sabato 1 novembre 2014

La neuromania e gli inganni. Una conversazione con il Prof Umiltà.

 

In Neuromania (1) pubblicato nel 2009, Paolo Legrenzi e Carlo Umiltà descrivevano i metodi e le tecniche delle neuroscienze fin dagli studi di Mosso che fu tra i primi a cercare di misurare il flusso sanguigno cerebrale, richiamando l'attenzione sui rischi di una “progressiva naturalizzazione delle scienze umane”.
Inoltre, mettevano in evidenza come l'aggiunta di un prefisso può avere presentato come nuove conoscenze già acquisite, attraverso la sostituzione terminologica di “mente” con “cervello”, ma di fatto nulla ha apportato al sapere scientifico attuale.

Il progresso nelle tecniche di neuroimmagine e il successo della diffusione delle “immagini colorate” della risonanza magnetica funzionale – dovuto al fatto che “al pari di quello degli altri primati, il nostro cervello è visivo, nel senso che una gran parte di esso processa informazione visiva” - ha portato al proliferare di discipline “neuro+” (2): neuroetica, neuroestetica, neuropolitica,...

Come scrisse Ricardo Basso Garcia nella recensione apparsa su
Science nel 2012 (3), dopo la traduzione inglese pubblicata nel 2011 (4), 
 “nella lettura degli autori, il cervello è diventato il sistema di riferimento per le spiegazioni della mente e del comportamento umano, lasciando sullo sfondo altri approcci che includano gli aspetti sociali e culturali della mente umana.
La questione importante non riguarda la prospettiva che dovrebbe prevalere, ma le decisioni relative alla vita umana, che dipendono da come la società definisce il rapporto mente-corpo. Se appare in primo piano un solo aspetto, ci possono essere differenze drastiche nel trattare argomenti spinosi come l'aborto e l'eutanasia. […] La riflessione su tali questioni da un punto di vista strettamente biologico può essere fuorviante, dopo tutto, all'interno del nostro cranio vi è più di un semplice cervello”.

 
Nel nuovo “libretto” Perché abbiamo bisogno dell'anima, Legrenzi e Umiltà continuano il discorso “da allora il quadro culturale non è cambiato”. Tornano sui rischi della “progressiva naturalizzazione delle scienze umane”, si interrogano su “Come mai non ci siamo sbarazzati del dualismo [...]? Il dualismo ingenuo aiuta o frena scelte come la riproduzione assistita, l'aborto, l'eutanasia?”, chiariscono la differenza tra un riduzionismo di principio e un riduzionismo operativo
 

Ne ho parlato con il Prof Carlo Umiltà, con il quale mi laureai a Padova nel 1996.
Come sempre disponibile, ha risposto dopo poche ore al mio messaggio di posta elettronica, affrontando con generosità ciascuna delle questioni che gli ho posto. 
Riporto il testo per intero comprese le R alle sue risposte.


Il libro si conclude con una domanda: riuscirà mai il riduzionismo a spazzare via il dualismo dalla psicologia quotidiana?
R: Penso non ci riuscirà, almeno nel prevedibile futuro. L'evoluzione ci ha imposto la insopprimibile tendenza ad attribuire una mente a tutti gli oggetti (animati o meno) con i quali interagiamo.

E se quest'obiettivo fosse raggiunto dal riduzionismo forte non sarebbe altrettanto pericoloso?
R: Se il riduzionismo forte (mente = cervello) prevalesse, non credo ci sarebbero grossi cambiamenti. Cambiamenti radicali ci sarebbero, invece, se il riduzionismo (debole o forte) diventasse operativo. Se ciò accadesse, la psicologia sarebbe sostituita dalle neuroscienze cognitive.
Non credo, però, sia ancora il caso di preoccuparsene (almeno per i prossimi 100 anni e più).

Penso ad esempio alle discusse sentenze di Tribunale che attenuano le pene, stabilendo un nesso causale tra cervello e crimine ("Non sono stato io, è stato il mio cervello") o nella clinica all'ipotesi di fare diagnosi funzionale su una lastra di risonanza.
R: Il dire "non sono stato io, è stato il mio cervello" diventa ininfluente se si pensa, come si deve pensare, che l"io" si realizzi attraverso l'attività di parti del cervello (o, addirittura, l'"io" coincida con parti del cervello).

Questa possibilità è stata recentemente scongiurata per l'autismo - poi ci tornerò - da un ampio studio che non conferma la presenza di anomalie strutturali alla risonanza rispetto ai controlli, anche se non esclude lesioni microstrutturali: un dato importante che argina le bizzarrie localizzatorie pubblicate negli ultimi anni.
R: Concordo che le localizzazioni prevalenti sono vere e proprie bizzarrie. Le localizzazioni sensate devono essere in termini di reti complesse di strutture neurali. Così anche le patologie vanno pensate in termini di malfunzionamento (a livello macrostrutturale e/o microstrutturale) di reti
neurali complesse.

E ancora, cosa pensa del 'ritrovamento' della coscienza, attraverso fMRI, nei pazienti in stato vegetativo?
R: Io distinguo fra "condizioni per la coscienza", che si realizzano in strutture sottocorticali" e "contenuti della coscienza" che dipendono soprattutto da strutture corticali. Se le condizioni per la coscienza sono presenti, non ho difficoltà a pensare che ci possano essere anche dei contenuti, se parti della corteccia sono preservate. Sulla coscienza nello stato vegetativo ha scritto cose molto intelligenti Giovanni Berlucchi...

Sono stata poi sorpresa dalla visione dello smartphone in chiave Winnicottiana! Un modo di considerare l'individuo come un eterno bambino, un organismo che cresce. E se l'euforia attuale fosse quella dei neanderthaliani con i loro nuovi utensili? In tal caso, la differenza la farebbe la sofisticazione tecnologica. Come mi ha detto un ragazzino durante una valutazione "i geroglifici? Dei simboli, come gli sms di ora"!
R: Per questi aspetti, le suggerirei di contattare Paolo Legrenzi...

A pag 56 poi ho avuto un sussulto. I neuroni specchio sono stati una grande scoperta per le neuroscienze ma limitatamente alle scimmie. Proprio alcuni giorni fa Rizzolatti ha parlato di prova "still weak" sull'uomo. L'intervista da parte di un giornale olandese era motivata dal recente libro di Gregory Hickok, The Myth of Mirror neurons. Rizzolatti lo ha definito un linguista che si occupa di divulgazione scientifica, attirandosi le critiche di qualcuno che lo ha a sua volta sproporzionatamente appellato come il 'Beppe Grillo delle neurosicenze'. Spero si fermino tutti, per non avvilire la ricerca scientifica, che deve proseguire usando nella traslazione clinica lo stesso rigore metodologico del lab.
Professor Emeritus and Senior Scholar
of Neuropsychology, University of Padua

R: Ho appena finito di leggere il libro di Hickok. Mi è sembrato un libro equilibrato (fra l'altro, ringrazia Vittorio Gallese e Luciano Fadiga per l'aiuto). Concordo con lui sul fatto che i mirror neurons siano certamente presenti in alcuni primati, mentre sia ancora incerta la loro presenza nell'uomo. Hickok ad un certo punto, all'inizio, elenca tutti i fenomeni che vengono attribuiti ai neuroni specchio. La reazione che viene spontanea è, purtroppo, di mettersi a ridere. Sono convinto che questa follia attributiva sia costata il Nobel a Rizzolatti. In fin dei conti, i neuroni spaziali di O'Keefe [Premio Nobel per la Medicina 2014] sono altrettanto controversi dei mirror neurons e la loro presenza nell'uomo è altrettanto dubbia. Fortunatamente per O'Keefe, la discussione sulla funzione dei "suoi" neuroni non è stata gettata in farsa da un eccesso di teorizzazione infondata.

Rispetto all'autismo, i risultati sono deboli e sono più forti le controprove finora. La mia preoccupazione è che si creino false aspettative terapeutiche nelle famiglie. Si parla anche di terapie riabilitative basate sui neuroni specchio... Insomma, ci sono gli ingredienti per farne un mito?
R: Ero convinto che l'attribuire l'autismo a un malfunzionamento del sistema dei neuroni mirror avesse un senso. Dopo avere letto il libro di Hickok mi sono venuti molti e seri dubbi.

Infine, dato che non ci sono alternative "a condurre la ricerca sui processi mentali con i paradigmi della psicologia sperimentale", si può bilanciare la diffusione delle immagini di cervelli colorati con la divulgazione di tali paradigmi, a beneficio del pubblico? Questo richiederebbe uno sforzo anche da parte degli psicologi.
R: Certo, sarebbe necessario farlo. Purtroppo quelle immagini colorate (e, in larga misura, del tutto fantasiose) sono difficili da contrastare. Il primo passo, molto difficile, sarebbe convincere i "laici" che quelle NON sono affatto fotografie del cervello al lavoro e che come il cervello lavora lo si capisce molto meglio dagli esperimenti di psicologia. 
 

Buone letture e discussioni!


1. Legrenzi P., Umiltà C. Neuro-mania: Il cervello non spiega chi siamo, Società editrice Il Mulino, 2009.

2. Legrenzi P., Umiltà C. Perché abbiamo bisogno dell'anima. Società editrice il Mulino, 2014.

3. Legrenzi P., Umiltà C., Anderson F. Neuromania: On the Limits of Brain Science, Oxford University Press, 2011.

4. Basso Garcia R. The Mind Inside Our Skull. Science 2012, 337 (6092), 293-294




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