lunedì 23 novembre 2020

“Dementi”, “pazzi”, “ritardato”, “lobotomizzato”. Le parole dello stigma che si dovrebbero evitare


Giocare ai neurologi o agli psichiatri non è passato di moda sui media e mentre qualche settimana fa, come dadi, si lanciavano diagnosi casuali ai giovani che stando in casa o fuori sbagliano comunque, questi ultimi giorni hanno visto un ulteriore livello: sul tavolo sono balzate le persone negazioniste.

Al diffondersi delle teorie cospirazioniste e del negazionismo della COVID-19, che hanno conseguenze sulla salute pubblica per il rifiuto di adottare le misure di sicurezza, hanno dato un rilevante contribuito un’informazione contraddittoria e selettiva, diversi esperti ottimisti e tanta propaganda politica antiscientifica.

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“Dementi”, “pazzi”, “psicotici” sono solo alcune delle pseudo-diagnosi affibbiate come insulti a chi nega le conseguenze del contagio da virus SARS-CoV-2 sulla salute delle persone e sul sistema sanitario per la necessità di trovare un appiglio nelle incertezze, per appartenenza a un gruppo o per interessi finanziari e politici.

Si tratta di etichette, assieme ad altre come “cerebroleso”, “ritardato”, “lobotomizzato”, “schizofrenico”, “autistico”, “bipolare”, “narcisista”, “psicopatico”, “sociopatico” e così via, che vengono elargite quotidianamente online e offline a chi abbia idee o comportamenti considerati non conformi o anormali.

Si ricorre alla neurologia e alla psichiatria per sostanziare il proprio giudizio morale sull’altro che di volta in volta rappresenta una minaccia, fa paura, non conosciamo, ha idee diverse dalle nostre o semplicemente ci sta antipatico. E partecipano al gioco anche giornalisti/e e – con sprezzo del codice deontologico – molti professionisti della salute mentale.

Il risultato è una più o meno esplicita dichiarazione di superiorità che, oltre a rivelare un lessico modesto e avvitato su un ristretto insieme di aggettivi ricorrenti, ha conseguenze sociali dannose.

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