La
staffa è uno degli ossicini dell'orecchio medio, assieme al martello
e all'incudine. Con i suoi 3-4 milligrammi è l'osso più piccolo del
corpo umano e trasmette le vibrazioni prodotte dalle onde sonore
all'orecchio interno.
Il
funzionamento della staffa può essere danneggiato da una distrofia
ossea – l'otosclerosi – che ha una prevalenza stimata tra 0.1 a
0.5% nella popolazione adulta degli Stati Uniti e dell'Europa
occidentale ma nei bambini è una malattia rara. La mobilità della
staffa ne risulta ridotta e così la trasmissione del suono tende
progressivamente a deteriorare, causando sordità – ipoacusia
trasmissiva.
La malattia si manifesta anche con acufeni e vertigini, che possono
essere descritti da un adulto ma nel bambino, che cresce con una
percezione uditiva alterata, il riconoscimento delle sue
manifestazioni può verificarsi in ritardo.
L'otosclerosi
è una delle cause dell'ipoacusia trasmissiva, uno dei tipi di
ipoacusia – che invece non è rara nei bambini - assieme a quella
neurosensoriale e a quella centrale.
Nelle
ipoacusie trasmissive il deficit sensoriale è tipicamente moderato,
con una soglia uditiva che non supera i 50/60 dB.
Ma
in quella gamma di decibel cadono i suoni del linguaggio. Ne deriva
che i bambini con ipoacusia trasmissiva non percepiscano le
conversazioni, quell'esposizione necessaria al parlare,
all'apprendere e al relazionarsi con gli altri.
D.
è una bambina di 12 anni che ha difficoltà a scuola e così viene
inviata a un esame neuropsicologico.
Due
anni prima è stata sottoposta a un intervento chirurgico di
ossiculoplastica sinistra per la ricostruzione degli ossicini
dell'orecchio medio di sinistra.
L'anno
prima è stata sottoposta a stapedoplastica destra per la
sostituzione della staffa con una protesi biocompatibile.
Il
suo audiogramma tonale riporta un'ipoacusia trasmissiva bilaterale:
la soglia audiometrica per via ossea è normale - l'orecchio interno
funziona, mentre la soglia per via aerea è più alta (la curva più
in basso) – l'orecchio medio non funziona bene.
La
soglia di un udito normale è tra 0-20 decibel e possiamo sopportare
suoni di intensità superiore, fino a 120dB, purché sia per
brevissimo tempo.
L'ipoacusia
determina l'alzarsi della soglia e quindi – a seconda della gravità
- la difficoltà a percepire i suoni corrispondenti a diverse
frequenze. La frequenza di udibilità del nostro orecchio è compresa
tra 20 Hz e 20 kHz. L'orecchio umano è particolarmente sensibile
alle frequenze che vanno dai 500 ai 2000 Hz, corrispondenti ai suoni
della comunicazione verbale, mentre l'intensità di una normale
conversazione è tra i 50 e i 60 dB.
La
sensibilità uditiva di D. è adesso sufficiente ma in alcuni
contesti, ad esempio in classe, deve usare delle protesi per
discriminare meglio il linguaggio. Le porta con sé le protesi e le
mette quando le ritiene necessarie.
Negli
anni ha sviluppato una spiccata abilità nella lettura delle labbra
dei suoi interlocutori. D. ha acquisito il linguaggio e molto
probabilmente la graduale perdita di udito, causata dall'otosclerosi,
è stata post-verbale. Ora è alla scuola media ed è ben inserita
nella classe. Alla scuola primaria invece ha sofferto, non perché
non riuscisse a stare dietro al programma didattico ma perché era
stata emarginata da alcune compagne e faceva fatica a capire e ad
essere capita. E allora sono comparse le fobie e gli attacchi di
panico.
D.
non era più in grado di comprendere i suoni dei suoi ambienti di
vita quotidiana, soprattutto quelli verbali, e questo la spaventava
tantissimo.
Ma
solo dopo qualche anno gli esami diagnostici hanno accertato le cause
di tutte queste difficoltà.
D.
ha un livello intellettivo nella norma. Ha un eloquio fluido, ben
articolato ma scandito. La perdita di udito deve essere quindi iniziata dopo
l'acquisizione del linguaggio.
D.
ha le competenze verbali dei bambini della sua età, nelle conoscenze
generali apprese, nelle astrazioni, nella comprensione.
Legge
rapidamente le parole e i brani. Fa invece fatica a leggere quelle
che noi neuropsicologi chiamiamo 'non-parole' o parole senza senso, proprio come
tambina.
Scrive
bene e velocemente, su dettato scandito e nei testi.
La
matematica no, quella non le riesce: fa fatica con le quantità, con
le operazioni scritte e a mente.
D.
riesce a svolgere correttamente compiti che richiedono coordinazione,
velocità e integrazione visuomotoria. Ha però difficoltà in alcune
prove di ragionamento visuospaziale.
La
prestazione più bassa, lievemente al di sotto della norma per la sua
età, la ottiene alle prove di memoria di lavoro verbale, quel
processo cognitivo che è insieme attenzione e memoria a breve
termine. Un vero e proprio sistema che permette di mantenere on-line
per alcuni secondi le nuove
informazioni ed eventualmente di elaborarle o ripeterle affinché siano
trasferite nella memoria a lungo termine. Entra in gioco quando ad
es. dobbiamo memorizzare un nuovo numero di telefono o dei versi.
La
difficoltà di memoria di lavoro verbale è stata dimostrata in
diversi studi sui bambini sordi. Koo e colleghi (2008) hanno
confermato tale risultato anche in gruppi di sordi adulti che usavano
la lingua dei segni oppure il linguaggio orale, rispetto a soggetti
di controllo senza difficoltà uditive che conoscevano oppure no la
lingua dei segni.
Il
diverso esordio (ad es. pre- o post-verbale) e la diversa durata del
periodo di deprivazione sensoriale, l'uso del linguaggio orale o
della lingua dei segni sembrano avere un impatto comune sulla
riorganizzazione del cervello a seguito di una degradata trasmissione
dei suoni. La memoria di lavoro, fondamentale per l'apprendimento,
risulta invariabilmente compromessa.
Un
altro aspetto importante è che la difficoltà di memoria di lavoro
verbale non condiziona l'apprendimento della lettura. Benché quando
s'impara a leggere s'inizi dalla identificazione e segmentazione
delle lettere e del loro suono – i fonemi – attraverso
l'elaborazione del magazzino fonologico della memoria di lavoro, nei
sordi tale elaborazione sembra in qualche modo garantita.
Nel
caso di D. la lettura potrebbe essere stata appresa appena prima del
periodo di deprivazione sensoriale oppure è stata assicurata da
capacità residue o alternative. I troppi errori nella lettura delle
non-parole – sono invece un segnale inequivocabile dello scarso
funzionamento dell'elaborazione fonologica pura.
Quello
che appare certo è che si può leggere bene anche senza
un'efficiente memoria di lavoro verbale. Inoltre, gli stessi
paradigmi non valgono per tutte le popolazioni: mentre nei soggetti
senza difficoltà uditive la memoria di lavoro verbale è un
predittore delle abilità di lettura, nei soggetti con difficoltà
uditive l'applicazione di tale rapporto può portare a risultati
fuorvianti.
Anche
le scarse abilità nella conoscenza numerica e nel calcolo dipendono
dalla memoria di lavoro. In questo caso possono essere coinvolti sia
processi verbali sia processi visuospaziali. È
stato anche dimostrato, infatti, che i bambini sordi hanno difficoltà
di elaborazione e attenzione visuospaziale – non solo verbale,
proprio perché viene a mancare la sinergia tra le diverse modalità
sensoriali (visiva e uditiva in questo caso) nel corso dello sviluppo
neuroanatomico e cognitivo.
Il
caso di D. testimonia la necessità di individuare il più
precocemente possibile le difficoltà che possono presentare i
bambini nel corso della loro crescita. Ogni indizio non deve essere
trascurato: lo scarso adattamento a scuola e gli attacchi di panico
sono un segnale forte ma aspecifico, nel senso di un'unica
manifestazione per difficoltà diverse (da quelle sensoriali, a
quelle di apprendimento, a quelle da bullismo). Un esame tempestivo e
approfondito potrà differenziare i profili patologici, cognitivi,
comportamentali e affettivi e avviare i diversi percorsi di cura,
riabilitazione e supporto.
Anche
puntando il gomito, la conchiglia
dell'orecchio non distingue in esse nessun ruglio,
ma battiti di tele, di persiane, di mani,
bollitori su fornelli, al massimo strida di gabbiani.
dell'orecchio non distingue in esse nessun ruglio,
ma battiti di tele, di persiane, di mani,
bollitori su fornelli, al massimo strida di gabbiani.
Iosif Brodskij
Koo
D, Crain K, LaSasso C, Eden GF. Phonological awareness and short-term
memory in hearing and deaf individuals of different communication
backgrounds. Ann N Y Acad Sci. 2008 Dec; 1145:83-99. doi:
10.1196/annals.1416.025.
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