domenica 5 novembre 2023

Quando in tribunale portarono Coca Cola per la tutela della salute e dei bambini

 

Alcuni giorni fa è stato dato grande risalto sui nostri media – con quel ricorrente pizzico di mal celata schadenfreude (godimento per le sofferenze altrui) – alla notizia che Meta, l’azienda proprietaria di Facebook e Instagram, è stata citata in tribunale negli Stati Uniti per i supposti danni causati alla salute mentale di ragazzi e ragazze. Uno dopo l’altro, oltre trenta stati hanno stilato i loro atti di citazione, ciascuno con le sue peculiarità (chi cita solo Youtube, Tik Tok e Snapchat, per esempio) ma tutti basandosi sulle famigerate pubblicazioni, talora inserendone addirittura gli sciatti grafici, dei due psicologi ormai riconosciuti come i più rappresentativi costruttori del panico morale verso social media e smartphone, Jean Twenge e Jonathan Haidt. 

I loro studi si basano sulla co-occorrenza di fenomeni e non su rapporti di causa effetto, considerano il tempo di esposizioni agli schermi – qualsiasi schermo e per qualsiasi contenuto – come variabile critica e prevalentemente misure soggettive, arrivando a risultati di scarsa affidabilità e riproducibilità ma che possono far gioco al clamore del momento. 

Lo scopo del procedimento legale avviato negli Stai Uniti non è appurare la fondatezza di tale filone di ricerche – già ridimensionate o smentite dalla comunità scientifica – perché non è in tribunale che si stabilisce il grado di credibilità di un settore di studi ma far sì che le aziende citate ammettano comunque di aver causato dei danni e provvedano a un generoso risarcimento e al pagamento delle spese legali. Staremo a vedere quale sarà il seguito. 

La notizia mi ha fatto ricordare di quando, poco più di un secolo fa, fu Coca Cola a essere citata in giudizio perché produttrice di una bevanda che creava dipendenza. È un episodio che fa parte della storia della psicologia. 

 

Il primo annuncio pubblicitario della Coca Cola,

Atlanta Journal, maggio 1886

 “L'altro giorno la madre mi ha affidato un ragazzino di dieci anni dagli occhi vivaci per spiegargli in poche e semplici parole il motivo per cui avrebbe fatto meglio a bere limonata e succo d'uva invece di Coca-Cola. Gli ho raccontato la storia, senza esagerazioni, di quello che contiene e perché la caffeina contenuta nel caffè o nella Coca-Cola non fa bene a un ragazzo in crescita. I suoi occhi si sono spalancati sempre di più, e alla fine ha detto con grande serietà: "Ma perché la lasciano bere? I cartelli dicono tutti 'Deliziosa, Rinfrescante'. "Perché?". 

A scrivere è Harvey Wiley, nel 1914, sulla rivista per lettrici Good Housekeeping, nella rubrica che teneva dal 1912, l’anno in cui si dimise da direttore dell’Ufficio di Chimica del Dipartimento di Agricoltura statunitense, l’ente governativo di controllo dei prodotti alimentari e farmaceutici che sarebbe diventato nel 1930 la Food and Drug Administration. Wiley fu il primo a essere designato Commissario nel 1907, quando l’ufficio fu incaricato dell’applicazione della legge Pure Food and Drug Act che era stata approvata nel 1906, durante la presidenza di Theodore Roosevelt, allo scopo di vietare alimenti e prodotti farmaceutici che fossero adulterati e non correttamente etichettati. In particolare, la legge richiedeva che le etichette dei prodotti dovessero indicare esplicitamente la presenza e il dosaggio di alcol, cocaina, eroina, morfina, oppio e altre droghe incluse nella lista di sostanze "che creano dipendenza" e/ o "pericolose". 

Wiley si era trasferito dalla Purdue University, nello stato dell’Indiana, a Washington nel 1883, iniziando come capo chimico la lunga carriera di funzionario del governo federale statunitense e dove intraprese vere e proprie crociate per la purezza degli alimenti. Diventò una celebrità nazionale e allo stesso tempo si inimicò diverse aziende produttrici. Al fine di sostanziare le sue campagne e le attenzioni dell’ufficio che dirigeva, Wiley analizzava gli effetti delle sostanze di volta in volta incriminate facendole ingerire a un gruppo di giovani volontari che sarebbe diventato noto come The Poison Squad. Tuttavia, gli studi da lui condotti erano piuttosto carenti in validità scientifica e non includevano gruppi di controllo. 

Fu su queste basi e per la sua avversione alla caffeina che Wiley intraprese le azioni contro Coca Cola, ordinando, nel 1909, il sequestro di un carico di decine di barili della bevanda proveniente da Atlanta in Georgia, e diretto alla principale fabbrica di imbottigliamento che si trovava a Chattanooga nel Tennessee. Ai sensi del Pure Food and Drug Act del 1906, era illegale commercializzare un prodotto che contenesse qualsiasi additivo dannoso per la salute umana, in questo caso l’elevata concentrazione di caffeina, e fu così che Coca Cola fu accusata dal governo di aver violato la legge. 

Wiley tollerava la caffeina come ingrediente naturale di caffè e tè ma riteneva che adulterasse la Coca Cola rendendola dannosa per la salute. Nella Coca Cola, secondo le sue ricerche, la caffeina era un additivo pericoloso, creava dipendenza ed era una minaccia per la salute dei bambini ai quali era pubblicizzata e venduta. Solo una nuova legge avrebbe potuto bandire la bevanda dal commercio. Da ricordare che, all’epoca, nella bevanda erano contenuti ancora estratti di cocaina ma non era quella a cui Wiley mirava. 

Mentre lavorava assieme al Dipartimento di Giustizia all’atto di citazione in giudizio dell’azienda, Wiley si fece promotore di una campagna allarmistica contro la bevanda che a suo dire privava i muscoli, il cervello e i nervi del necessario riposo, dal momento che la presenza di caffeina nella bevanda faceva dimenticare la sensazione di fatica e il bisogno di sonno. Non mancarono ricercatori che, muniti di studi discutibili nel metodo e di casistica aneddotica, sostennero le tesi di Wiley. 

All’inizio del 1911, all’approssimarsi della prima udienza, l’imputata Coca Cola decise di finanziare uno psicologo per condurre uno studio formale degli effetti comportamentali della caffeina negli esseri umani. Mentre alcuni suoi colleghi manifestarono ostilità a ricevere denaro da una parte in causa, Harry Levi Hollingworth (1880-1956), pioniere della psicologia applicata, accettò. Hollingworth aveva conseguito il dottorato alla Columbia University di New York e stava insegnando psicologia e logica al Barnard College oltre a svolgere altri lavori necessari a mantenere lui e la moglie Leta Stetter Hollingworth (1886-1939), invisibile pioniera della psicologia, alla quale da sposata venne negato l’insegnamento. A quei tempi, a New York era proibito assumere donne sposate come insegnanti. Solo un’insegnante assunta da single avrebbe potuto mantenere la posizione anche dopo sposata ma se fosse rimasta incinta, sarebbe stata licenziata. 

Il reddito degli Hollingworth era quindi molto basso e le spese familiari erano ridotte al minimo necessario per vivere. 

Lo stesso Hollingworth scrisse nelle sue memorie non pubblicate del 1940: 

"Nella storia della psicologia sperimentale non erano mai stati organizzati esperimenti a tale scala, necessaria ad ottenere risultati conclusivi... In me era all'opera una duplice motivazione. Avevo bisogno di soldi e avevo la possibilità di accettare un impiego in un ruolo per il quale ero stato formato, che copriva non solo i costi della ricerca ma mi permetteva anche di percepire un compenso molto soddisfacente per il mio tempo e i per miei servizi. Ritenevo di poter condurre consapevolmente tale ricerca, senza pregiudizio per i risultati, e di poter garantire preziose informazioni di carattere scientifico, nonché di rispondere alle domande pratiche sollevate dallo sponsor dello studio". 

Il processo iniziò il 16 marzo del 1911 a Chattanooga. Il dispiegamento di consulenti da parte del governo statunitense fu enorme ma si rivelarono altrettanto numerosi gli esperti chiamati da Coca Cola, tanto da rendere le udienze molto affollate. Non mancò neppure qualche momento di ilarità come quando un medico tra i testimoni del governo descrisse la congestione nei vasi cerebrali dei suoi conigli causata dalla caffeina. Al controinterrogatorio su come avesse ucciso i suoi animali per esaminarne il cervello, il medico ammise che gli aveva dato un colpo in testa con un bastone. 

Rispetto ai resoconti aneddotici e agli studi problematici nel metodo o nelle interpretazioni esposti alle prime udienze da entrambe le parti, la ricerca presentata da Hollingworth si poneva a tutt’altro livello. La terza settimana di udienze, Hollingworth fu il nono dei testimoni chiamati da Coca Cola e descrisse i risultati delle sue sperimentazioni nell’intera mattinata, utilizzando strumenti e grafici che aveva portato da New York. La testimonianza di Hollingworth dimostrò che la caffeina era uno stimolante leggero e il cui effetto sulla prestazione motoria era rapido e transitorio mentre l’effetto sulla prestazione cognitiva appariva più lentamente ma era più persistente. Dimostrò che non vi fossero prove di affaticamento o depressione conseguenti all’uso di caffeina e l’assenza di effetti dannosi sulla prestazione mentale e motoria. Se la caffeina fosse stata davvero dannosa un tale impianto sperimentale lo avrebbe dimostrato senza incertezze. L’unico effetto negativo era stato osservato nei partecipanti che avevano assunto le dosi più elevate di caffeina e che riportavano ai questionari una minore qualità del sonno nei giorni seguenti all’assunzione. 

Dopo quattro settimane di udienze e testimonianze, i legali di Coca Cola fecero istanza di improcedibilità in quanto il governo aveva considerato la caffeina come un additivo e non quale ingrediente essenziale della bevanda com’era considerata dai produttori. Il giudice si pronunciò su questa istanza e sentenziò l’inammissibilità del procedimento. 

Con questo esito a suo favore e per recuperare la pubblicità avversa degli ultimi anni, Coca Cola iniziò una campagna di rivalsa, pubblicando degli opuscoli che descrivevano le caratteristiche della bevanda precedute dalla immodesta scritta “tutta la verità sulla Coca Cola”. 

Contemporaneamente però, alcune modifiche introdotte dal 1912 al Pure Food and Drug Act per poter aggiungere la caffeina alla lista di sostanze dannose e inducenti assuefazione prepararono a un primo appello da parte del governo statunitense. Wiley a questo punto uscì di scena per contrasti politici interni al Dipartimento. Nel 1913 a Cincinnati, l’appello confermò la precedente sentenza. 

Era in gioco la reputazione del Dipartimento governativo. Fu preparato un nuovo appello alla Corte Suprema e, nel 1916, la sentenza fu sfavorevole a Coca Cola in quanto stabilì che la caffeina era da ritenersi un additivo della bevanda e non un ingrediente. Inoltre, citando le controversie che erano emerse sulla tossicità della caffeina, il giudice rinviava il caso a un tribunale ordinario. Coca Cola decise di dimezzare la quantità di caffeina contenuta nella bevanda e all’avvio del nuovo processo presentò istanza di “nolo contendere” per il fatto che le accuse mosse dal governo all’azienda si basavano su una ricetta che era ormai cambiata e non più utilizzata per produrre la bevanda. L’accordo tra le parti fu sancito dal giudice e a Coca Cola spettò il pagamento delle spese legali. 

Così la questione se la caffeina fosse o non fosse una sostanza dannosa per la salute non fu mai affrontata da un giudice. 


L’importanza della sua ricerca non si affievolì col passare del tempo e fu poi pubblicata da Hollingworth che nel 1940 scrisse: 

“Sono sempre stato felice di aver intrapreso questo progetto, che all'inizio sembrava a tutti gli interessati un'impresa un po' dubbia. Ha prodotto risultati di valore scientifico che hanno resistito alla prova del tempo e alla replica loro accordata. Ha prodotto... molte informazioni preziose sotto forma di registrazioni e misurazioni che potrebbero essere utilizzate per lo studio di questioni lontane da quelle originariamente sollevate. Mi ha procurato una reputazione per un tale tipo di lavoro... La ricerca, e il suo resoconto, ritenevo fossero utili per abbattere alcuni dei tabù allora prevalenti e per incoraggiare un'indagine cooperativa in cui la scienza forniva l'intuizione e la tecnica e l'industria offrivano i problemi e i mezzi. Ultimo aspetto, ma non meno importante per quanto riguarda ciò di cui L.S.H. [Leta Stetter Hollingworth] e H.L.H. [Harry Levi Hollingworth] eravamo preoccupati, aveva cancellato il nostro deficit”. 

Harry Hollingworth, continuando il suo insegnamento al Barnard College, non poteva supervisionare gli esperimenti e così incaricò Leta Stetter Hollingworth della vicedirezione del progetto e della guida del laboratorio. 

Il disegno sperimentale messo a punto era complicato ed elegante. Comprendeva procedure in cieco e in doppio cieco: non solo i soggetti non sapevano se stavano assumendo o meno caffeina ma anche gli sperimentatori erano tenuti all'oscuro. La possibilità di riconoscimento al gusto era stata resa impossibile attraverso l’uso di capsule di gelatina contenenti la caffeina o il placebo composto di latte e zucchero. 

Per condurre la ricerca senza interferenze di ogni tipo, i lavori si svolsero in un apposito appartamento situato in una zona tranquilla della città e attrezzato con gli strumenti e i materiali necessari. I partecipanti reclutati per lo studio furono sedici, dieci uomini e sei donne, assunti a tempo pieno per un periodo di 40 giorni per presentarsi al laboratorio in orari prestabiliti durante la giornata o per rimanervi stabilmente in modo da sottoporsi ad una serie di test cognitivi e motori. Le dosi di caffeina considerate erano diverse e variavano in misura inferiore o superiore alla dose di caffeina assunta da un bevitore moderato di Coca Cola in un giorno oppure da meno della metà a poco più del doppio della caffeina media contenuta in una tazzina di caffè. 

Furono realizzati tre studi separati. Nel primo studio, durato dal 5 febbraio al 3 marzo del 1911, sei assistenti qualificati e un medico testarono i partecipanti quotidianamente per cinque giorni in cinque domini: associazione semplice, discriminazione e giudizio, velocità motoria e coordinazione, suscettibilità all'illusione e dattilografia. I partecipanti vennero assegnati a quattro gruppi: il gruppo di controllo (senza caffeina), il secondo gruppo con caffeina per tre giorni e placebo nei tre giorni successivi somministrati al mattino, il terzo gruppo con caffeina e placebo a giorni alterni all’ora di pranzo, il quarto gruppo con caffeina e placebo a giorni alterni dopo pranzo. A tutti i partecipanti era richiesto di ingerire le capsule di gelatina contenenti caffeina o placebo secondo le modalità designate. Ogni partecipante annotava su un diario lo stato di salute quotidiano. 

Il secondo studio fu un esperimento intensivo di tre giorni in cui i partecipanti dovevano rimanere in laboratorio per controllarne alimentazione e sonno. Ai quattro gruppi veniva richiesto di ingerire in diverse combinazioni una miscela di sciroppo di soda e acqua gassata con caffeina, le capsule di caffeina e le capsule di placebo a pranzo e a cena per poi essere testati a diversi intervalli dai pasti. 

Il terzo studio, della stessa durata, fu rivolto a esaminare gli effetti della Coca-Cola con caffeina in diverse dosi e della Coca-Cola decaffeinata assunte ai pasti in bicchiere. 

Tutti i dati rilevati venivano controllati quotidianamente dagli assistenti e una loro copia veniva collocata in un altro luogo per far fronte al timore di perderli che lo stesso Harry Hollingworth aveva denominato “catastrofobia”. 

Fu un periodo molto impegnativo per gli Hollingworth con conseguenze sulla loro salute come l’insonnia persistente. 

In tutto vennero prodotte oltre 70.000 misurazioni e più di 800 curve di efficienza della prestazione. I risultati dimostrarono che la caffeina agiva come un lieve stimolante in grado di migliorare la prestazione ai test cognitivi e motori, in particolare quando i partecipanti erano affaticati. Gli effetti diminuivano se la caffeina veniva assunta a stomaco pieno. L’impatto della caffeina sui processi motori risultava rapida e temporanea, mentre gli effetti sui processi mentali erano più prolungati. 

In Hollingworth, 1912
 

Lo studio sulla caffeina fu importante per Leta Stetter Hollingworth e Harry Hollingworth perché ne decretò il rigore nel metodo di ricerca, fu uno dei primi studi scientifici ad applicare la scienza psicologica a un problema sociale e industriale, migliorò le condizioni finanziarie della coppia. La monografia di 166 pagine pubblicata da Harry Hollingworth nel 1912 negli Archives of Psychology continuò ad essere citata negli anni successivi nella letteratura medica e farmacologica. 

Viatico per chi fa ricerca:

In Hollingworth, 1912

“Lo scrivente è ben consapevole di una tendenza popolare a screditare i risultati delle ricerche finanziate da aziende commerciali, specialmente se è probabile che le preoccupazioni siano direttamente o indirettamente interessate all'esito degli esperimenti. Egli è anche consapevole di un analogo impulso umano ad attribuire subito un pregiudizio interpretativo all'investigatore i cui lavori sono supportati e resi possibili dall'aiuto finanziario di una società commerciale, e quindi non rappresentano un sacrificio indiretto di tempo e fatica da parte sua.

Dal punto di vista dei dati immediati qualsiasi bias può facilmente essere evitato facendo in modo che le misure condotte e registrate da assistenti che non sanno né le condizioni sperimentali sottostanti le registrazioni né la direzione in cui i fatti potrebbero puntare. Se questi dati sono presentati nella loro completezza possono ricevere un'interpretazione indipendente da chiunque sia incline a prendersi la briga di esaminarli...".


 Bibliografia

Benjamin LT Jr, Rogers AM, Rosenbaum A. Coca-Cola, caffeine, and mental deficiency: Harry Hollingworth and the Chattanooga trial of 1911. J Hist Behav Sci. 1991 Jan;27(1):42-55. doi: 10.1002/1520-6696(199101)27:1<42::aid-jhbs2300270105>3.0.co;2-1. PMID: 2010614.
 
Hollingworth HL.  The influence of caffeine on mental and motor efficiency. Archives of Psychology 22, April 1912.

 

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