domenica 3 luglio 2022

Se sbagli, non nasconderti

 

Errore dopo errore / Sono qui per imparare canta Meg in Forte Fragile che segna il suo ritorno sulla scena musicale a sette anni dal suo ultimo Imperfezione e a cinque dal disco dal vivo Concerto ImPerfetto.

 


 

La capacità di imparare dagli errori resta confinata all’attitudine individuale a modificare e aggiustare i propri operati e le proprie traiettorie, in particolare dove non vi è ricompensa o motivazione estrinseca che spinga a correggersi. Se siamo predisposti a quell’attitudine siamo in grado di fare i conti apertamente con i nostri errori e beneficiarne, altrimenti possiamo mettere in atto ogni sorta di fuga, occultamento o dissimulazione per distanziarcene. L’istruzione superiore pare aver messo da parte il riconoscimento dell’umana fallibilità e l’insegnamento delle modalità di gestione degli errori necessario a dare a ogni persona gli strumenti per accettarli e affrontarli. Anzi, per quanto non formalmente, talvolta insegna a ridicolizzare le persone che commettono errori. Sembra paradossale per il luogo che più dovrebbe allenare al pensiero critico.

L’umiliazione pubblica è un comportamento diffuso e per niente proporzionale all’entità degli errori. Ne consegue che ondate di derisione possano essere scatenate per un banale errore grammaticale mentre errori con ben più gravi conseguenze restino nell’ombra.

Intendiamoci, se l’ironia è una modalità per socializzare un errore, lo scherno ha lo scopo di degradare l’altro da sé, di dileggiare chi appartiene a un gruppo diverso dal proprio. Inoltre, come abbiamo sperimentato durante la pandemia, lo scherno può mirare a confondere intenzionalmente l’opinione pubblica per diffondere disinformazione. Ma questa, assieme alle frodi scientifiche è un’altra storia.

La derisione pubblica come risposta all’errore in buona fede ne ostacola il riconoscimento e alimenta vergogna in chi sbaglia e stigma verso chi sbaglia.

Questo accade frequentemente nel mondo universitario in cui, dati questi insegnamenti informali, nessuna studentessa e nessuno studente si sogneranno mai di rilevare esplicitamente gli errori propri e altrui nelle procedure e nei risultati di ricerche scientifiche proposte, condotte e pubblicate da docenti e responsabili di laboratorio o dipartimento. Potrebbe nuocere al proseguimento degli studi e alla propria carriera.

Julia Strand, docente di psicologia al Carleton College negli Stati Uniti, in un articolo del 2021 aiuta a chiarire due concezioni degli errori e le loro implicazioni. 

“Nell'approccio personale (o, come lo chiama Dekker in The Field Guide to Understanding Human Error (2017), la "teoria della mela marcia dell'errore umano"), gli errori sono attribuiti a negligenza, dimenticanza o disattenzione di un individuo. L'approccio sistemico, invece, pensa agli errori come conseguenze, non come cause; cioè, gli errori sono "l'inevitabile sottoprodotto delle persone che fanno del loro meglio in sistemi che contengono a loro volta molteplici vulnerabilità sottili" (Dekker, 2017, p.4). L'approccio personale può essere allettante perché di solito è possibile identificare qualcuno che è responsabile. Fornisce inoltre una facile risoluzione quando si verificano errori: indirizza semplicemente la colpa a chi ha commesso l'errore. Tuttavia, l'approccio personale può fare ben poco per ridurre sistematicamente la probabilità di errori futuri. Pertanto, prevenire errori futuri richiede un approccio sistemico e concepire gli errori come carenze nei nostri flussi di lavoro, piuttosto che come fallimenti degli individui”.

Strand è un esempio di come si possa rimediare ai propri errori condizionati dalle pressioni di un sistema che spinge a produrre ricerche senza sufficienti verifiche e cautele. Dopo aver pubblicato nel 2018 uno studio di impatto nel suo settore – la percezione del linguaggio parlato – si rese conto, nel tentativo di replicarlo un anno dopo, di avere commesso un errore nella programmazione dell’esperimento. La correzione dell’errore annullava completamente l’effetto che le aveva portato apprezzamenti, riconoscimenti e un finanziamento del National Institute of Health

Scioccata, imbarazzata e mortificata per avere inquinato la letteratura scientifica e sprecato il tempo di tante persone, dopo essersi chiesta se fare finta di niente e non rivelare l’errore, decise di contattare le persone coinvolte e rendere pubblica la sua storia perché avrebbe potuto aiutare altre persone nella stessa situazione. La sua carriera non è stata compromessa: ha ottenuto il ruolo di docente, ha mantenuto il finanziamento e la rivista su cui era stato pubblicato l’articolo ha inserito una revisione. Da allora Strand ha creato una guida con esercizi pratici per identificare gli errori in cui si può incorrere nelle diverse fasi di una ricerca ed è attiva nella sensibilizzazione delle nuove generazioni di ricercatori e ricercatrici.

“Le persone spesso si preoccupano del fatto che se aprono il loro codice e i loro dati, gli errori verranno trovati, ma questo è davvero il punto: dobbiamo aprire il codice e i dati perché è così che è possibile trovare gli errori” ha scritto Dorothy Bishop – docente di neuropsicologia dello sviluppo all’Università di Oxford appena festeggiata per il suo pensionamento, mentore di grande generosità e attiva promotrice di pratiche scientifiche di integrità e riproducibilità – nell’articolo del 2018 dal titolo Fallibility in Science: Responding to Errors in the Work of Oneself and Others.

Difatti, solo attraverso la diffusione di una cultura e di un sistema di scienza aperta “scopriremo che tutti sono fallibili. La reputazione degli scienziati non dipenderà dal fatto che ci sono difetti nella loro ricerca, ma da come rispondono quando vengono rilevati quei difetti”. In fondo, aggiunge Bishop: “la critica è la base del metodo scientifico. Non dovrebbe essere personale: se si devono riportare problemi con i dati, i metodi o le conclusioni di qualcuno, ciò dovrebbe essere fatto senza implicare che la persona sia stupida o disonesta".

Il cambiamento è iniziato ma ci troviamo ancora in un sistema che difficilmente tollera gli errori, non offre vantaggi reputazionali alla correzione degli errori propri e altrui a vantaggio dell’integrità scientifica, non incentiva il lavoro collaborativo, non prevede figure professionali che contribuiscano a identificare errori prima e dopo la pubblicazione, anzi se può ostacola, molesta, cita in giudizio chi oggi lo fa in modo indipendente e volontario.

Di certo gli insulti non rappresentano quella motivazione estrinseca che può far emergere e incentivare l’attitudine alla correzione degli errori. Normalizzano lo stigma anziché la fallibilità umana.

“La mia regola generale” conclude Bishop “è che non dovremmo mai usare la presa in giro o l'abuso personale contro altri scienziati che commettono errori onesti: tale comportamento rafforza solo la riluttanza delle persone ad essere aperti sugli errori. Né dovremmo presumere che la mancata replica di un risultato sia un segno di scarsa scienza nello studio originale; piuttosto, è un'indicazione che è necessario fare più lavoro per stabilire se, e in quali condizioni, il risultato è solido. Ma i buoni ricercatori non esiteranno a notare i difetti nel proprio lavoro scientifico e nel lavoro degli altri. La critica è il fondamento del metodo scientifico”.

 

Che vanto avrai

ch’io mi consume

al chiaro sol de tuoi bei lumi?


 

 

 


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