quasi totale mancanza di miglioramento, con percentuali piccolissime di riduzione del divario. Per fare un esempio, tra il 2010 e il 2016, le professoresse ordinarie in materie STEM sono passate dal 16% al 18%, un tasso di incremento che non consentirebbe di raggiungere percentuali di riequilibrio consone alla presenza femminile nei livelli bassi neppure in 50 anni.
Qualche
dato in più sarebbe stato molto più utile a comprendere la
situazione attuale, a sollecitare interventi mirati e a monitorare le
specificità anno dopo anno.
Con
i dati disponibili in rete al sito del Cineca nel 2016 avevo
analizzato la situazione nel post Donne non Ordinarie,
aggiornandola nel 2017 con il post Donne non Ordinarie, un anno dopo.
Il
MIUR elenca in dettaglio le indicazioni di buone pratiche di
integrazione rivolte alla ricerca finanziata dal MIUR, alla CRUI, al
CUN, alle Università e agli Enti pubblici di ricerca per la
selezione di docenti e ricercatori e per la valutazione degli Atenei
e dei Dipartimenti.
Riassume tali indicazioni in 10 punti:
1) nella ricerca finanziata dal MIUR, incentivare la presenza bilanciata di ricercatori e ricercatrici con adeguato punteggio;
2) incentivare la creazione e l’utilizzo di dati disaggregati per sesso nell’ambito della ricerca e dell’istruzione, e la creazione e l’utilizzo di nuovi dati disaggregati per sesso nei campioni utilizzati per gli studi scientifici;
3) nella ricerca finanziata dal MIUR, valorizzare l’indagine che includa il genere tra i contenuti e includa implicazioni di genere tra i risultati della ricerca, in modo tale da aprire nuovi spazi per la medicina di genere e per l’applicazione della tecnologia attenta alle differenze di genere;
4) mirare al bilanciamento per sesso nella composizione dei panels incaricati della selezione dei progetti di ricerca da finanziare, e provvedere alla formazione dei membri dei panel di entrambi i sessi alle problematiche specifiche della valutazione di genere; […] con l’auspicio di raggiungere nel termine di 5 anni dalla data del presente documento l’obiettivo di una presenza di ciascuno dei due sessi orientativamente pari al 40% e comunque non inferiore al 30%;
5) creare appositi repertori di esperti ed esperte nella valutazione di genere, eventualmente all’interno della banca-dati REPRISE, in grado anche di curare la formazione dei valutatori;
6) introdurre, nella maniera più consona a ciascuna disciplina, le specificità di genere nella declaratoria dei raggruppamenti disciplinari universitari;
7) Dotare le Università dello strumento del bilancio di genere al fine di monitorare il proprio progresso verso obiettivi di parità;
8) utilizzare, tra i parametri per la valutazione degli Atenei, la presenza di strutture di ricerca sui temi di genere e di iniziative didattiche e formative, e attività di terza missione che abbiano il genere tra i contenuti;
9) monitorare l’attuazione del Piano Lauree Scientifiche 2017 – 2018 in relazione alle iniziative finalizzate all’orientamento delle studentesse verso le discipline STEM;
10) introdurre a tutti i livelli regolamentari e/o statutari possibili specifiche misure volte al riequilibrio delle componenti di genere in Organismi, commissioni, comitati etc.
Nelle
conclusioni la posizione è chiara:
Il risultato atteso è un avanzamento della conoscenza, un arricchimento intellettuale, un guadagno economico-culturale, di cui vi è desiderio e necessità in ampie fasce della popolazione italiana.
I
termini usati in queste righe conclusive del documento sono davvero
importanti se si pensa a quanta conoscenza e a quante scoperte
abbiamo mancato per l'esclusione sistematica delle scienziate ma anche
di tanti ricercatori per il loro colore della pelle, la loro
nazionalità, il loro orientamento sessuale, la loro disabilità (nel documento purtroppo
manca un riferimento generale alle pratiche di integrazione
nell'università e nella ricerca).
Si
tratta nel suo complesso di un augurio perché non sono specificate
le modalità e i tempi di verifica, né le conseguenze di un mancato
adeguamento a tali indicazioni.
Non
ci sarà alcun impatto negativo sulla valutazione né sui fondi
erogati, né un premio a dipartimenti e università virtuosi.
L'augurio
è quindi di un cambiamento culturale ma si sa che questo ha tempi
lunghi per manifestarsi a meno che non vi siano incentivi concreti.
Nessun riferimento alla maternità e a tutte le opportunità che si perdono durante e dopo la nascita di un figlio se si è ricercatrice. La maternità è incompatibile con la ricerca in Italia e con il lavoro in generale.
Nessun riferimento alla maternità e a tutte le opportunità che si perdono durante e dopo la nascita di un figlio se si è ricercatrice. La maternità è incompatibile con la ricerca in Italia e con il lavoro in generale.
Manca
del tutto il riferimento alle molestie sessuali, una delle cause più
sommerse di esclusione dalle o di rinuncia alle opportunità di
carriera universitaria.
Manca
l'identificazione dei servizi che in ogni università dovrebbero
sensibilizzare, accertare, difendere.
Il 62% ha ricevuto commenti e allusioni sessuali, il 30% è stata vittima di approcci e comportamenti indesiderati a sfondo sessuale.
Sono
alcuni dei risultati dell'indagine Le molestie nella Vita da scienziate che ho condotto nel 2016
e alla quale hanno partecipato 116 ricercatrici e docenti
universitarie.
Se
questo tema è addirittura assente – in un momento di attenzione
internazionale (si veda la comunicazione di Kate Clancy alla Commissione federale statunitense su Scienza Spazio e Tecnologia - A Review of Sexual Harassment and Misconduct in Science) – in un documento del MIUR, come possiamo
aspettarci che studentesse, ricercatrici e docenti segnalino gli
abusi?
Come
possono le singole persone fermare l'ascesa dei molestatori
nell'università e nella ricerca?
Come
recentemente sollecitato sulla rivista scientifica Nature, le molestie dovrebbero essere
considerate tra le cattive pratiche scientifiche (Harassment should count as scientific misconduct): “Definire
le molestie come comportamento scorretto offre più modi per
scoraggiarle”.
When part of your brain has to be occupied with workplace stress—from unwanted sexual advances to witnessing abuse between colleagues—you have less to give to your science. Kate Clancy, National Geographic, 2018
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