domenica 16 luglio 2017

Il suicidio nell'anziano è diverso?



George Eastman, il geniale creatore della Kodak, si uccise con un colpo di pistola all’età di 77 anni lasciando una nota suicidaria di questo tenore, “Ai miei amici: il mio lavoro è finito. Perché aspettare?”. James Whale, regista americano di film famosi come Frankenstein e L’Uomo Invisibile, nel suo ultimo messaggio scrisse, “Il futuro è solo vecchiaia, malattia e dolore. Ho bisogno di pace, e questo è l’unico modo per ottenerla” (Etkind M., 1997). In realtà, entrambi soffrivano di una condizione depressiva: Eastman era confinato su una carrozzella con terribili dolori alla colonna vertebrale e Whale abusava di stupefacenti e alcool. Le loro giornate erano vissute con molta difficoltà.


Se ne parla poco ma in Italia e nel mondo il maggior numero di suicidi è commesso da persone anziane, soprattutto uomini.
Secondo i dati dell'Istituto Superiore di Sanità, in Italia, in termini assoluti “circa una persona suicida su 3 ha più di 70 anni, con una proporzione analoga per i due generi”.
In termini relativi, il suicidio negli anziani non è tra le principali cause di morte e “i suicidi rappresentano solo lo 0,2% del totale dei decessi tra gli italiani ultrasettantenni”, mentre è la seconda causa di morte negli adolescenti e giovani maschi di 15-29 anni (12%), dopo gli incidenti stradali (35%) e con quota simile alle morti per tumore (13%).




Secondo i dati del primo rapporto globale sulla prevenzione del suicidio Preventing suicide. A global Imperative, stilato dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), nel 2012 in Italia, le morti per suicidio sono state circa 4000, con un tasso standardizzato di 4,7 per 100.000 abitanti (7,6 per gli uomini e 1,9 per le donne), molto inferiore a quello mondiale di 11,4 per 100.000. L’Italia è tra i Paesi con i più bassi livelli di suicidalità, almeno dalla fine degli anni ’80: da allora ”i tassi di suicidio si sono praticamente ridotti a un terzo per le donne anziane e sono diminuiti di quasi il 50% tra gli uomini”. Tuttavia, in tutto il mondo “i tassi di suicidio continuano comunque a crescere fino a età molto avanzata (cioè anche nei centenari), con una curva della linea di tendenza marcatamente più ripida negli uomini che nelle donne”.






Queste ultime indicazioni e la citazione iniziale sono tratte dal supplemento della rivista dell'Associazione Italiana di Psicogeriatria (AIP) dedicato al suicidio, curato da Diego De Leo, Professore Emerito di Psichiatria alla Griffith University in Australia, Direttore del Dipartimento di Psicologia alla Primorska University in Slovenia e Vice-Presidente dell’AIP.


Come anticipato da Marco Trabucchi nell'introduzione, “il suicidio della persona anziana è un evento carico di interrogativi sul piano dei fattori di rischio e del vissuto soggettivo del dolore e della fatica di vivere” e deve essere affrontato “nell’ottica della complessità, perché fattori biologici, clinici, psicosociali si intrecciano in modo del tutto peculiare nell’indurre a compiere atti suicidari”.


Difatti, scrive De Leo “la cura della depressione da sola non può bastare” e “nessun tipo di quick fix è ipotizzabile per ridurre efficacemente il numero di suicidi tra gli anziani”.
Perdite, isolamento fisico ed emozionale, mancanza di aspettative di miglioramento, tensioni famigliari”, la “frequentazione di una struttura sanitaria poche ore prima“ sono eventi o sequenze di eventi troppo grandi e difficili da affrontare da parte di persone che possono già trovarsi in condizioni di fragilità per altre cause mediche.

Come si può vedere nella tabella seguente, “il rapporto tra tassi di suicidio tra i più anziani e i più giovani sembra seguire un pattern culturale”, con picchi di mortalità suicidaria in età giovane nei Paesi anglosassoni. In Portogallo invece, il rapporto indica che tra gli uomini sono vittime di suicidio 11.2 anziani per ogni giovane suicida e tra le donne il rapporto è di 8.97; in Norvegia il rapporto è di circa 1 a 1 negli uomini e di 0.72 nelle donne, indicando una maggiore mortalità suicidaria nelle giovani.


Le morti per suicidio sono più frequenti negli uomini: “nei paesi ad alto reddito si attestano intorno a un rapporto di tre casi di suicidio negli uomini per uno nelle donne”. Tuttavia, con l'invecchiamento questo rapporto diventa molto più alto, fino ad arrivare nei centenari a un rapporto di 8 a 1 tra maschi e femmine, come riportano studi recenti.
Come spiega De Leo, “il “paradosso di genere” nei tassi di mortalità è spesso spiegata dal più frequente comportamento di ricerca d’aiuto nei soggetti di sesso femminile e dall’utilizzo di metodi suicidari più violenti e letali nei maschi”. A questo si aggiunge “l’accumularsi di molteplici fattori di rischio tra gli uomini in fasi molto avanzate della vita”.

Probabilmente, nelle donne sono anche maggiori i fattori protettivi derivanti dalla permanenza del loro ruolo nel contesto familiare e sociale e nell'accudimento.

Rispetto ai giovani, negli anziani diminuiscono sensibilmente pensieri e/o desideri di morte e ideazione suicidaria

Come avverte De Leo, anche nei paesi più avanzati “le registrazioni ufficiali implicano un certo grado di sottostima del fenomeno, e questo normalmente riguarda sia la popolazione generale che,
soprattutto, i soggetti in età più avanzata”. Ci sono diverse situazioni di tipo clinico, sociale, giudiziario e politico a far sì che un decesso non sia registrato come suicidio.




Il suicidio nell'anziano si delinea come un fenomeno complesso ma con caratteristiche diverse dal suicidio nei giovani. D'altra parte non si deve cadere nel 'pregiudizio dell'età', che porta ad associare erroneamente l'invecchiamento a una condizione di infelicità e depressione (un disturbo depressivo è riportato solo tra l’8% e il 16% di anziani della popolazione generale). Dei rischi di tale pregiudizio devono essere consapevoli soprattutto i medici che curano l'anziano, da un lato per non sottovalutare i segnali di avvertimento e dall'altro per non affidarsi a soluzioni semplicistiche come la prescrizione di un antidepressivo, che è una misura insufficiente se non affiancata ad altri interventi psicoterapeutici e sociali.

Per De Leo “molto raramente una prescrizione unicamente farmacologica può fare la differenza in modo positivo per una persona che sta contemplando l’ipotesi suicidaria”. Inoltre, “gli anziani in genere tendono a mettere in atto piani suicidari particolarmente ben studiati”.

Anche i metodi di suicidio tendono ad essere diversi nei giovani e negli anziani e in questi ultimi sono più letali, come descritto nell'articolo dedicato.

Tra i fattori di rischio suicidario nelle persone anziane De Leo elenca: i disturbi mentali (depressione, ansia) spesso associati a una condizione medica legata all'età (malattie cardiovascolari, esiti di un ictus, ecc), l'abuso di alcol, farmaci o altre sostanze, una diagnosi di demenza in fase iniziale, la disponibilità di armi da fuoco, la presenza di malattie somatiche disabilitanti e la necessità di ospedalizzazioni, l'isolamento sociale, i conflitti familiari, i lutti (la perdita del partner aumenta di otto volte negli uomini e di cinque volte nelle donne il rischio di suicidio nell'anno seguente), la convivenza con una persona disabile (nei casi rari ma frequenti negli anziani di omicidio-suicidio), il trasferimento in una residenza per anziani.
Tuttavia, nessuno di questi fattori di rischio preso singolarmente permette di identificare una persona con rischio suicidario e non ci sono ancora abbastanza studi che abbiano analizzato l'interazione di più fattori.



Tra i fattori protettivi sono da considerare: la presenza di una rete famigliare e sociale, la partecipazione a una comunità, l'autosufficienza, l'accudimento dei nipoti (prevalente per le donne).

Negli ultimi due articoli De Leo delinea i metodi e gli strumenti per la valutazione clinica della persona a rischio di suicidio e la prevenzione della suicidalità.
Limitare l'accesso ai mezzi potenziali per il suicidio è una delle strategie preventive più efficaci; la facilità di accesso ai servizi di salute mentale e la presa in carico interdisciplinare rappresentano altri fattori fondamentali, assieme alla disponibilità di un sostegno telefonico, la partecipazione ad attività occupazionali e sociali, la presenza di operatori esperti nei servizi sociali e sanitari.


Infine, “La prevenzione del suicidio negli anziani non dovrebbe prescindere da un’azione concertata sul mondo dei media. La loro capacità di influenzare negativamente le persone più vulnerabili è acclarata […] Oltre a sensazionalizzare il suicidio, i media possono essere determinanti anche fornendo istruzioni precise su come un metodo di suicidio possa essere efficacemente impiegato”.

La lotta allo stigma e al pregiudizio dell'età, diffusi anche tra gli operatori sanitari – deve essere portata avanti con maggior determinazione. Nello stesso tempo, la promozione attiva di una cultura di resilienza e di adattamento alle diverse fasi della vita e ai
cambiamenti imposti dall’avanzare dell’età dovrebbero costituire la parte essenziale nelle aspettative di ogni processo di invecchiamento di successo”.


Per richiedere il supplemento si può scrivere a: aipsegreteria@grg-bs.it

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