Il
Comitato pari opportunità della Società Italiana di Fisica ha prodotto un’Analisi di genere del profilo dei laureati in Fisica italiani della quale ha scritto
Giulia Fabriani su Le Scienze.
A
una prima lettura ho pensato che il quadro fosse desolante, come si può leggere
da questi estratti:
"Il 65 per cento degli
immatricolati, infatti, sono maschi contro il 35 per cento di femmine, e le
proporzioni non cambiano se si guarda al numero di laureati triennali."
"Le studentesse spesso escludono la possibilità di rimanere nel ramo accademico o nella ricerca: l’interesse femminile a proseguire con un dottorato è inferiore a quello maschile (64 per cento contro 73 per cento). Le giovani fisiche preferiscono investire tempo e risorse in scuole di specializzazione o stage aziendali."
Rileggendo con maggiore attenzione, il documento risulta però incredibilmente deludente.
Cominciamo dal titolo: è
quantomeno paradossale che un Comitato pari opportunità - che dovrebbe
promuovere inclusione e diversità nel mondo accademico - titoli un documento sui
laureati “italiani” e non sui laureati in Italia. Questa scelta riflette,
forse non intenzionalmente, l’assenza dal documento di qualsiasi riferimento
alla proporzione di cittadini stranieri che studiano fisica in Italia.
Analizzando la serie storica sul
sito di AlmaLaurea, inserendo alcuni filtri è possibile sapere che dal 2004 al
2018 (dall’inizio delle rilevazioni e fino allo scorso anno) la percentuale di
cittadini stranieri laureatisi in fisica ha oscillato dallo 0.9% del 2013 al 2.5%
del 2012, attestandosi a una media dell’1.45%. Sono pochissimi anche rispetto
alla media generale del 5.3% di studenti stranieri presenti nelle università
italiane, mentre la media europea è dell’8.1%.
A quanto pare, meno si vedono e meno
se ne parla.
Nel documento
sono commentati i dati descrittivi per i vari temi considerati e le differenze tra i generi superiori al 3% ma non vengono posti termini di confronto, ad esempio
rispetto alle medie europee, né vengono effettuate analisi statistiche anche se
si fa menzione di differenze significative. Sono anche specificati i
campioni di riferimento per ogni tema, ossia il numero di laureati (donne e
uomini) che hanno risposto ai questionari e in questi casi, anziché parlare di rappresentatività
del campione (che è sempre molto alta), vengono usate delle modulazioni
qualitative sulla significatività (non determinata statisticamente): “ampiamente
significativo”, “adeguatamente significativo”, “abbastanza significativo”. Dal
momento che si tratta di un’Analisi istituzionale per il settore disciplinare di fisica, non avrebbe fatto difetto una terminologia più appropriata.
Nelle
sezioni dedicate all’occupazione dei laureati, alle ripartizioni territoriali
per le sedi delle aziende mancano i dati del sud e non è dato sapere se sia
perché le donne laureate in fisica non trovano lavoro a Sud, rispetto ai dati che
invece sono riportati per Nord-est, Nord-ovest, Centro e Isole.
Ho posto alcune di queste questioni alla Professoressa Anna Di Ciaccio, autrice del documento
assieme a Chiara La Tessa, Sara Pirrone, Gian Michele Ratto, Paolo Rossi,
Silvia Soria, e aggiungerò l’eventuale risposta.
Un altro aspetto critico del
documento è la scelta dell’annata 2016 senza motivazioni documentate. Anzi,
viene specificato che:
"Malgrado
il relativo ritardo rispetto all’anno di indagine è ragionevole considerare che
i dati siano abbastanza stabili nel tempo e quindi abbastanza significativi
anche in relazione alla situazione presente."
Tuttavia,
se con un altro paio di filtri, dal sito di AlmaLaurea andiamo a osservare i
dati dei laureati triennali nel 2018, troviamo che, rispetto alle 593/1692 (35%)
donne laureate in fisica nel 2016, si passa a 648/2013 (32.2%) nel 2018, con un
calo di circa 3 punti percentuale e un lieve calo anche rispetto alla media
della serie storica (2004-2018= 33.56%). Pur essendo aumentate (55 in più) le
donne laureate nel 2018 rispetto al 2016, restano una minoranza rispetto ai
molti più uomini che si sono laureati nel 2018 rispetto al 2016 (321 in più).
Inoltre,
nel documento viene riportato che, per il 2016:
"La
distribuzione dell’età alla laurea delle donne appare spostata verso l’alto
rispetto a quella degli uomini: in particolare nella fascia di chi aveva meno
di 23 anni si passa dal 52% degli uomini al 41% delle donne, mentre nella
fascia dai 23 ai 24 anni si trova il 28% degli uomini e il 41% delle donne.
Questo risultato è confermato dalla distribuzione della durata degli studi, che
vede una minor percentuale di donne terminare in corso (−11% rispetto agli
uomini) e percentuali più elevate di donne al primo (+7%) e secondo (+3%) anno
fuori corso."
Se
consideriamo i dati del 2018, troviamo che a un’età inferiore a 23 anni si sono
laureati il 59.3% degli uomini e il 51.7% delle donne, che sono il 9.9% in meno
le donne che si laureano in corso rispetto agli uomini e il 2% in più al primo
anno fuori corso e il 4,6% in più rispetto agli uomini a laurearsi al secondo anno
fuori corso.
Se
prendiamo i dati di 10 anni fa, quindi del 2009, osserviamo che a meno di 23
anni si sono laureati il 55.7% degli uomini e il 54.9% delle donne, che il 4.7%
in meno rispetto agli uomini era in corso, il 5.5% in più di donne si sono
laureate al primo anno fuori corso e il 2% in più rispetto agli uomini si sono
laureate al secondo anno fuori corso.
L’interpretazione
di dati estratti arbitrariamente per un unico anno di laurea, senza considerare
la serie storica e altri fattori contestuali può essere quindi molto ipotetica
e come ha commentato Sveva Avveduto “si può pensare che ci siano più motivazioni dietro questi risultati”.
Soprattutto, un’analisi di questo tipo non fornisce
indicazioni su dove e come agire per incrementare la proporzione di donne che
si laureano in fisica. Difatti, nel documento, mancano del tutto le misure e le
azioni per l’immediato futuro.
Stando ai dati del documento, come incrementare quel 67.6%
di donne che, rispetto all’86.9% di uomini, intende proseguire gli studi con la
laurea magistrale biennale (che resta al 69% per le donne e all’88.6% per gli
uomini nel 2018, mentre era l’80.8% per le donne e l’83.1% per gli uomini nel
2009)?
Infine,
mi soffermo su qualche dato delle lauree magistrali biennali. Nel 2016, secondo
l’Analisi del Comitato pari opportunità della Società Italiana di Fisica, le donne
erano 272 su 1016 laureati, corrispondenti al 27%.
Nel
2018, si sono laureate alla magistrale biennale in fisica 280/996 donne,
corrispondenti al 28%, con un incremento di 8 unità, nonostante i -20 laureati sul
numero totale, rispetto al 2016.
Per quanto riguarda le prospettive post-laurea, nel 2016:
“Le
donne sembrano molto meno interessate al dottorato di ricerca (64% contro il
73% degli uomini), mentre una frazione significativa (5,8% contro 1,6% degli
uomini) pensa a una scuola di specializzazione.”
Dopo
due anni, nel 2018, il quadro non è molto cambiato se il 66.9% delle donne e il
72% degli uomini hanno espresso l’intenzione di proseguire con il dottorato di
ricerca, mentre il 6.5% delle donne e lo 0.9% degli uomini intendono
frequentare una scuola di specializzazione.
Nel
2009 le laureate alla specialistica/magistrale erano 140/437, corrispondenti al
32%, il 58.3% (67.3% per gli uomini) intendeva proseguire gli studi con il
dottorato di ricerca e il 3.8% (2.1% per gli uomini) intendeva iscriversi a una
scuola di specializzazione.
Le
conclusioni del documento sono da prendere con estrema cautela perché da un
lato tendono a essere speculative, dall’altro individuano solo nel contesto
esterno all’università i fattori determinanti le disparità di genere (il liceo,
l’origine socio-economica). Non viene formulata alcuna ipotesi sull’ambiente
interno ai corsi di laurea di fisica, su eventuali disparità nelle valutazioni
e nelle opportunità di ricerca scientifica, sull’impatto delle diverse
proporzioni di donne tra i professori, sulle discriminazioni esplicite (non dimentichiamo Strumia) ed implicite nelle aule universitarie.
Come
si supera un’impasse che resta immutata da almeno un decennio?
Servono
azioni concrete nell’ambiente universitario se si ha davvero intenzione di dare
pari opportunità in fisica alle donne e alle minoranze, allo scopo di garantire
quell’ambiente diversificato e inclusivo che avvantaggia la conoscenza e la
ricerca scientifica.
Unfortunately,
diversity campaigns rarely have any impact, can result in illusions of
fairness, and – at their worst – trigger poorer behaviour toward women and
other underrepresented groups. There are several reasons for this, one being
that the major focus of these campaigns is on individuals rather than systemic
change – it’s cheaper to offer diversity training than try to change
institutions.
da Why we need to keep talking about equality in physics di
Jess Wade e Maryam Zaringhalam
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