Una conversazione con Lorenzo Pia sull'anosognosia per l'emiplegia
La
coscienza - l'esperienza soggettiva di sé, la consapevolezza delle
proprie percezioni, dei propri pensieri, delle proprie emozioni -, è
quello stato della mente che diamo quotidianamente per scontato e che
non riconosciamo di perdere o aver perso.
È
fondamentale quando dobbiamo prendere decisioni, quando ci troviamo
in situazioni nuove o a dover svolgere azioni nuove o complesse e
anche quando, mentre svolgiamo azioni automatiche, commettiamo un
errore o c'è una variazione che richiede di aggiustare quello che di
solito facciamo senza renderci conto.
Gli
studi neuropsicologici sono stati determinanti nel farci comprendere
che siamo dotati di gradi diversi e diverse componenti di coscienza.
Accade, quindi, che a causa di un danno cerebrale specifico in una
regione del lobo parietale destro, non siamo più consapevoli degli
oggetti o delle porzioni di immagini nell'emispazio sinistro (neglect percettivo-attentivo o neglect rappresentazionale). Neppure ci
accorgiamo di lasciare il cibo nella parte sinistra del piatto o di
non raggiungere un posto situato alla nostra sinistra, in un percorso
noto. Restiamo però consapevoli che il nostro linguaggio è corretto
e comprensibile, che le persone che ci circondano sono quelle di
sempre, che la nostra memoria, a parte qualche lacuna, è abbastanza
affidabile,...
Si
tratta di un'ulteriore dimostrazione dell'irrinunciabilità e della
validità dello studio rigoroso dei casi clinici come metodo
scientifico al pari della sperimentazione in laboratorio.
Nel
1914 il neurologo francese Joseph Babinski introdusse il termine
anosognosia
per designare la negazione di una malattia: “un
fenomeno che mi sembra degno di nota, e che propongo di
approfondire”. Tale
fenomeno era stato osservato a partire dal 1885 da Von Monakow,
Anton, Pick e Zingerle in associazione a diverse patologie
neurologiche. Tuttavia, già in Seneca si ha una prima descrizione di
negazione della cecità: “Questa
folle donna ha improvvisamente perso la vista. Non solo, ora ti dico
una cosa incredibile, ma vera. Ella non sa di essere cieca.”
(Lettera IX, citata da Bisiach e Geminiani in un capitolo del libro
Awareness
of Deficits after brain injury,
del 1991).
.
L'anosognosia
per l'emiplegia è caratterizzata dalla negazione di un'emiparesi
dell'arto inferiore e/o superiore.
Un
caso di emiplegia.
The
Salpêtriére, Paris.
|
Quello
che segue è un estratto dell'esame neuropsicologico di un caso
clinico pubblicato da Anna Berti, Elisabetta Làdavas, Andrea Stracciari, Clara Giannarelli, Antonella Ossola nel 1998. Si trattava
di una paziente di 80 anni, destrimane, che per un ictus
nell'emisfero destro, che aveva causato una lesione sottocorticale
frontoparietale, manifestò: emianopsia sinistra, neglect
extrapersonale sinistro, una completa emiplegia dell'arto
superiore sinistro, una grave emiparesi dell'arto inferiore
sinistro, una densa anestesia dell'arto superiore sinistro.
Dove
ci troviamo?
-
In ospedale.
Perché
si trova in ospedale?
-
Sono caduta e ho battuto la gamba destra.
Come
vanno il braccio sinistro e la gamba sinistra?
-
Mi fanno un po' male.
Riesce
a muovere il braccio sinistro?
-
Certo.
Riesce
a toccare il mio dito con la sua mano sinistra (dopo aver posizionato
il suo dito nell'emispazio visivo destro della paziente)?
Non
segue alcun movimento.
Allora,
ha toccato il mio dito?
-
Sì.
Può
battere le mani, per cortesia?
-
Non siamo mica a teatro!
Lo
so ma volevo vedere se riusciva a farlo.
La
paziente solleva la mano destra e la porta nella giusta posizione per
battere le mani, perfettamente allineata alla linea mediana del
tronco, muovendola come se stesse effettivamente battendola sulla
sinistra. La paziente sembra assolutamente soddisfattadella sua
prestazione.
È
sicura che sta battendo le mani? Non sento alcun rumore.
-
In ogni cosa che faccio non faccio mai rumore.
Come
sta la mano sinistra?
-
Molto bene.
L'assenza
di consapevolezza del deficit motorio rimane anche quando la persona
verifica che non ci sono gli effetti dell'azione che l'arto paretico
avrebbe dovuto svolgere.
Lorenzo Pia, Marco Neppi-Modona, Raffaella Ricci e Anna Berti nel 2004 hanno
dimostrato che l'anosognosia per l'emiplegia è presente in circa il
30% dei pazienti con lesione dell'emisfero destro ed emiplegia.
Nel
1955 Edwin Weinstein e Robert Kahn, nel libro Denial
of illness: Symbolic and physiological aspects,
avanzarono l'ipotesi
che l'anosognosia fosse un meccanismo psicologico di difesa, che
permetteva al paziente di sopportare la perdita di funzionalità di
un arto. Tuttavia, questa ipotesi, che richiede una qualche coscienza
dell'emiparesi per negarla, è stata esclusa attraverso ripetute
dimostrazioni dell'assenza di consapevolezza esplicita ed implicita
nei pazienti emiplegici e anosognosici per il deficit motorio.
Inoltre,
non spiega perché siano tipicamente i pazienti con lesione
dell'emisfero destro a negare l'emiplegia.
Altre
ipotesi hanno fatto riferimento a un'amnesia selettiva, allo stato
confusionale post-ictus, a una deafferentazione sensoriale, a un
deficit da neglect spaziale, a confabulazione.
Allora,
diventa cruciale comprendere a che livello è il danno che causa
l'anosognosia per l'emiplegia.
A
tale scopo, ho posto alcune domande a Lorenzo Pia, Professore
Associato di Psicologia all'Università di Torino e Coordinatore del
gruppo di ricerca SAMBA (SpAtial, Motor & Bodily Awareness).
Pia
lavora da diversi anni con Anna Berti sui temi multicomponenziali
della coscienza.
È
anche esperto di pallacanestro, fine gustatore di vini e molto attivo
su diversi social network.
È
stato generoso e rapidissimo nelle risposte, non ripagato dalla mia
lentezza nella stesura del post.
1.
Nel recente lavoro pubblicato su Neuropsychologia con Alessandro Piedimonte, Francesca Garbarini, Tiziana Mezzanato e Anna Berti,
avete dimostrato che nei pazienti emiplegici anosognosici risulta
preservata l'intenzione di movimento. Per arrivare a tali risultati,
che continuano una lunga e innovativa ricerca, avete misurato in modo
ingegnoso gli effetti del programma motorio sulla percezione visiva,
in due condizioni (bimanuale e unimanuale). Come funzionava la
procedura nei soggetti di controllo e come il movimento influenzava
la loro percezione?
- Ai
soggetti sani, come ai pazienti, è stato sottoposto un paradigma di
movimento apparente noto per mostrare un bias nella scelta
dell’effettore da utilizzare per indicare la direzione del
movimento (es. se il movimento apparente è verso destra si risponde
con la mano destra).
2.
E nei soggetti con emiplegia senza anosognosia?
- Questi
pazienti non mostrano il bias sopracitato in quanto non programmano
più movimenti avendo “imparato” della loro paralisi.
3.
Qual è stato il risultato sorprendente nei pazienti con emiplegia e
anosognosia?
- Gli
anosognosici, come i soggetti sani, mostrando il bias di risposta
consistente con il movimento apparente. I punto cruciale è che i
primi non si muovono.
4.
Quindi la non consapevolezza di un'emiplegia libera un'illusione di
movimento che a sua volta altera il modo di percepire il mondo oltre
ad alterare i movimenti dell'arto non emiplegico, come hai dimostrato
nelle precedenti ricerche assieme ai tuoi collaboratori?
- Esattamente,
l’effetto mostra che l’intention programming system è
risparmiato e funzionante come nei soggetti sani che, effettivamente,
si muovono.
5.
Quali sono le spiegazioni possibili e in che modo lo studio dei
pazienti con anosognosia per l'emiplegia rivela il legame complesso e
dinamico tra azione e percezione? A che livello l'azione può
influenzare la percezione?
- Azione/programmazione
e percezione sono strettamente dipendenti e si influenzano
reciprocamente. Queste relazioni esistono sia a livello implicito che
esplicito.
6.
L'illusione soggettiva di movimento dell'arto paralizzato nel
paziente emiplegico anosognosico è sufficiente a mantenere e
consolidare l'anosognosia? O meglio è alla base stessa
dell'anosognosia? Quindi, se si ha la percezione soggettiva che il
braccio paralizzato si muova non si può ritenere che sia
paralizzato.
- In
parte si, esattamente come in un soggetto sano che non pensa di non
potersi muovere.
7.
Oppure l'anosognosia per l'emiplegia è una forma di confabulazione?
- Noi
riteniamo di no, l’anosognosia è una reale esperienza soggettiva
del programma motorio.
8.
L'esperienza soggettiva è più forte di quella oggettiva? E quindi,
l'emiplegico anosognosico, a dispetto dell'assenza degli effetti
concreti del movimento del suo arto paralizzato (ad es. il fallimento
nel prendere una tazza, spostare un libro, premere un interruttore,
infilare una manica) permane convinto di usarlo. Può attribuire
inconsapevolmente alcune azioni compiute con l'arto non empilegico a
quello leso?
- In
parte si l’esperienza soggettiva, a volte, è talmente potente da
cancellare quella oggettiva.
9.
Comprendere meglio i meccanismi sottostanti all'emiplegia con
anosognosia sarà fondamentale per disegnare interventi riabilitativi
efficaci. Quali sono i prossimi sviluppi delle tue ricerche in questo
campo?
- Gli
sviluppi futuri riguardano principalmente l’esame sempre più
dettagliato delle componenti cognitive sottendenti la cognizione
motoria (es. intenzione, conseguenze sensoriali, etc) nonché
l’integrazione di queste componenti con la rappresentazione del
corpo.
10.
Quali sono le ricerche nelle quali sei impegnato in questo momento?
- Rapporto
tra consapevolezza di agire e consapevolezza corporea.
11.
Puoi descrivere il tuo laboratorio e gli strumenti di lavoro?
- Nei
nostro gruppo di ricerca utilizziamo metodiche comportamentali che
fisiologiche (EEG) o di neuroimaging (TMS; fMRI). Lavoriamo sia su
soggetti sani che su pazienti neurologici
12.
Quanti fondi di ricerca hai a disposizione ogni anno?
- Pochissimi!!!!
Se
prendiamo come riferimento il modello del controllo motorio
(Blakemore, Wolpert e Frith, 2002; Haggard, 2005), ora si fa chiara
la risposta alla domanda relativa al livello al quale si manifesta
l'anosognosia per l'emiplegia.
Modello
semplificato del controllo motorio,
modificato
da Anna Berti.
|
Il
paziente con anosognosia per l'emiplegia ha quindi l'intenzione di
svolgere un movimento, formula il piano per l'esecuzione del
movimento, fa previsioni sugli effetti di quel movimento ma non è in
grado di confrontare correttamente gli effetti concreti dell'azione
con le previsioni, perché la lesione ha danneggiato il comparatore.
Risulta così una falsa
consapevolezza
di continuare a usare l'arto leso, che spiega la convinzione dei
pazienti di aver per davvero eseguito il movimento richiesto.
La
conclusione affascinante è che la coscienza motoria si costruisca
nel momento in cui si formulano le intenzioni e i piani e non al
termine dell'azione e sulla base dei suoi effetti.
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