Due intriganti studi
appena pubblicati rivelano nuovi rapporti tra il ricordare e il
dormire.
Com'è il sonno quando
la memoria viene persa a causa di una lesione bilaterale degli
ippocampi? E come sono i sogni?
Ippocampo (in verde) |
Sono le domande che si
è posta Goffredina Spanò, assieme ai suoi collaboratori nel gruppo
di ricerca di Eleanor Maguire, una neuroscienziata tra le più
interessanti e straordinarie*.
Nell'articolo
pubblicato su Current Biology – Sleeping with Hippocampal Damage -, Spanò e collaboratori scrivono: “L'ippocampo gioca un
ruolo critico nei processi di memoria correlati al sonno ma non è
chiaro quali caratteristiche specifiche del sonno siano dipendenti da
questa struttura cerebrale. L'esame della fisiologia del sonno in
pazienti con danno ippocampale bilaterale e amnesia potrebbe fornire
delle prove su questi rapporti”.
I pazienti amnesici
sono finora stati studiati in modo molto approfondito in veglia,
anche in compiti di immaginazione, ma ci sono pochi studi sul loro
sonno.
Per gli scopi della
ricerca sono state quindi reclutate 4 persone amnesiche molto
speciali. Si tratta di quattro uomini, destrimani, con un'età media
di 59 anni che alcuni anni fa (una media di circa 9 anni fa) hanno
subito un danno bilaterale degli ippocampi a causa di un'encefalite
limbica con anticorpi LGI1. Il danno cerebrale causato
dall'encefalite si è localizzato a livello dell'ippocampo, nella
regione temporo-mesiale di ciascun emisfero cerebrale, senza
estendersi ad altre aree.
La localizzazione molto
circoscritta della lesione e l'assenza, dopo il ricovero ospedaliero,
di crisi epilettiche e altri segni clinici, nonché di sintomi
psichiatrici e disturbi dell'umore rende possibile ricerche molto
approfondite sui diversi effetti della selettiva mancanza degli
ippocampi. Difatti, tutti e quattro sono molto studiati da diversi
neuropsicologi.
Per analizzarne il
sonno, Spanò e collaboratori hanno richiesto loro di completare dei
questionari sulle abitudini del dormire (ad es., se fossero
mattinieri o nottambuli, se facessero il riposo pomeridiano, ecc.) e
li hanno poi sottoposti a polisonnografia che, con il posizionamento
di appositi elettrodi, ha permesso di visualizzare e registrare
l'elettroencefalogramma, i movimenti oculari, la frequenza cardiaca e
altri parametri. Attraverso un apposito strumento diagnostico veniva
misurata anche l'eventuale presenza di apnee notturne e con un altro
dispositivo venivano monitorati i ritmi sonno-veglia per un periodo
di 7 giorni consecutivi.
Le misure qualitative e
quantitative, soggettive e oggettive utilizzate nello studio sono
quindi numerose e tali da garantire un'accurata e prolungata
misurazione delle diverse caratteristiche del sonno in ciascun
soggetto.
La polisonnografia
veniva registrata a casa dei soggetti (sia delle quattro persone
amnesiche sia di 10 soggetti di controllo), in modo da rendere lo
studio più ecologico possibile.
I dati sono stati raccolti in
quattro notti per ogni soggetto ma ai fini delle analisi statistiche
la prima notte di registrazione è stata esclusa perché ritenuta di
familiarizzazione dei partecipanti con la procedura. Attraverso tutti
i dati delle tre notti sono stati quindi determinati i profili medi
individuali e i profili medi di gruppo (soggetti amnesici versus
controlli) sulla qualità del sonno, la sua macro- e
micro-architettura, la sua stabilità e frammentazione.
Nei quattro soggetti
amnesici, Spanò e collaboratori hanno osservato una sistematica e
sostanziale riduzione, rispetto ai controlli, delle onde lente del
sonno non-REM (1.6 minuti in media per i soggetti amnesici a fronte
di 21.73 minuti per i controlli, che per questi ultimi sono appropriati all'età).
Le altre componenti del
sonno (ore totali, sonno REM, risvegli notturni) non presentavano
differenze tra i due gruppi.
Il controllo degli
artefatti, delle eventuali apnee notturne e della familiarizzazione
con la procedura escludono spiegazioni incidentali del fenomeno.
Per gli autori, la
quasi totale assenza di sonno a onde lente nei soggetti amnesici
deriverebbe dall'incapacità del cervello di produrre oscillazioni di
durata sufficiente a soddisfare i criteri per la stadiazione del
sonno. Le onde lente e sincronizzate restano presenti nell'EEG ma
sono rare.
Oltre alla riduzione
del sonno lento e della densità di attività lenta, anche la
strutturazione dei fusi appariva ritardata.
“Ciò
suggerisce che l'ippocampo potrebbe mediare queste associazioni e
mettere a punto i tempi degli eventi corticali...”.
La relazione tra le
differenze individuali nella struttura dell'ippocampo e le variazioni
nelle oscillazioni del sonno non REM (fusi e onde lente) era stata
dimostrata già da altri ricercatori come Saletin e collaboratori
(2013, 2016).
I risultati di Spanò e
colleghi, come ha scritto proprio Jared Saletin in un commento su
Current Biology, aprono una nuova possibilità: che l'ippocampo –
o i suoi segnali mnesici – siano necessari per la generazione delle
onde lente. Se le onde lente servono fondamentalmente alla memoria,
l'assenza di memoria non le rende più necessarie.
Le lesioni
dell'ippocampo causerebbero, quindi, anche un'alterazione specifica
nell'architettura del sonno, in particolare nella strutturazione
delle oscillazioni e dei fusi del sonno lento.
Saranno necessarie
ulteriori repliche di questo studio che per ora dimostra
elegantemente un ruolo significativo dell'ippocampo anche nella
fisiologia del sonno.
Nell'articolo su eLife
– Dreaming with Hippocampal Damage -, Spanò, Maguire e colleghi si
sono immersi in quella esperienza mentale soggettiva internamente
generata che si verifica durante il sonno: il sogno.
I sogni hanno ricevuto
le più svariate interpretazioni: religiose, psicoanalitiche,
premonitrici, cabalistiche o legate alla memoria.
Mary Calkins
(1863-1930), pioniera della psicologia che si vide negare il
dottorato ad Harvard in quanto donna, già nel 1890 iniziò a
condurre esperimenti sui sogni. Assieme al collega Edmund Sanford
(1859-1924) decisero di svegliarsi ciascuno a ore diverse nella notte per
annotare tutte le informazioni relative ai loro sogni. Calkins,
affermando il primato dell'osservazione e del metodo sperimentale,
concluse che il sogno riproduce gli eventi, gli episodi e le persone
della percezione in veglia e si contrappose così alla teoria
freudiana dei sogni allora in auge.
Più recentemente, è
stato dimostrato che il sognare ha rapporti con i processi di
consolidamento della memoria.
I dati finora
disponibili sul sogno delle persone amnesiche sono contrastanti sia
per i metodi di raccolta dei dati in fasi diverse del sonno, sia per
la selezione di pazienti con lesioni o difficoltà più estese.
Studiando, dopo la
fisiologia del loro sonno, i sogni dei quattro speciali soggetti
amnesici, Spanò e colleghi si sono orientati a comprendere se gli
ippocampi siano necessari per sognare.
Con le stesse
apparecchiature dello studio precedente i ricercatori si sono recati
per due notti nelle case di tutti i partecipanti (i 4 soggetti
amnesici e i 10 controlli). Mentre il soggetto studiato dormiva, due
ricercatori ospitati in una stanza attigua controllavano le fasi del
sonno in tempo reale con l'elettroencegalogramma. Ogni partecipante
veniva quindi svegliato in fasi di sonno non-REM e REM (a tre minuti
dal loro inizio) per una decina di volte a notte.
Non vi erano intervalli
fissi per tutti i partecipanti (ad es., risveglio dopo ogni ora
dall'addormentamento) proprio perché gli stadi del sonno e la loro
durata hanno un andamento individuale.
Il soggetto veniva
svegliato inviando un suono di 500Hz seguito eventualmente dalla
chiamata per nome e, una volta sveglio, gli veniva chiesto di dire
tutto quello che gli era passato per la mente prima del risveglio.
Potevano seguire domande del tipo “Mi può dire di più?” allo
scopo di raccogliere, attraverso un protocollo strutturato, tutte le
informazioni possibili sull'attività onirica immediatamente
precedente.
I sogni riferiti
venivano classificati attraverso apposite scale di misura in base a:
frequenza (numero totale di sogni/numero totale di risvegli), numero
di parole per descriverlo, complessità, vividezza,
bizzarria/implausibilità, valenza emotiva, dettagli esterni e
interni.
I risultati ottenuti da
Spanò, Maguire e colleghi dimostrano che i quattro soggetti amnesici
riportavano una minore frequenza di sogni rispetto ai controlli,
indipendentemente dal sonno REM e non-REM.
Uno dei partecipanti
amnesici non aveva fatto neppure un sogno!
È possibile che i
soggetti amnesici pur avendo sognato non ricordassero più il sogno
al momento del risveglio?
Non essendo possibile
misurare oggettivamente quando si sogna, Spanò e collaboratori
avevano distinto tre tipi di reazioni dei soggetti al risveglio:
riferivano un sogno (Dream); riferivano di non aver sognato
(NoDream); riferivano di aver sognato ma di non ricordarne il
contenuto (Blank Dream).
Sebbene ci fossero
differenze statisticamente significative per le risposte Dream
e NoDream tra soggetti amnesici e controlli, i due gruppi non
differivano nella proporzione di risposte Blank Dream, che era bassa in
entrambi i gruppi.
Questo portava a
pensare che i soggetti amnesici distinguessero le situazioni in cui
avevano sognato da quelle in cui non avevano sognato e anche da
quelle in cui pur avendo sognato non ricordavano il sogno.
In veglia, inoltre, la
loro capacità di mantenere nuove informazioni dura diversi minuti e
quindi la ridotta frequenza dei sogni non sembra attribuibile a un
rapido decadimento della traccia del sogno.
Sembra quindi che i
soggetti amnesici sognino di meno ma quando sognano possono ricordare di averlo fatto, almeno entro pochi minuti.
I sogni dei soggetti
amnesici erano complessivamente così pochi da renderne difficile il
confronto dei contenuti con quelli dei controlli.
Tuttavia, escludendo il
paziente che non aveva fatto alcun sogno, i ricercatori hanno potuto
osservare che il numero di parole informative non era molto diverso
tra i due gruppi: i soggetti amnesici non avevano difficoltà a
raccontare i sogni. Altri studi sugli stessi soggetti ne hanno
dimostrato abilità adeguate in diversi compiti verbali.
Pur con tutti i limiti
di un confronto sproporzionato tra i pochi sogni dei soggetti
amnesici e i molti sogni dei controlli, negli aspetti qualitativi
come la complessità, la vividezza, la bizzarria e la valenza emotiva
non vi erano differenze significative tra i due gruppi. Tuttavia i
tre soggetti amnesici descrivevano i loro sogni sistematicamente con
meno dettagli interni (episodici) ma con la stessa quantità di
dettagli esterni (non-episodici) rispetto ai controlli.
In sintesi, la
frequenza dei sogni era ridotta nei soggetti amnesici rispetto ai
controlli e i pochi sogni contenevano meno dettagli
spazio-temporali.
La ridotta frequenza
non è imputabile alle peculiarità nell'architettura del sonno lento
dimostrata nello studio precedente, dal momento che non vi erano
differenze tra i sogni riferiti nei diversi stadi del sonno dai
soggetti amnesici rispetto ai controlli.
Secondo Spanò e
colleghi, l'integrità dell'ippocampo può rappresentare un
prerequisito per il sogno e i sogni sembrano presentare
caratteristiche analoghe alle altre funzioni cognitive dipendenti
dall'ippocampo.
Nel commento di Erin
Wamsley su eLife:
"Queste osservazioni
supportano la visione emergente secondo cui i sogni sono generati nel
cervello da reti simili a quelle coinvolte nel recupero dei ricordi e
nella costruzione di scenari immaginati durante la veglia (Fox et
al., 2013; Graveline e Wamsley, 2015). Come la memoria e
l'immaginazione, un sogno vivido richiede la costruzione di scene
immaginarie dettagliate e basate sulla memoria - e questo processo
sembra basarsi sull'ippocampo.
[…] piuttosto che
essere un fenomeno completamente distinto, il sogno è parte di un
continuum di pensieri e immagini spontanei e costruttivi, generati
costantemente dal sonno agli stati di veglia”.
Da questi due
affascinanti studi e in attesa di altre conferme si può concludere
che:
- i soggetti amnesici
sognano meno;
- i sogni sono fatti di
memoria e la memoria struttura il sonno, almeno quello lento e
profondo;
- gli ippocampi sono i
possibili e formidabili architetti delle costruzioni che generiamo
nei pensieri e nelle immagini della veglia e del sonno.
*Delle ricerche di
Eleanor Maguire, del suo rigore e delle sue pubblicazioni accessibili
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