I pensatori europei ci dissero che le loro culture erano migliori, che erano i proprietari del pensiero e della ragione e sposarono queste convinzioni con l’idea di appartenere a una razza superiore.
È
quanto scrive Angela Saini nel Prologo di Superior: The Return of Race
Science [1] pubblicato quest’anno e che sarà tradotto in italiano nel 2020.
Il libro è una disamina approfondita di come gli scienziati siano ricorsi e, in
certi casi, ancora ricorrano a distorsioni metodologiche o a manipolazioni di
dati e fatti per dare parvenza di validità alla loro ideologia razzista.
Uno
dei casi analizzati è quello di Richard Lynn che nel 2018 si è visto revocare
il titolo di professore emerito dall’Università dell’Ulster, in Irlanda del
Nord, un provvedimento tardivo per l’ormai quasi novantenne ex professore di
psicologia, se si pensa che le proteste di studenti e attivisti “anti-nazisti”
(secondo la sua stessa definizione) iniziarono negli anni ‘90. Attraverso una
lunga lista di pubblicazioni su riviste scientifiche e libri continuamente
citati, Lynn ha dedicato la sua carriera a dimostrare che gli europei e in
generale le popolazioni nord-occidentali abbiano un’intelligenza superiore in
termini di Quoziente Intellettivo (QI), rispetto all’Europa meridionale e
orientale, e di seguito all’Asia e all’Africa.
Il
metodo di Lynn si basa su una tautologia messa in atto attraverso misure
indirette e inattendibili, pregiudizi nella selezione dei campioni, analisi
statistiche artefatte in modo da ottenere sempre risultati conformi ai
pregiudizi di partenza. Lynn è stato finanziato da gruppi di estrema destra, ha
partecipato a conferenze di eugenetica negli Stati Uniti e nel Regno Unito ed è
sostenuto da un folto numero di colleghi. Le sue tesi sono state smentite e
dismesse dal complesso di studi non ideologici e rigorosi sull’intelligenza e
sul QI, che rappresentano i costrutti più documentati e solidi della
psicologia.
Insomma,
la geografia dell’intelligenza di Lynn non ha alcun fondamento scientifico.
Se si condividono le sue conclusioni prive di validità si è parte del problema.
Jonathan
Marks nel libro Is Science racist? [2] sostiene che il perseverare del
razzismo nella scienza dovrebbe essere considerato “un problema bioetico” e poi
aggiunge che “quando la scienza scende a compromessi con la verità, la sua
autorità culturale si corrode rapidamente”.
Se
l’imposizione di categorie razziali che giustifichino e perpetuino le
disuguaglianze sociali ed economiche ha trovato terreno fertile tra scienziati,
tenuti a dimostrare – pur con pratiche corrotte e metodi fallaci – le loro
ipotesi, non sorprende che le teorie psicologiche distanti dal metodo
scientifico abbiano coltivato in modi altrettanto creativi e approfonditi il
razzismo e la superiorità dell’uomo europeo.
La
razionalizzazione della gerarchia razziale in campo psicologico si è difatti
articolata in due diramazioni: la via “scientifica” centrata sull’intelligenza,
percorsa da Lynn e molti altri, e la via psicodinamica centrata sulla psiche,
percorsa da Carl Gustav Jung.
A
queste due vie fa cenno Farhad Dalal all’inizio dell’articolo del 1988 [3], con
il quale, per primo, denunciò “Il razzismo di Jung”. Dalal
documenta attraverso numerose citazioni dalle opere originali dello psicologo svizzero
la teoria secondo la quale
i neri, per Jung, erano inferiori e non solo diversi. […] Ma sarebbe un errore assumere che nel campo della psicoterapia l’accusa di razzismo possa essere diretta solo a Jung e alle sue teorie. Ho scelto di focalizzarmi su di lui per la sua popolarità e perché il suo razzismo è invisibile ai, e non riconosciuto dai, moderni junghiani....
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