Pat Martino è uno dei musicisti che si è portato via il difficile anno passato. Si è spento a 77 anni il 1° novembre a Philadelphia, negli Stati Uniti, nella stessa casa in cui era cresciuto come Patrick Azzara, prima di prendere, ancora adolescente, le vie del jazz e il nome d’arte. Una malattia respiratoria cronica lo aveva costretto a concludere la sua straordinaria carriera nel 2018 dopo una serie di concerti in Italia, l’ultimo a Mantova il 24 novembre di quell’anno.
La lobectomia temporale fu resa necessaria nel 1980 da un’emorragia intracerebrale dovuta alla rottura di una malformazione artero-venosa, un gomitolo anomalo di vasi sanguigni che occupava una porzione del lobo temporale sinistro del cervello di Martino. Si tratta di una lesione congenita che viene identificata solo se diventa sintomatica a causa del sanguinamento (che mette a rischio la vita come nel caso di Martino) o di altre manifestazioni cliniche come crisi epilettiche, disturbi neurologi e neuropsicologici, oppure, incidentalmente, se viene prescritto un esame neuroradiologico per altri accertamenti. Negli anni precedenti, il chitarrista aveva presentato sia crisi epilettiche sia alterazioni comportamentali che non erano state riconosciute e non avevano condotto ad accertamenti neurologici bensì a cure e ricoveri psichiatrici. Questo periodo gli pregiudicò diverse relazioni, inclusa quella con la prima moglie e lo portò a sperimentare diverse sostanze stupefacenti.
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