In questi mesi di pandemia abbiamo dovuto leggere diverse interpretazioni apparentemente bizzarre sulla diffusione del virus SARS-CoV-2 in diversi gruppi di popolazione. “Poiché la disinformazione su Covid-19 si diffonde quasi con la stessa rapidità del virus”, commentava la giornalista scientifica Angela Saini nella sua Newsletter di aprile, “ci siamo trovati di fronte al rischio di supposizioni oziose sul motivo per cui determinati gruppi di persone si ammalino più rapidamente di altri” o più lentamente di altri. Si riferiva al Regno Unito ma anche sulla nostra stampa nazionale abbiamo visto concretizzarsi questo ulteriore rischio di falsa informazione avvolto da un’aura scientifica.
“È possibile che i giovani africani siano un po’ come i bambini da noi: si infettano come tutti gli altri ma non si ammalano”.
“Perché i neri che vivono a Bergamo non si ammalano di Covid-19? Mentre gli afroamericani del Sud degli Stati Uniti si ammalano addirittura di più dei bianchi?”
“La ragione precisa non la sappiamo, ma se ritorniamo ai tempi di Lincoln dovremmo finire per concludere che non è stata una buona idea ridurre in schiavitù gli africani e portarli a vivere negli Stati Uniti. Negli ultimi 300 anni li abbiamo resi suscettibili a molte malattie di cui loro nel loro ambiente non soffrivano”.
Sono alcuni degli esempi pubblicati pressoché senza reazioni della comunità scientifica e ai quali poi se ne sono aggiunti altri che disquisivano sulle diverse manifestazioni dell’infezione nel centro e sud Italia rispetto al Nord.
Nelle situazioni di incertezza, osservare in modo esteso i dati aiuta a dare spiegazioni più informate e meno contaminate da un pregiudizio di superiorità, che può restringere pesantemente l’attenzione verso quello che accade fuori dal proprio mondo e creare disuguaglianze, ad esempio, nell’accessibilità a un vaccino, o dalla fallacia di rappresentatività, che imbastisce generalizzazioni a partire da campioni poco rappresentativi.
La situazione si è rivelata, difatti, più complessa: per la diffusione della Covid-19 tra i neri e gli ispanici americani, e in generale per le minoranze di un paese, è stata esclusa una vulnerabilità innata e sono emersi chiaramente fattori sociali e ambientali; per l’andamento del contagio in Africa era solo questione di tempo perché la situazione evolvesse e ora le preoccupazioni si stanno intensificando. Dopo tutti questi mesi si è provati oltre che dal nuovo coronavirus dalla disinformazione diffusa a mezzo stampa da esperti più o meno noti.
Il ruolo del “Mankind Quarterly”
C’è di più: con toni meno moderati le stesse disquisizioni hanno trovato spazio su riviste notoriamente razziste, foraggiate da movimenti di ultra-destra. Richard Lynn e Gerhard Meisenberg sulla famigerata rivista Mankind Quarterly hanno scritto “ci aspettiamo che nei paesi in cui i diversi gruppi etnici differiscono notevolmente nella loro intelligenza media, i gruppi con un’intelligenza media inferiore abbiano tassi di mortalità più elevati rispetto a quelli con un’intelligenza media più alta”.
In Superiori, Il ritorno del mito della razza, pubblicato nella traduzione italiana da Harper Collins lo scorso ottobre, Angela Saini scrive che “distorcere i fatti per adattarli a un punto di vista ideologico sarebbe diventata una consuetudine per il Mankind Quarterly”.
La lettura, lo studio e la divulgazione di questo libro sono quanto mai necessari per far riconoscere e affrontare le spinte ideologiche della disinformazione che si sono sprigionate anche durante la pandemia.
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