domenica 30 giugno 2019

Thomas Quick: il mostro sul divano dell’analista




Una falsa psicoterapia può nuocere così come una falsa medicina.

Dove per falsa psicoterapia si intende la scelta deliberata e spesso dichiarata di adottare principi teorici non condivisi dalla comunità scientifica e clinica al fine di costituire un proprio sistema di interpretazione e cura del disagio, che rifiuta le verifiche oggettive e le controprove.

Tale scelta si accompagna al disconoscimento più o meno dichiarato di ogni principio etico e deontologico.

La scelta viene effettuata da un caposcuola che con le armi della persuasione e di una potente narrazione si circonda di adepti accuratamente identificati, che celebrano il sistema di credenze e lo applicano senza trasparenza in contesti clinici selezionati o anche apertamente nella comunità generale, predicando con abile opportunismo su eventi o notizie di rilievo. Quest’ultima strategia può incrementare notevolmente il numero di seguaci.

Se un determinato territorio è reso fertile dalla scarsità di conoscenze e di informazioni disponibili, quella scuola si fa sistema e, intrecciando rapporti con le istituzioni locali, instaura la sua rete di potere e di interessi economici in modo del tutto indisturbato.

Per riassumere, uno pseudopsicoterapeuta è chi decida di fare il bene proprio e della propria scuola, piuttosto che della persona che dovrebbe aiutare.



Sven Åke Christianson è nato nel 1954, dal 1996 è professore di Psicologia dell’Università di Stoccolma. All’attività accademica affianca quelle di scrittore e di consulente nei casi giudiziari. I suoi campi di interesse sono le memorie traumatiche, gli abusi su bambini e le tecniche del colloquio. Come riporta nella pagina del suo sito internet, ha collaborato con prestigiosi centri di ricerca internazionali, negli ultimi 20-30 anni ha partecipato come consulente tecnico nei tribunali e per trent’anni è stato collaboratore della polizia per guidare le tecniche di interrogatorio e il trattamento di vittime, autori e testimoni nelle indagini di omicidi e abusi sessuali.

Christianson e la collega psicoanalista Birgitta Stohle sono stati gli allievi più fedeli di Margit Norell e si sono sottoposti alle sue supervisioni fino a pochi mesi prima della sua morte, avvenuta nel 2005 all’età di 90 anni.

Margit Norell è stata una nota psicoanalista svedese. Negli anni ‘60 abbandonò l’Associazione degli psicoanalisti svedesi per fondare una propria associazione per la psicoterapia olistica e la psicoanalisi. Norell fu una sostenitrice delle terapie per riportare alla consapevolezza le memorie represse di abusi e traumi infantili, rese inconsce e inaccessibili che, inizialmente sviluppate da Breuer e Freud, divennero molto popolari negli Stati Uniti durante gli anni '80 e ’90. Sulla base di questa impostazione, Norell istruì la raccolta delle testimonianze da parte dei suoi allievi in diversi casi giudiziari svedesi. 
Tratta dal libro di Dan Josefsson


Gli approcci terapeutici alle memorie represse sono stati ampiamente dibattuti e confutati dalle evidenze che hanno dimostrato i rischi di impiantare ricordi nuovi e non corrispondenti alla realtà nelle persone in trattamento. L’impianto di falsi ricordi è stato studiato sperimentalmente da Elizabeth Loftus dalla metà degli anni ’90.

Lo scriveva già Silvia De Marchi nella sua tesi di laurea del 1924: "Considerato così il valore di una testimonianza, in relazione al ricordo che si ha di un fatto, abbiam riportate alcune esperienze a dimostrare: che la memoria inganna quasi sempre e che la persuasione sicura non è affatto indice di corrispondenza con la realtà".


Il riferimento è dunque a tutte quelle tecniche di suggestione, di alterazione farmacologica della coscienza e di manipolazione che alcuni pseudopsicoterapeuti possono mettere in atto per la fede nella propria teoria e per la scarsa attitudine metodologica alle dimostrazioni fattuali.

Tali soggetti non si conformano, intenzionalmente, alle indicazioni condivise dalla comunità scientifica e clinica sulla conduzione dei colloqui nei casi effettivi di traumi e di amnesia dissociativa (la specifica incapacità a ricordare esperienze traumatiche o fortemente stressanti della propria vita).


Norell ha seguito ostinatamente fino all’ultimo le sue teorie, distorcendo ripetutamente la realtà pur di poter dimostrare che fossero valide. Alla sua associazione ammetteva non solo psicologi ma anche ex-pazienti o altri professionisti che avessero dimostrato particolari abilità di empatia, dipendenza e persuasione. Una volta accolti nella sua cerchia si veniva riconosciuti come psicoanalisti. I casi dovevano essere discussi con lei che effettuava supervisioni settimanalmente.



Hannes Råstam è stato un premiato giornalista investigativo svedese. Nella prima parte della sua carriera aveva suonato il basso in un apprezzato gruppo rock. Morto a 56 anni per un tumore, era riuscito a vedere i risultati di quell’inchiesta che lo aveva tenuto sveglio per giorni e notti alla ricerca di documenti e cartelle cliniche.

A lui si deve la rivelazione del caso di Sture Bergwall/Thomas Quick, attraverso i documentari trasmessi dalla televisione svedese nel 2009 e il libro Thomas Quick The Making of a serial killer pubblicato in Svezia nel 2012, che ha ispirato il film The confessions of Thomas Quick diretto da Brian Hill nel 2015.

Il caso ebbe una vasta eco internazionale e anche da noi giornalisti e scrittori non si risparmiarono a commentarlo.

Quello che è mancato più spesso nella ricostruzione di questo drammatico caso giudiziario è il riferimento agli artefici, ossia a tutto quel sistema di psicoanalisti, poliziotti e avvocati che creò il serial killer Thomas Quick dalla coscienza alterata di Sture Bergwall. Gli strumenti furono: occupazione autorizzata della clinica psichiatrica da parte di un gruppo di psicoanalisti privati, alte dosi di farmaci, lunghi interrogatori in cui venivano suggerite e guidate le risposte, descrizioni e sopralluoghi in cui si trascuravano le più evidenti contraddizioni tra le prove e le dichiarazioni dell’imputato.

A questo ha pensato il giornalista Dan Josefsson, per continuare e onorare il lavoro del suo amico Hannes Råstam, attraverso il libro The Strange Case of Thomas Quick: The Swedish Serial Killer and the Psychoanalyst Who Created Him pubblicato in Svezia nel 2013.

Nel suo libro la descrizione degli artefici è dettagliata. Si tratta di una lettura difficile, in cui le lettere, gli estratti di documenti originali e le interviste ripercorrono oltre un decennio di false accuse che furono create sistematicamente nelle sedute psicoanalitiche e poi confermate da autorità sottomesse a un circolo di psicologi che agiva sulla base di teorie autoreferenziali e prive di alcun fondamento metodologico ed etico.


L'inizio dell'era Quick può essere datata all'aprile 1991, quando un tossicodipendente di nome Sture Bergwall fu condannato per furto e trasferito in un ospedale psichiatrico giudiziario a Sàter. Nell'autunno dello stesso anno, Bergwall iniziò la psicoterapia e l'anno successivo confessò i primi omicidi.

Sei mesi dopo, la polizia riaprì diverse indagini nell'arco di nove anni, con il risultato che Bergwall fu condannato in sei processi per otto omicidi.

Il giornalista Råstam non fu il primo ad avere dubbi sulla colpevolezza di Thomas Quick. Il criminologo Leif G. W. Persson segnalò alle autorità che l’ormai ribattezzato Thomas Quick era molto probabilmente un mitomane. Alcuni agenti di polizia furono dello stesso parere. Inoltre, nei media, il giornalista Dan Larsson aveva autopubblicato nel 1998 un libro in cui cercava di spiegare perché Thomas Quick era un bugiardo. Il suo collega Jan Guillou fu anche tra i critici, assieme a vari psicologi, avvocati e altri esperti che misero pubblicamente in discussione la credibilità di Quick. Si trattava comunque di una minoranza.

Quick da parte sua non aiutava: si era calato talmente nei panni del serial killer che rispondeva dispiaciuto ai dubbi sulla sua colpevolezza
"Anch'io sono un essere umano e come tale ho bisogno di conferme che sto facendo la cosa moralmente e giuridicamente più corretta con le mie confessioni. Anno dopo anno sono sottoposto a una troika di falsi guardiani della verità che affermano senza motivo che sono un mitomane […] tutto questo è e rimane troppo doloroso".

Poco prima che Quick interrompesse le confessioni e la collaborazione con la polizia, lo psichiatra Gàran Kållberg era tornato alla psichiatria giudiziaria di Sàter dopo una lunga assenza. Ipotizzando che le alte dosi di benzodiazepine avrebbero potuto essere all’origine delle false dichiarazioni di Quick, Kållberg ne ordinò la graduale sospensione.

Il 22 febbraio 2002 Quick sperimentò il primo giorno libero da farmaci dalla sua adolescenza degli anni '60. Cinque giorni dopo, riassunse il suo nome di nascita Sture Bergwall e si chiuse nel silenzio. Il procuratore Christer van der Kwast sapeva che senza la collaborazione di Quick non ci sarebbero stati ulteriori processi e decise a malincuore di chiudere l'indagine in corso.

Dopo un lungo lavoro investigativo Råstam incontrò Bergwall nell’estate del 2008. Bergwall iniziò a ritrattare le sue confessioni. Nel corso dell'anno e mezzo successivo, Hannes produsse tre documentari per la televisione svedese nei quali dimostrò che sei tribunali regionali avevano condannato all'unanimità un uomo innocente per otto omicidi.

L'avvocato Thomas Olsson annunciò a dicembre 2008 di voler riaprire per conto di Thomas Quick tutti e otto i casi di omicidio e lavorò gratuitamente, dal momento che Bergwall non aveva soldi.

In uno stato di diritto come la Svezia, sembrava incomprensibile come Bergwall avesse potuto essere condannato senza alcuna prova a suo carico. Non era affatto scontato ma la richiesta di un nuovo processo fu accolta all’unanimità da tre giudici.

Le condanne di Sture Bergwall risultarono essere prive di basi giuridiche.

Con l'aiuto di Thomas Olsson, Bergwall uscì scagionato da un processo dopo l’altro.

Il procuratore Christer van der Kwast e l'ispettore Seppo Penttinen avevano garantito ai tribunali distrettuali che le confessioni dei crimini di Quick erano coerenti e conclusive. In realtà tali confessioni, che si erano basate su domande suggestive durante i lunghi interrogatori, a una semplice revisione si mostrarono piene di contraddizioni ed errori.

Un anno e mezzo dopo la morte di Hannes Råstam, Sture Bergwall fu assolto dalla sua ultima condanna per omicidio.

Divenne chiaro che il “Gruppo Quick” - un selezionato circolo di inquirenti e psicoanalisti - aveva convinto un tribunale distrettuale dopo l’altro della colpevolezza di Quick, sulla base delle sue confessioni, costruite leggendo in biblioteca i giornali dell’epoca.

Il “Gruppo Quick” era formato dal procuratore Christer van der Kwast, la psicoterapeuta Birgitta Stohle, il commissario Seppo Penttinen, il professore Sven Christianson e l'avvocato penalista Claes Borgstrom. Altri psicoanalisti collaborarono nei vari anni, così come altri poliziotti e sempre nel silenzio dell'ospedale psichiatrico giudiziario dove Bergwall scontava la sua pena.

In un'intervista con il giornalista Mattias Gàransson nell'estate del 2011, Råstam spiegò: "Dove la legge e la psicologia si incontrano, si presentano storie irresistibili”.

Il Gruppo Quick non è rimasto minimamente scalfito dalla revisione dei processi: Penttinen, van der Kwast e Christianson hanno continuato a insistere sul fatto che le condanne erano giustificate, Borgstrom non ha rimpianti, Birgitta Stohle e gli altri psicoterapeuti che trattarono Bergwall hanno taciuto.


"Come paralizzato guardo l'immagine speculare del mio essere, 
che non lo è".
Thomas Quick, nel manoscritto inedito di Margit Norell 
sul mondo di Thomas Quick


Bergwall aveva avuto due principali psicoterapeuti, il medico Kjell Persson e la psicologa Birgitta Stohle. Persson lo aveva curato dall'autunno del 1991 alla primavera del 1994. Poi aveva lasciato la clinica. Stohle si era allora occupata di Bergwall fino a quando non aveva interrotto la terapia nel 2002 su sua richiesta.


La professoressa di psicologia forense Anna Dåderman incaricata dall’avvocato di Bergwall di esaminarne le cartelle cliniche ha criticato gli alti dosaggi di farmaci e ha rintracciato le tecniche suggestive e manipolatorie di recupero delle memorie represse. Nella sua relazione, Dåderman ha sottolineato che i pazienti che ricevono forti sedativi sono particolarmente inclini ai falsi ricordi.

Birgitta Stohle ha negato nel 2010 queste evidenze: "La critica espressa da Anna Dåderman rivela alcune ipotesi di base per quanto riguarda i miei metodi di terapia. [...]si basa su fatti falsi […] Nel mio lavoro di psicologa, non ho usato questo metodo né l'ho mai affrontato in teoria o nella pratica."

Birgitta Stohle aveva sempre registrato le sue sedute di terapia con Sture Bergwall ma sia il pubblico ministero che la direzione dell’ospedale hanno informato che i documenti sono stati distrutti.

Tuttavia, le cartelle cliniche di Sture Bergwall, le lettere e altri documenti originali confermano sia le lunghe regressioni per far emergere dall’inconscio i (falsi) ricordi, sia gli interrogatori suggestivi, sia le supervisioni di Margit Norell.

Da un articolo di Birgitta Stohle: "La narrazione del crimine è il linguaggio subliminale che riflette ciò che è nascosto all'interno del paziente" e "Tutti i ricordi non integrati e non elaborati che il paziente ha soppresso devono trovare espressione e forma".

L’articolo si trova in una raccolta che porta anche una dedica della psicoterapeuta Cajsa Lindholm, vicina a Margit Norell:

per Sture
Grazie per aver condiviso la vostra storia con noi.

Cajsa

Per alcuni anni Bergwall fu il principale argomento degli incontri di Norell con i suoi seguaci.

Da un manoscritto di Margit Norell, Josefsson riporta:
"Sture aveva scelto Kjell Persson come terapeuta, e ho accolto con favore questa scelta, anche se Persson non aveva una formazione in psicoterapia".

Norell, pur essendo una psicoanalista che lavorava privatamente, era così influente da approvare le scelte di una clinica psichiatrica giudiziaria.

E Norell prosegue nel manoscritto: "Prima di iniziare la terapia, Sture non aveva ricordi del tempo prima che avesse tredici anni. Il contatto con gli omicidi che ha commesso (il primo all'età di quattordici anni) è stato stabilito solo come parte della terapia. Non era mai stato sospettato prima e non è mai stato oggetto di un'indagine della polizia. Non appena un omicidio e le circostanze esterne nella terapia divennero sufficientemente chiare per lui, Sture chiese alla polizia stessa di ascoltarlo e di iniziare l'indagine. I ricordi degli omicidi sono venuti alla luce come la psiche di Sture permetteva. Poi è iniziata l'indagine della polizia. Parallelamente agli omicidi, i ricordi traumatici della prima infanzia – in particolare il quinto e sesto anno di vita del paziente – hanno preso forma e sono stati riportati dallo stato di spostamento, a volte in modo molto drammatico."

Nel manoscritto è riportata anche la descrizione di una seduta del 1995 di Birgitta Stohle con Bergwall: “Sture fa parte dell'azione e la descrive attraverso gesti, linguaggio del corpo e parole. Il suo volto è distorto dalla paura della morte, la bocca spalancata. Io, Birgitta, posso comunicare con Sture. Quindi, anche se è in profondità nella regressione, ha ancora contatto con il presente. La prima pugnalata colpisce il lato destro e viene effettuata dalla madre. Il padre poi cerca il coltello”.



Tratta dal libro di Dan Josefsson

Quindi non è vero che non si fosse basata sulla teoria delle memorie represse nel suo lavoro clinico con Bergwall.

Norell era considerata dai suoi allievi come una sorta di "madre" e richiedeva obbedienza totale. Se qualcuno osava criticarne i metodi, poteva essere espulso dall’associazione.

"Aveva questa capacità unica di costruire una relazione con le persone che incontrava" sono le parole di Sven Christianson su Margit Norell.

Christianson faceva parte del Gruppo Quick come scienziato esperto della memoria e, tranne una pausa di un anno, vi rimase fino al silenzio di Bergwall nel 2002. Negli anni ha pubblicato diversi libri e articoli, tra cui testi di psicologia forense e nel 2009 il libro "Nella testa di un serial killer" (I huvudet p en seriem'rdare): la storia è proprio quella di Sture Bergwall ma la testimonianza è attribuita a un assassino anonimo.

Avrebbe dovuto essere, nell’idea dell’autore, il testo di riferimento internazionale sulla "personalità del serial killer" ed è un falso.

Tratta dal libro di Dan Josefsson


Christianson è stato consulente anche in altri casi giudiziari contestati. Eppure, continua impassibile a giustificare le sue idee e, come professore universitario, a insegnare: quali tecniche, quali pratiche, quali verifiche, quale deontologia?

Josefsson dell’intervista con Christianson riporta anche la sua descrizione dell’incontro con Margit Norell: “mi sono messo in contatto con Margit. E questo ha cambiato la mia vita. […] volevo entrare in analisi con "una persona anziana al fine di prevenire il transfert e il controtransfert […] Il rapporto che abbiamo costruito l'uno con l'altro era l'ideale sotto ogni aspetto". Margit aveva ottanta anni all'epoca. Nei successivi dieci anni, Christianson l’avrebbe incontrata una volta alla settimana.

Per Josefsson, Christianson, nel suo ruolo di esperto, aveva venduto le tesi di Margit in tribunale come scienza, sostenendo che le confessioni di Sture non potevano essere sbagliate in nessuna circostanza.

E Christianson, aggiungeva su Norell: "Ad oggi, non ho incontrato nessuno con una competenza comparabile. Da un lato, era molto esperta, ma soprattutto ha avuto questo incredibile talento nello stabilire connessioni tra le informazioni più diverse. [...] Margit era non convenzionale e autonoma."

Scrive Josefsson:

Nel corso della nostra conversazione, Christianson ha parlato quasi senza eccezione di "Sture" e non di "Thomas Quick". Quando gli ho chiesto perché, ha detto che il nome Quick è stato utilizzato principalmente dal grande pubblico e dai media. Per lui, era diverso. "Penso che sia la prova che avevamo costruito un rapporto reale tra di noi", ha detto.

Christianson ha anche specificato: "Ho semplicemente testimoniato come esperto sul comportamento dei serial killer in generale. Ho esaminato la sua memoria solo una volta concretamente".

In realtà Christianson aveva condotto alcuni interrogatori e aveva partecipato ai sopralluoghi sulle tracce delle vittime.

Incalzato da Josefsson sulle tecniche di recupero delle memorie represse di Norell, Christianson minimizza, nega e si contraddice ma restano i suoi articoli e i suoi libri per la formazione di "assistenti sociali, funzionari di polizia, avvocati, operatori sanitari e infermieristici, ...”.

Difatti, nell'introduzione a uno dei suoi testi, Christianson scrive: "La confessione delle sue azioni coinvolge emotivamente Thomas Quick. È un processo doloroso ed estenuante. Non solo deve scoprire i ricordi dei suoi crimini, no, allo stesso tempo si rende conto di ciò che sta dietro, vale a dire le aggressioni sessuali a cui è stato sottoposto da bambino”.


E Sture Bergwall, credeva alle proprie confessioni?

Josefsson lo ha chiesto alla professoressa Anna Dådermann, secondo la quale Bergwall fu in grado, inizialmente, di distinguere tra verità e bugie, ma poi, quando iniziò l’effetto delle alte dosi di farmaci la realtà e la finzione si fusero insieme.

Quale vantaggio poteva trarre dalle confessioni? 

Oltre alla sedazione data dai farmaci, nel suo stato di dipendenza, otteneva attenzioni, ammirazione, rispetto.


Al caso di Sture Bergwall/Thomas Quick è stato dedicato anche un articolo pubblicato qualche settimana fa sul Postgraduate Medical Journal del BMJ: The man who confessed he was a serial killer.


Non è solo come disse Råstam: "Dove la legge e la psicologia si incontrano, si presentano storie irresistibili”.

Quando queste narrazioni raggiungono estensioni temporali e incrostazioni istituzionali di vasta portata, il distacco dai fatti, dai dati oggettivi e di realtà diventa funzionale al mantenimento di quel sistema di credenze condiviso come se fosse un patto di fedeltà. I membri del Gruppo Quick continuano, difatti, a sostenere che erano nel giusto anche di fronte alle ripetute assoluzioni di Bergwall. Continuano a mantenere le proprie posizioni e a svolgere le stesse delicate attività, come nel caso di Christianson che è stato protagonista di almeno un altro discusso caso giudiziario. Il suo prestigio lo protegge da ogni ripercussione. Forse, a causa di tutto il lavoro investigativo del giornalista Råstam, dovrà solo rinunciare a diventare il teorico mondiale della personalità del serial killer.


Come mai c’è voluto tanto tempo e tanto sforzo per smascherare un sistema che agiva nell’interesse della propria teoria e del proprio circolo e nel disinteresse del paziente?

Se le ingiustizie non avessero riguardato un tossicodipendente, ci sarebbero state conseguenze anche per i membri del Gruppo Quick?

Quanti sono ancora oggi gli psicoterapeuti che applicano le tecniche suggestive di recupero delle memorie represse?


Tra le domande, restano dei punti fermi in questa storia nera:

- le condanne e l’incarcerazione prolungata di un innocente sono state causate da un gruppo formato da psicoanalisti, poliziotti e avvocati e non da un generico errore giudiziario;

- le terapie delle memorie represse non hanno alcun fondamento e possono causare l’impianto di falsi ricordi di abusi e traumi mai verificatisi;

- il recupero delle memorie di traumi e abusi effettivamente accaduti e attivamente rimossi avviene attraverso metodi rigorosi e controllati da psicoterapeuti esperti;

-  una falsa psicoterapia può nuocere come una falsa medicina.
 
Giugno 2021: ne ho parlato con Antonio Iovane, autore del podcast Impostori, in #5 Sture Bergwall: l'uomo che voleva essere un serial killer

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