Capitolo
1.
Sono
arrivata per tempo per sistemare la stanza comunitaria con la grande
finestra e tre vecchie scrivanie che fa anche da ambulatorio per
tutti. È la base del Servizio di
Neurofisiologia del Meyer. Ho preparato i test. Ho avvertito
che occuperò la stanza per un'ora, con il tono perentorio e lo
sguardo minaccioso che porto ormai come un distintivo.
Sono
tesa.
È
il primo bambino che devo esaminare nella mia attività di
neuropsicologa, nella mia nuova vita professionale e in un'altra
città. Avevo solo inviato il mio curriculum. Al colloquio avevo
avvertito: ho lavorato con anziani e adulti in diversi stadi di
malattie neurologiche degenerative, croniche, acute, in diversi
reparti ospedalieri ma il più giovane che mi sia mai capitato di
valutare aveva 18 anni.
Non
mi sono mai occupata di epilessie.
Metto
il camice. È tutto pronto.
Mi
stanno aspettando nella piccola sala che condividiamo con gli
oculisti e dalla quale si allunga il corridoio che porta alle stanze
degli elettroencefalogrammi. Una di queste, scoprirò, è senza
finestra, ideale per gli sudi sperimentali sulla percezione visiva.
Accanto
ai genitori è seduto un bambino di dieci anni che indicherò con
l'iniziale fittizia T. Lo saluto, lui mi guarda con sfida.
T
è in cura da un anno, dopo che quei suoi comportamenti bizzarri sono
stati identificati come la manifestazione di un'epilessia
sintomatica. T ha una displasia nella porzione anteriore del lobo
frontale sinistro del suo cervello. Si tratta di una malformazione
congenita causata da anomalie che si verificano durante lo sviluppo
del cervello. Le crisi epilettiche sono il segnale tipico con cui si
mette in mostra. È stata identificata alla risonanza magnetica. Al
tracciato dell'elettroencefalogramma risulta che proprio dalla
regione frontale sinistra parte l'attività parossistica che poi si
estende anche all'emisfero destro e si accompagna ad anomalie
registrate anche durante il sonno. Con i farmaci le crisi sono solo
un poco meno frequenti e meno gravi ma si presentano tutti i giorni.
Quella
di T è un'epilessia sintomatica farmacoresistente.
Il
suo livello intellettivo è stato valutato l'anno scorso al servizio
territoriale ed è nella norma. La vita a casa e a scuola è
condizionata dalla comparsa delle crisi. È in quarta ma riesce a
frequentare solo un paio di giorni a settimana.
T
è in lista per l'intervento neurochirurgico: l'asportazione della
displasia è l'unica terapia che possa alleviare la sua condizione.
Dopo
le formalità entriamo in stanza.
Inizio
un breve colloquio per avere notizie sul comportamento di T e prendo
appunti, come sempre. T è un bambino che si è distinto fin da
piccolo per la vivace fantasia, ama disegnare e ha una vera passione
per alcune specie di uccelli, che alleva e accudisce. Nel tempo è
diventato sempre più agitato, ripete molte volte una stessa azione o
un'espressione; fa fatica a leggere e a scrivere, ha sempre avuto
difficoltà con i numeri.
Parla
poco di sua iniziativa ma risponde alle domande con frasi brevi.
Spiego
a T che rimarrà con me a fare degli esercizi, mentre i genitori lo
aspetteranno nella saletta d'attesa altro lato della porta.
Ho
in programma di sottoporlo a prove di attenzione, percezione
visuospaziale, linguaggio, memoria, prassie, flessibilità e
pianificazione, per delineare il suo profilo di abilità e
difficoltà. In altri termini, per scoprire qual è l'effetto della
displasia corticale (e dell'epilessia) sul comportamento.
Chiedo
a T di fare un disegno a piacere e dopo lo appenderemo nel riquadro
dell'unica parete libera. Inizia senza resistenze. Non è però un
unico disegno, è una storia con tanti personaggi che imprime a
tratti veloci di penna sul foglio, sul retro, su un altro foglio e
ancora.
Gli
chiedo di fare una pausa dal disegno e comincio con i primi test.
T mi ascolta, esegue, si distrae, ricominciamo, si concentra.
Sono
concentrata anch'io su ogni suo gesto, espressione, sguardo: ogni
dettaglio può essere molto informativo.
Prende
la penna dal tavolo, poi il mio orologio, lo lascia cadere, lo prende
di nuovo.
Per
la prima volta posso constatare che già nel bambino, come
nell'adulto, una lesione del lobo frontale causa disturbi complessi
nel focalizzare e mantenere l'attenzione, nell'iniziativa e nella
fluidità verbale, nella pianificazione di azioni, nel resistere
all'interferenza da parte di qualsiasi stimolo o oggetto presente
nell'ambiente, nell'inibire azioni o espressioni ripetitive. Una
lesione del lobo frontale dell'emisfero sinistro, anche quando non è
dominante, come nel caso di T che è mancino e ha come emisfero
dominante il destro, ha ripercussioni sulla cognizione, sul
comportamento e sull'autonomia.
Mancano
pochi test alla conclusione. T continua a rimanere seduto e a
lavorare, ascoltando le mie indicazioni e i miei richiami quando si
distrae. Abbiamo stabilito una buona relazione e questo è il
prerequisito per continuare l'esame in modo rigoroso e per renderlo
attendibile. Continuo ad essere tesa e molto concentrata.
Ora
so che con alcuni bambini può bastare una minima distrazione o
intrusione per trasformare la collaborazione in gioco disordinato,
rendendo necessaria la sospensione dell'esame.
Sto
spiegando a T la prossima prova e completo l'esempio ma sembra non
capirmi. Faccio un altro esempio, più semplice. Non ho risposta.
Guardo
T, che mi guarda ma sembra assente. Non fa alcun cenno. Noto una
minima deviazione dello sguardo.
È
l'inizio, suppongo, di una crisi epilettica. Sono impreparata ma non
ho il tempo di pensarlo.
D'istinto
guardo l'orologio, così da misurarne la durata.
Mi
accerto che non possa cadere.
Chiamo
T per nome, non dà segni di risposta.
Muovo
una penna davanti al suo viso, per accertare l'assenza di coscienza.
Non la segue con gli occhi.
Non
fa alcun movimento, non ci sono scosse.
Aspetto.
Guardo
l'orologio: un lungo minuto.
Poi
T accenna un sorriso. Ora mi guarda ed è presente. Riprende
gradualmente coscienza e sembra stanco.
Chiamo
i genitori, l'esame per oggi finisce qui.
Accorrono
preoccupati, accarezzano T, lo rassicurano. La madre mi dice che dopo
questo tipi di crisi – ne ha anche altre con scosse alle braccia –
rimane spossato per alcune ore.
Ci
salutiamo ma ci rivedremo la settimana dopo, restando d'accordo di
spostare l'appuntamento nel caso T abbia una crisi prima di venire in
ambulatorio.
Al
secondo incontro non ha crisi e concludiamo l'esame.
T sarà poi operato e non avrà più crisi.
I
farmaci antiepilettici saranno gradualmente ridotti.
Per
qualche tempo dovrà continuare i controlli elettroencefalografici.
Lo
rivedo diverse volte negli anni successivi per documentare le
modificazioni del profilo cognitivo e comportamentale dopo la
neurochirurgia.
Ha
continuato a disegnare ma ora il tratto e i personaggi sono cambiati.
Segue...
Segue...
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Dieci
anni dopo sono in questa stanza che è l'ambulatorio di
neuropsicologia della nuova sede dell'Ospedale. Ora è lontano dalla
stazione ma è in collina. Ha spazi ampi e colorati.
A
dire il vero l'ambulatorio si allarga per alcuni giorni anche ad
altre stanze: ora siamo in tre, con diverse combinazioni di ore
contrattuali.
La Neurologia in 10 anni ha un reparto per i ricoveri
al II piano, un ampio spazio per gli ambulatori e i day hospital al
piano terra, quattro stanze insonorizzate per gli esami
elettrofisiologici, il laboratorio di neurogenetica,...
Poi c'è la
Neurochirurgia: il reparto, le sale operatorie, gli ambulatori,... Ci
arrivano richieste anche da tutti gli altri reparti.
Eppure,
nonostante il mio piglio, c'è chi ancora confonde neuropsicologia
con neuropsichiatria.
Di certo, poco fanno gli psicologi rappresentanti professionali e accademici là fuori per sostenerci.
Al
Meyer c'è da più di 10 anni anche il Servizio di Psicologia, del
quale hanno fatto sempre parte circa una decina di colleghi
psicoterapeuti, ma ora sono un paio quelle che conosco dagli inizi.
Anche il servizio ha una stanza e più al I piano e per ora un'unica
posizione strutturata: un riconoscimento istituzionale necessario per
organizzare, pianificare, competere per progetti di ricerca e fondi,
promuovere iniziative di sensibilizzazione.
Per
ora noi quaggiù continuiamo a resistere.
Dalle
pareti sporgono i disegni, la mia collezione ne ha di tutti i colori!
Sono
10 anni! dico ma siamo solo in tre o quattro dall'inizio. Gli
altri (tecnici, biologi, neurologi, neuropsichiatri), come me in
posizioni precarie, sono cambiati più volte.
Ci
scambiamo solo un rapido sguardo, carico di memorie.
...
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