Sappiamo che finora lo studio dell'impatto dei social media sulla salute mentale di adolescenti è stato per lo più banalizzato per servire una narrazione allarmistica ricorrente verso le nuove tecnologie. Abbiamo imparato a scoprire che il tema è troppo complesso per ridurlo alle associazioni di poche variabili che - per quanto immediatamente seduttive - risultano insufficienti se davvero vogliamo comprendere i meccanismi sottostanti. Il tempo di esposizione si è rivelato una variabile del tutto insufficiente a misurare i diversi fattori alla base dell'interazione che si articola sui diversi livelli (individuale, sociale, digitale) dello spazio digitale. Viziato dall'ipotesi che l'impatto dei social media fosse dose-dipendente (come l'uso di una tossina), il tempo di esposizione ha catturato attenzioni, fondi di ricerca e clamore senza portare nuove conoscenze.
Continuare su questa linea è controproducente per la conoscenza scientifica e per le raccomandazioni generali e a gruppi vulnerabili (sulle modalità d'uso, sulla progettazione, ecc.). Diventa sempre più chiaro che raccomandare di vietare l'uso è insensato (come avevo scritto qui su Valigia Blu), così come urlare di "dipendenza" e "assuefazione", soprattutto per chi fa ricerca e clinica e sarebbe tenuto a una comunicazione responsabile.
Questo richiamo vale a maggior ragione dopo la pubblicazione a cui si riferiscono le immagini che danno piena rappresentazione dell'impossibilità di affrontare la tematica in modo riduzionistico e tecnodeterministico.
Difatti, un punto di riferimento su come proseguire in questo settore della ricerca scientifica che coinvolge diverse discipline è rappresentato dalla illuminante revisione di Orben e coll., appena pubblicata e accessibile gratuitamente al link nei commenti.
Innanzitutto, vengono delineati i tre livelli (neurobiologico, cognitivo, comportamentale) di studio dell'adolescenza nell'ambito delle scienze dello sviluppo: l'adolescente come sistema dinamico che nella sua traiettoria individuale si muove e interagisce in uno spazio digitale dinamico con caratteristiche e funzionalità da identificare operazionalmente per poterne comprendere l'impatto differenziale.
A tale scopo Orben e coll. identificano specifiche affordance dei social media, "come la quantificazione del feedback sociale o l'anonimato, che possono anche avere effetti positivi sulla salute mentale".
"Le caratteristiche dei social media sono componenti della tecnologia progettate intenzionalmente per consentire agli utenti di eseguire specifiche azioni, come mettere mi piace, ripubblicare o condividere una storia. Al contrario, le affordance [funzionalità intuitive] descrivono la percezione delle possibilità di azione che gli utenti hanno quando interagiscono con i social media e le loro caratteristiche, come l’anonimato (la difficoltà con cui gli utenti dei social media riescono a identificare la fonte di un messaggio) e la quantificabilità (quanto siano numerabili le informazioni)".
Le affordance - come possibilità di azioni che vengono percepite - variano in base a utente, contenuto e social media. Ad esempio, una storia di Instagram ha la caratteristica di condividere contenuti tra utenti. In termini di affordance, una storia di Instagram ha una persistenza (è percepita in funzione di quanto il proprio contenuto rimane disponibile sulla piattaforma) e una visibilità (è percepita in funzione di chi vede quel contenuto). La bassa persistenza e la bassa visibilità possono essere ottenute attraverso una specifica tecnologica di un social (storia di Instagram) ma sono il risultato della possibilità delle azioni percepite in relazione a tecnologia, utente, progetto.
"È probabile che lo stato di salute mentale influenzi l’uso dei social media creando cicli di comportamento rinforzanti, qualcosa che è stato trattato nella letteratura delle scienze della comunicazione come “effetto transazionale dei media”", scrivono Orben e coll.
Alcuni esempi citati nell'articolo, in base alla revisione della letteratura, sono i seguenti: "giovani con disturbi d'ansia o alimentari tendono a fare più confronti sociali rispetto a individui senza questi disturbi", "adolescenti con depressione riportano confronti sociali più sfavorevoli sui social media rispetto a adolescenti senza depressione". Nella ricerca di determinati feedback sociali (positivi o negativi) o nei contenuti condivisi (positivi o negativi) sui social, pertanto, incidono i tratti o gli stati individuali e quei feedback vanno poi a rinforzare i vissuti di quel momento (abbassando l'umore o aumentandolo, abbassando l'autostima o aumentandola).
Risultano quindi "molteplici le strade possibili attraverso le quali diversi aspetti della salute mentale potrebbero influenzare specifici aspetti del modo in cui vengono utilizzati i social media e, di conseguenza, il modo in cui finiscono per influenzare l'utente".
Il cambio di paradigma fondamentale è quello di spostare lo studio sull'individuo che utilizza i social piuttosto che sul tempo trascorso sui social.
Introdurre una lista di affordance dei social media, mutuandole dalla ricerca neurocognitiva e comportamentale, "enfatizza il ruolo dell’utente (come la tecnologia viene percepita, interpretata e utilizzata) piuttosto che la progettazione tecnologica in sé. In questo senso, l’approccio delle affordance è essenziale per superare il determinismo tecnologico degli outcome di salute mentale che enfatizza eccessivamente il ruolo della tecnologia come motore degli effetti ma trascura l'autodeterminazione e l'impatto delle persone" nell'uso dei social media e, aggiungo, dello spazio digitale in generale.
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