Uno
studio recente di Angela de Bruin, Barbara Treccani e Sergio DellaSala pubblicato sul numero di gennaio della rivista Psychological
Science ha smontato alcune teorie
apparentemente acquisite sui benefici del bilinguismo e più in
generale sulle distorsioni della comunicazione dei risultati
scientifici.
Un
lavoro coraggioso, di non facile accettazione da parte dei revisori
della rivista stessa e che mette in risalto quattro punti
fondamentali:
- è
importante analizzare e pubblicare anche i risultati negativi o nulli
degli esperimenti condotti per verificare un'ipotesi scientifica;
-
l'esagerazione dei risultati è un virus che colpisce molti
scienziati (magari per ragioni di sopravvivenza legata alla gara per
i fondi di ricerca ma non per questo giustificata);
-
la modalità di presentazione dei risultati modifica le opinioni e le
scelte del pubblico e ha un impatto sulle politiche educative e di
integrazione e proprio per questo non può essere basata su dati
parziali;
-
più lingue sai più ne giovano la tua comunicazione verbale e le tue
relazioni ma - ahimé - non è ancora sufficiente per diventare più
intelligente o più abile in compiti sofisticati o addirittura per
ritardare l'esordio di demenza.
Ne
ho parlato in una conversazione tramite posta elettronica con uno
degli autori, Barbara Treccani, ricercatrice e docente di psicologia
generale all'Università di Sassari.
Una
lunga narrazione attraverso le difficoltà del percorso di
pubblicazione, i messaggi che discendono dallo studio, l'analisi
critica della letteratura scientifica, l'autocritica, gli strumenti –
limitatissimi – di uno scienziato italiano... e Santa Lucia!
Ah
la conversazione stava per chiudersi con conseguenze negative ma...
-
Psychological Science
è stata l'ultima o l'unica rivista alla quale inviato il vostro
articolo?
Prima
di inviare l’articolo, abbiamo cercato di capire quali riviste
potevano essere interessate alla sua pubblicazione, cioè quali
riviste accettano contributi di questo genere. Si tratta infatti di
uno studio empirico, ma sui generis
(non prevede, cioè, il classico
esperimento o gruppo di esperimenti). Ci è stata consigliato di
inviarlo a Psychological Science.
Abbiamo provato ed è andata bene.
-
Quanto tempo è trascorso dall'invio del manoscritto alla
pubblicazione?
Abbiamo
mandato l'articolo il 6 marzo 2014 ed è stato accettato il 7 ottobre
2014 (pubblicato online a dicembre 2014). Abbiamo ricevuto la prima
review
(con i commenti di 5 revisori!!!) il 23 aprile, fatto le modifiche e
inviato nuovamente. Dopodiché l'attesa è stata piuttosto lunga.
L'editor
ha giustificato l'attesa dicendo che la decisione è stata
particolarmente difficile visto che le opinioni dei revisori
divergevano considerevolmente: si andava dal totale entusiasmo
("assolutamente sì!") all'opposizione feroce ("un
simile articolo non può essere pubblicato!").
E'
da notare che queste critiche (e - a dire il vero - anche alcune
delle lodi) erano maggiormente incentrate su quanto poteva essere
dedotto a partire dai nostri risultati (cioè che gli effetti del
bilinguismo sul controllo esecutivo potrebbero essere minori rispetto
a quanto suggerito dalla letteratura), piuttosto che sulla bontà del
nostro lavoro, la correttezza della metodologia, ecc. Abbiamo
riscontrato il medesimo atteggiamento nei commenti contenuti in varie
mail che ci sono state inviate dopo la pubblicazione del lavoro.
Le
critiche riguardavano le possibili conseguenze negative legate alla
diffusione del messaggio contenuto nel nostro articolo: questo
messaggio viene addirittura visto da alcuni come qualcosa in grado di
ostacolare il multiculturalismo e i processi di integrazione (o
persino di promuovere atteggiamenti xenofobi), che sarebbero invece
favoriti da quegli studi che mostrano vantaggi cognitivi del
bilinguismo. Alcuni dei sostenitori
di tale vantaggio sembrano avere una vera e propria fede in esso:
si parte dall'assunto che il vantaggio ci sia - a loro appare come un
dato incontestabile, assodato - e ciò che si propongono è
semplicemente di dimostrarlo, e non più di valutare se sia
effettivamente un fenomeno reale, robusto e non sia spiegabile da
altre variabili in gioco.
If you make a theory, for example, and advertise it, or put it out, then you must also put down all the facts that disagree with it, as well as those that agree with it. Richard P. Feynman
Questo,
come dicevo, è evidente nei commenti di alcuni revisori del nostro
lavoro e nelle lettere che ci sono giunte da altri (scienziati e
non). Tra questi, vi sono anche alcuni colleghi che ci hanno
confessato di aver ricevuto messaggi adirati da parte di ricercatori
che lavorano nel settore, proprio perché ritenuti responsabili della
pubblicazione di studi che, non avendo evidenziato un vantaggio dei
bilingui, gettano ombra su quei lavori che stanno invece facendo
“buona pubblicità” al fenomeno (l'unico altro argomento in grado
di dar luogo a simili reazioni - aggiunge uno dei colleghi- sono gli
articoli che deviano dalla "dottrina dei mirror
neurons"). Ovviamente, in
questo caso si tratta solo di notizie riferite (non ho avuto modo di
esaminare i messaggi in questione), ma sono compatibili con
l’atteggiamento che abbiamo talora riscontrato direttamente anche
noi.
Noi
siamo convinti che la possibilità di esprimersi in due o più lingue
sia qualcosa di estremamente positivo: permette di comunicare con un
maggior numero di persone, favorendo più ampi contatti e sviluppando
la capacità di comprendere culture diverse. Una maggiore diffusione
del bilinguismo è dunque un risultato assolutamente auspicabile e
non sono giustificati, sulla base delle evidenze a nostra
disposizione, i pregiudizi che alcuni genitori o altre figure
educative hanno nei confronti dell’apprendimento di una seconda
lingua (si vedano, ad esempio, le convinzioni circa un possibile
ritardo nello sviluppo linguistico in bambini bilingui). E’
inoltre certamente possibile che il bilinguismo (non necessariamente
o non solo a causa dell’innesco dei processi che permettono di
gestire due lingue) abbia delle conseguenze su meccanismi cognitivi
non linguistici: come tutte le abilità umane, anche il bilinguismo
necessariamente avrà un impatto a livello più generale, cioè anche
sui meccanismi non direttamente coinvolti.
Tuttavia,
siamo anche convinti che non si
possano promuovere politiche volte alla diffusione del bilinguismo
filtrando i risultati negativi o nulli e selezionando solo i
risultati che mostrano un vantaggio dei bilingui.
Termino
facendo una precisazione relativa alla situazione italiana. Molti
ritengono che questo tipo di ricerca possa incoraggiare
l’insegnamento delle lingue straniere (es. della lingua inglese),
aspetto così trascurato in Italia. Leggo anche molti articoli che
sottolineano, citando questi lavori, che i nostri bambini potranno
diventare più “intelligenti” grazie all’apprendimento di
un’altra lingua. Va però ricordato che nella gran parte delle
regioni italiane il monolinguismo praticamente non esiste (tant’è
che è ben difficile condurre questo tipo di ricerche qui: manca il
gruppo monolingue di controllo). Moltissime persone parlano un
dialetto oltre all’italiano. Secondo la teoria alla base di questo
tipo di ricerca è il fatto di alternare continuamente tra due idiomi
a sviluppare le capacità di controllo, e ciò dovrebbe avvenire
indipendente dal fatto che tali idiomi siano stati classificati come
“lingue” vere e proprie.
-
In un importante editoriale pubblicato su BMJ, Ben Goldacre (BMJ
2014;349:g7465) fa il punto sulle evidenze che provano come siano gli
stessi accademici i primi responsabili dell'esagerazione con cui la
stampa riporta le notizie scientifiche. I comunicati stampa inviati
dai laboratori universitari alle agenzie di stampa contengono già,
oltre ai risultati sperimentali, frasi tanto entusiastiche quanto
irrealistiche sull'impatto di quei risultati. Questa forzatura accade
non solo nel rapporto tra scienziati e giornalisti ma anche nel
rapporto tra scienziati che condividono lo stesso ambito di ricerca.
Difatti, nel vostro studio avete scelto di analizzare gli abstract
presentati alle conferenze scientifiche, che dovrebbero essere il
luogo delle dispute e delle discussioni. Eravate consapevoli, durante
lo svolgimento del lavoro di questo terzo messaggio fondamentale del
vostro studio cioè quello di promuovere l'analisi critica nelle
comunicazioni tra scienziati?
Decisamente
sì. Tra i motivi che ci hanno inizialmente spinti ad approfondire la
questione vi era senz'altro il desiderio di far chiarezza su una
credenza, quella relativa al vantaggio dei bilingui nei processi di
controllo inibitorio, che noi stessi abbiamo contribuito a creare.
Come sottolineiamo all'interno dell'articolo pubblicato su
Psychological Science,
"We ourselves are guilty".
Nel
2009, io e uno degli autori dell'articolo (Sergio Della Sala) abbiamo
pubblicato i risultati di un esperimento che suggeriva che i
partecipanti bilingui da noi analizzati avessero effettivamente
maggiori capacità di controllo inibitorio rispetto ai monolingui
(Treccani et al., 2009).
I partecipanti a questo esperimento,
tuttavia, avevano eseguito altri tre compiti basati sul controllo
inibitorio, ma in questi altri compiti non erano emerse differenze
tra bilingui e monolingui. Questi
ultimi risultati (nulli) non sono stati pubblicati.
L'articolo
di Psychological Science
contiene dunque un mea culpa.
A
questo proposito, invito a leggere un altro interessante mea
culpa (Klein, 2015) da parte di uno
degli autori del lavoro che ha dato inizio agli studi nel settore
(Bialystok et al., 2004). L'altra ragione che ci ha spinti a far
chiarezza sono proprio le discussioni (ufficiose) avute con i
colleghi durante varie conferenze scientifiche. Nella maggior parte
degli studi sul bilinguismo riportati in tali conferenze veniva messo
in luce un vantaggio cognitivo dei bilingui. Malgrado ciò, in
queste conversazioni informali, molti colleghi dichiaravano di aver
svolto studi in cui non avevano trovato alcuna differenza.
Abbiamo
cercato di approfondire (sempre in maniera abbastanza informale),
inviando per e-mail ad alcuni gruppi di ricerca una richiesta di
informazioni circa eventuali esperimenti non pubblicati in cui non
erano state riscontrate differenze. Abbiamo ricevute ben poche
risposte. A questo proposito è utile sottolineare che lo studio
pubblicato su Psychological Science
prevedeva anche un questionario inviato a tutti gli autori degli
abstract
di conferenze analizzati. In tale questionario venivano richieste
informazioni circa il motivo per cui il lavoro non era stato
pubblicato (es. il lavoro non era stato accettato dalla rivista a cui
era stato inviato, gli autori stessi avevano ritenuto che lo studio
fosse sufficientemente buono e non meritasse la pubblicazione o, al
contrario, ritenevano che, dati i risultati, lo studio non sarebbe
stato accettato, ecc..).
Anche
in questo caso, abbiamo ricevuto ben poche risposte. In realtà
abbiamo addirittura ricevuto un esplicito rifiuto a partecipare
all'indagine proprio da parte di Ellen Bialystok, cioè una delle
principali ricercatrici in questo ambito (possiamo anche dire colei
che ha dato avvio a questo tipo di ricerca) e che è a capo del
gruppo di ricerca più produttivo. Il rifiuto era accompagnato da una
spiegazione delle sue motivazioni (fondamentalmente, lei non riteneva
utile e sensata questo tipo di indagine). È
ovvio che non abbiamo dunque potuto avere le informazioni di cui
avevamo bisogno ed è altrettanto ovvio che, in
questo settore, ci sono dei grossi ostacoli all'analisi critica nelle
comunicazioni tra scienziati.
-
Il secondo messaggio concerne l'importanza della pubblicazione anche
dei risultati scientifici negativi per non incorrere
nell'amplificazione degli effetti di risultati parziali e non
replicati. Ti è capitato di incorrere nell'effetto 'file drawer' in
un precedente studio, com'è andata?
Come
dicevo poc'anzi, questo nostro lavoro parte proprio da un caso di
file drawer
di cui siamo responsabili. L’esperimento da noi pubblicato nel 2009
si basava su un compito di priming
negativo spaziale. In questo compito abbiamo trovato interessanti
differenze tra monolingui e bilingui (tra l’altro non
necessariamente nella direzione di un effettivo “vantaggio” di
questi ultimi). I partecipanti all’esperimento eseguivano però tre
altri compiti in cui non abbiamo trovato differenze.
Il
nostro articolo riporta solo l’esperimento nel quale le differenze
erano significative.
Che
dire... abbiamo pensato che gli altri compiti non fossero
sufficientemente sensibili, che coinvolgessero altre abilità nelle
quali le differenze tra bilingui e monolingui sono meno evidenti
rispetto alle funzioni di controllo inibitorio o, semplicemente, che
si trattasse di un errore di II tipo. In effetti, tra questi compiti
vi era anche un compito Simon,
cioè il compito per il quale, nel famoso studio di Bialystok et al.
(2004), venivano riportate differenze tra bilingui e monolingui
incredibilmente ampie: l’ampiezza dell’effetto, d
di Cohen, andava da 1,8 a 2,99!!! (un effetto che potremmo definire
miracoloso).
[l'articolo
dell'epoca sull'Economist:
Simon says. Bilingualism may protect the mind from deterioration in oldage]
E’
forse per il fatto che tali differenze erano così marcate che
l’articolo di Bialystok e collaboratori ha fatto tanto clamore e ha
stimolato l’enorme mole di studi che hanno fatto appunto seguito
alla sua pubblicazione. Le differenze riportate da Bialystok et al.
sono talmente ampie che sarebbero bastati un pugno di partecipanti
per poter ottenere con una buona probabilità differenze
significative (quindi era da escludersi o da ritenersi poco
verosimile l’ipotesi di una bassa potenza del nostro esperimento).
Tuttavia,
in studi successivi (taluni svolti dalla stessa Bialystok), simili
differenze tra bilingui e monolingui nel compito Simon
non sono state più riportate. A dire il vero, non si sono neppure
più riscontrate differenze nell’ampiezza dell’effetto
Simon (vantaggio delle prove
compatibili su quelle incompatibili): quando sono state trovate, le
differenze riguardavano altri aspetti, quali, ad esempio, il tempo di
reazione complessivo (dunque l’interpretazione stessa del vantaggio
dei bilingui è cambiata).
In
ogni caso, non era così chiaro quello che ci si doveva aspettare e,
visto che si trattava di uno short
paper, abbiamo optato per discutere
il solo esperimento che mostrava l’effetto. Successivamente,
tuttavia, abbiamo condotto un nuovo esperimento che utilizzava lo
stesso compito di priming
negativo spaziale in cui avevamo trovato differenze tra bilingui e
monolingui, ma non siamo riusciti a replicare l’effetto del
bilinguismo.
A
questo punto, era doveroso fare chiarezza sulla questione.
Devo
dire che ad insistere particolarmente sulla necessità di far
chiarezza è stato uno dei miei co-autori: Sergio Della Sala. Sergio
è molto sensibile al problema, dato anche, io credo, il ruolo che
riveste all’interno di Cortex
(se ne può parlare o è considerata pubblicità?). Questa rivista
negli ultimi anni si sta appunto impegnando nel cercare di fare in
modo che tutti i risultati dei “buoni” esperimenti siano
pubblicati, indipendentemente dal risultato (significativo o meno).
Si veda a questo proposito il nuovo tipo di articolo da loro
introdotto, cioè i registered
reports.
Devo
dire che il problema del file drawer
non si è posto per altri lavori a cui ho partecipato. In effetti
quello del 2009 è stato l’unico “quasi esperimento” che ho
condotto.
I
miei esperimenti riguardano aspetti come la selezione della risposta,
il response priming,
la rappresentazione delle conoscenze, l’elaborazione spaziale,
l’elaborazione implicita vs. quella esplicita, e in genere mi
interessa capire i meccanismi alla base di questi processi - non mi
occupo di differenza tra gruppi. In questi esperimenti, imperano
dunque le variabili entro i soggetti e solitamente li pianifico in
modo tale da non avere risultati nulli: se non mi aspetto un effetto
significativo in una certa condizione (o comunque ho il dubbio che
potrei non trovarlo), affianco a questa condizione una condizione di
controllo in cui mi aspetto senz’altro l’effetto, in modo da
ottenere comunque un’interazione significativa.
Sono
soddisfatta quando riesco ad escogitare un disegno sperimentale
relativamente elegante, che dia comunque informazioni nell’immediato,
qualunque sia il risultato (anche i risultati nulli informano, ma il
tipo di informazione che danno è ovviamente diverso e va letto alla
luce di tutti gli altri dati disponibili ottenuti in altri studi). Lo
ammetto, è questo il tipo di ricerca che mi diverte di più.
-
Il primo messaggio del vostro lavoro è che la teoria del vantaggio
cognitivo del bilinguismo si sia finora fondata su una distorsione
che ha portato a pubblicare su riviste scientifiche la maggior parte
dei risultati positivi (il 68%) e una minima parte dei risultati
negativi (29%) precedentemente presentati ai congressi. Per vantaggio
cognitivo si intende la dimostrazione che i bilingui siano più abili
dei monolingui a svolgere dei compiti che richiedono funzioni
cognitive superiori (controllo, inibizione dell'interferenza, memoria
di lavoro). Avete ulteriori dati al riguardo?
In
questo momento non mi sto dedicando ad altri studi empirici
sull’argomento. Il primo autore del lavoro pubblicato su
Psychological Science
(Angela de Bruin) sta però svolgendo il suo dottorato di ricerca su
questa tematica. Non mi pare che, per ora, abbia avuto successo nel
trovare significative differenze tra bilingui e monolingui. Si tratta
tuttavia semplicemente di un singolo lavoro. In ogni caso, proprio in
questi mesi stanno uscendo numerosi articoli che esaminano in maniera
critica la questione in una prospettiva più ampia. A questo
proposito, consiglio la lettura dell’articolo di Raymond Klein a
cui accennavo sopra (Klein, 2015) e dei lavori di Kenneth Paap (Paap,
2014, Paap, Johnson, & Sawi, 2014).
the early (pre-2011) evidence in favour of a BEPA [Bilingual Advantage= congruent RT for monolinguals minus that for bilinguals] may have been generated by a dual-edged publication bias: for papers whose narrative is consistent with that of an exciting series of studies by a world-famous expert and against papers reporting null results. Raymond M. Klein
-
Puoi descrivere il tuo laboratorio e gli strumenti di lavoro?
Beh...
diciamo che attualmente non ho un vero e proprio laboratorio.
Collaboro con vari gruppi di ricerca a cui mi devo obbligatoriamente
appoggiare per poter accedere a spazi, strumenti, materiali. Da
novembre 2012 faccio parte del Dipartimento di Storia, Scienze
dell'Uomo e della Formazione dell'Università di Sassari e sto ancora
cercando di organizzare il laboratorio di psicologia sperimentale
(dovremo in realtà partire con i primi esperimenti a breve). Mi
dedico comunque prevalentemente a studi comportamentali, quindi mi
bastano una stanza, un computer e un software per la programmazione
ed esecuzione di esperimenti che prevedono la registrazione dei tempi
di reazione. In generale, i partecipanti ai miei esperimenti sono
adulti, neurologicamente intatti, ma ho effettuato anche lavori con
pazienti (sempre adulti) con lesioni cerebrali.
- Quanti fondi di ricerca hai a disposizione ogni anno?
Attualmente
nessuno. Per ora, i miei colleghi a Sassari usufruiscono dei fondi di
ricerca distribuiti prima della mia assunzione. Per ottenere fondi mi
dovrò dar da fare con i vari bandi e progetti regionali, nazionali,
europei. Al momento non ho molto tempo da dedicare a questo genere di
cose. Ovviamente, tuttavia, senza fondi non posso sperare in una
anche minima autonomia di ricerca.
P.S.
So che con quest’ultimo commento mi gioco la tua simpatia e stima
(e forse anche l’amicizia in fb), ma leggendo la parte finale
dell’articolo di M. Konnikova [Isbilingualism really an advantage?]
mi sono cadute le braccia.
In
questa parte finale, lei dichiara che la differenza tra bilingui e
monolingui non sembra risiedere tanto nelle capacità dimostrate
durante lo svolgimento di determinati compiti, quanto nell’abilità
di contrastare il declino cognitivo dovuto all’età. In questo, le
differenze tra bilingui e monolingui sarebbero notevoli.
Ora,
le ragioni per cui i bilingui dovrebbero essere maggiormente protetti
dal declino sono le medesime che li dovrebbero avvantaggiare nei
compiti di controllo inibitorio. In effetti, i due fenomeni - se di
due fenomeni distinti possiamo parlare - vengono indagati con
strumenti simili e dai medesimi gruppi di ricerca, dunque è chiaro
che gli stessi problemi (tra cui, appunto, il pubblication
bias) potrebbero affliggere anche
questi studi (così come – diciamolo – gli studi in molti altri
settori).
In
realtà, nella nostra indagine noi non abbiamo escluso i lavori che
coinvolgevano anziani e le nostre considerazioni riguardano dunque
tutta la letteratura sugli effetti cognitivi non linguistici del
bilinguismo (potenziamento cognitivo in individui giovani-adulti e/o
rallentamento del declino in anziani).
È
chiaro che il messaggio non è arrivato completamente.
Ciò
è un preoccupante indice del fatto che questo tipo di fallacia può
interessare anche persone che sono abituate ad analizzare
criticamente i fatti.
Leggere
quella parte dell’articolo mi ha fatto pensare ad un aneddoto della
mia infanzia. Non ricordo esattamente l’età, ma ero piuttosto
grandicella. Ciononostante, ero ancora molto ingenua e tendevo a
credere ciecamente a tutta una serie di fenomeni magici. Rimasi molto
male quando un’amica di Milano mi disse, divertita, che c’erano
bambini della nostra età che ancora credevano a Babbo Natale. Anche
se da noi, a Brescia, Babbo Natale “non passava”, io ero appunto
convinta che Babbo Natale esistesse e si occupasse di altre zone
d’Italia. In ogni caso, mi ripresi subito (il credo a cui ero più
legata non era stato direttamente colpito) e risposi: “Come possono
crederci? E’ ovvio che Babbo Natale non esiste … per fortuna da
noi a portare i regali è Santa Lucia!” (mia madre, seduta lì
accanto, si scompisciò dalle risate – non gliel’ho ancora
perdonato).
Solo
la generosità nell'approfondimento delle risposte di Barbara mi ha
permesso di perdonarle questa critica – ahimé fondata -
all'adorata Konnikova.
Bibliografia
Bialystok,
E., Craik, F. I., Klein, R., & Viswanathan, M. (2004).
Bilingualism, aging, and cognitive control: Evidence from the Simon
task. Psychology and Aging, 19,
290–303.
Klein,
R. (2015). Is there a benefit of bilingualism for executive
functioning? Bilingualism: Language
and Cognition, 10,, 29-31
Paap,
K. R. (2014). The role of componential analysis, categorical
hypothesising, replicability and confirmation bias in testing for
bilingual advantages in executive functioning. Journal of
Cognitive Psychology, 26, 242–255.
Paap, K. R., Johnson, H.,
Sawi, O
(2014). Are
bilingual advantages dependent upon specific tasks or specific
bilingual experiences? Journal
of Cognitive Psychology, 26,
615-639.
Treccani,
B., Argyri, E., Sorace, A., & Della Sala, S. (2009). Spatial
negative priming in bilingualism. Psychonomic
Bulletin & Review, 16, 320–327.
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