Se pensiamo alle vite di scienziate e scienziati, più spesso visualizziamo persone chiuse in laboratorio o che al più frequentano spazi ristretti di vita. Queste immagini ci vengono anche dalle narrazioni stereotipate di rinunce e sacrifici, di austerità e isolamento creativo, che hanno per protagonisti molti più uomini che donne di scienza per la verità.
A loro volta queste narrazioni si sono
ispirate ai reperti storici di uomini votati alla scienza come necessaria scelta
sacerdotale. Come scrive Angela Saini nel libro Inferiori, “La
tradizione che prevedeva il celibato maschile nei monasteri medievali si
perpetuò nelle università di Oxford e Cambridge fino alla fine del XIX secolo.
Ai professori non era consentito di sposarsi. A Cambridge si sarebbe atteso
fino al 1947 prima che fossero assegnate lauree alle donne sulla base delle
stesse regole applicate agli uomini”.
Tale
scelta di ritiro dalla mondanità doveva quindi escludere le donne non solo come
colleghe ma anche come possibili tentatrici: “Si pensava anche che la
semplice presenza delle donne potesse disturbare il serio lavoro intellettuale
degli uomini”.
Da
allora ci siamo evoluti fino a ritenere che le donne possano essere ammesse ufficialmente
alla scienza e ai suoi onori, purché manifestino condotte virtuose e morigerate
e che si vestano e adornino con misura.
In
questo scenario il film ‘Marie Curie’ della regista Marie Noëlle, in uscita il 5
marzo, è destinato a rompere parecchi stereotipi e a far tremare non poche
credenze ancora attuali. Il film racconta il periodo della vita della scienziata
di origine polacca che va dal 1903, quando ricevette a Stoccolma il primo
premio Nobel – in fisica per la scoperta della radioattività - assieme al
marito Pierre Curie, al 1911 quando tornò a Stoccolma a ritirare il suo secondo
Nobel - in chimica, per la scoperta del radio e del polonio.
Ricostruendo le lettere
e i documenti originali, Noëlle ha voluto affiancare al
fervore per le scoperte scientifiche, all’insegnamento in fisica generale concessole
non senza malumori all’Università Sorbona e all’incontro con Einstein durante il
famoso Congresso Solvay del 1927, l’appassionata relazione tra Marie Curie,
vedova dal 1906 dopo la morte accidentale di Pierre, e il matematico Paul
Langevin, sposato e padre di quattro figli.
La regista alterna i due sfondi,
quello familiare di unione, sopravvivenza ai lutti e amore per la conoscenza e
la natura a quello scientifico di esclusioni in quanto donna, di ostacoli alla
realizzazione dei suoi progetti scientifici e applicativi e di condanna perché causa
immorale di pubblico scandalo. Uno scandalo che le procurò continui attacchi da
parte della stampa, nonché il consiglio dell’Accademia svedese – non ascoltato
- di evitare di presentarsi alla cerimonia di ricevimento del secondo Nobel. Sono
molto evocative le scene del film in cui Curie si reca a Stoccolma con la
figlia Irène e pronuncia fiera il suo discorso di accettazione. Irène, nell’uscire
assieme alla madre, si volta ad osservarla quella sala dove lei tornerà nel 1935,
assieme al marito Frédéric Joliot, a ritirare il premio Nobel per la chimica.
Nel film ci sono alcune
composizioni di immagini che sottolineano i momenti salienti di un’evoluzione
personale e di un’emancipazione sessuale che accompagnano la maturazione
scientifica.
Un esempio è dato da due
scene, nella prima e nell’ultima parte del film, dove Curie/Gruszka passa
da uscire frettolosamente dalla vasca da bagno col lungo camicione a entrarvi con
passo lento e deciso mentre la figura si staglia eretta, svestita del camicione.
L’attrice Karolina
Gruszka riesce a incarnare con luminosità la determinazione, il dolore,
la sensualità, la disperazione e la lungimiranza di Marie Curie che ha
affrontato la scienza e la vita con la stessa passione e con lo stesso
coraggio. Lei possedeva, innate, elevate quantità dell’una e dell’altro verso
la vita e verso la scienza ma, se le cerchiamo, sono distribuite in diverse
dosi in ciascuna e ciascuno di noi.
La regista Marie Noëlle
richiama a cambiare la prospettiva sulla narrazione delle vite delle scienziate - ma anche di quelle degli scienziati - che sembrano troppo spesso imprigionate negli
scafandri intrecciati dagli stereotipi di chi osserva.
Nelle note al film Noëlle scrive: “piuttosto che limitarci a fornire uno sguardo retrospettivo su una vita fuori dal comune, volevamo raccontare la lotta di una donna per essere riconosciuta, una lotta che l’ha portata a negare molti aspetti del suo essere donna per poter seguire la propria passione per la scienza”.
E aggiunge: "Il successo di Marie Curie fu tollerato fintanto che lei si prodigò devotamente e altruisticamente nelle sue ricerche accanto al marito. Una volta rimasta sola, diede scandalo osando mostrare i propri sentimenti, e fu costretta a imparare che ragione e passione non sono compatibili. L'esperienza di Marie Curie è esemplare per la vita di tutte le donne impegnate in settori tradizionalmente maschili. Perfino al giorno d'oggi".
Nelle note al film Noëlle scrive: “piuttosto che limitarci a fornire uno sguardo retrospettivo su una vita fuori dal comune, volevamo raccontare la lotta di una donna per essere riconosciuta, una lotta che l’ha portata a negare molti aspetti del suo essere donna per poter seguire la propria passione per la scienza”.
E aggiunge: "Il successo di Marie Curie fu tollerato fintanto che lei si prodigò devotamente e altruisticamente nelle sue ricerche accanto al marito. Una volta rimasta sola, diede scandalo osando mostrare i propri sentimenti, e fu costretta a imparare che ragione e passione non sono compatibili. L'esperienza di Marie Curie è esemplare per la vita di tutte le donne impegnate in settori tradizionalmente maschili. Perfino al giorno d'oggi".
Ulteriori letture:
- su Queryonline, L'inferiorità delle donne e la scienza
- su Valigia Blu, Donne e scienza: storie da raccontare
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