sabato 9 settembre 2023

La copertura mediatica della violenza sessuale resta avvitata sui miti e dimentica le donne

 

Il modo in cui i mezzi di informazione riportano le notizie di cronaca su episodi di violenza contro le donne può condizionare le reazioni individuali, sociali, politiche e giudiziarie. Il modo in cui tali notizie sono commentate sui mezzi di informazione e sui social media da opinionisti e pubblici intellettuali può condizionare l’impatto momentaneo e l’accettazione di stereotipi, luoghi comuni, disinformazione. Quando il fatto di cronaca arriva in tendenza, rimanendo all’attenzione per più giorni, si trasforma in una propagazione continua di rappresentazioni mediate che avrebbero il potenziale per cambiare la percezione della violenza contro le donne e scardinare stereotipi e luoghi comuni, se non si limitassero a riprodurli e ad amplificarli.

È quel tipo di progressione verificatasi in questi ultimi giorni a partire dalla notizia dello stupro subito da un’adolescente a Palermo. Un meccanismo spietato che è già pronto a ripiombare sui drammatici fatti di Caivano.

Se la copertura dei media, inclusi i commenti di opinionisti e intellettuali pubblici, è un indicatore delle convinzioni e degli atteggiamenti di una comunità sulla violenza contro le donne ed è lo spazio per misurare i cambiamenti delle norme sociali che la rinforzano, questo ultimo episodio dimostra che c’è ancora molto da fare affinché la violenza contro le donne sia percepita come un problema sociale sistemico.

Quella a cui abbiamo assistito è una narrazione monolitica concentrata sulle responsabilità individuali dei perpetratori, carente di contesto, mancante delle informazioni sulle donne più a rischio di subire violenza, priva di riferimenti al fatto che la violenza contro le donne non colpisce solo la sopravvissuta o la vittima, indifferente ai racconti di altre sopravvissute e in cui sono state sistematicamente omessi i rimandi ai servizi di aiuto per le donne che stanno subendo violenza e molestie.

La copertura è stata sostanzialmente improntata al sensazionalismo come ha nitidamente scritto Arianna Ciccone il 22 agosto: “Il sensazionalismo è ormai parte integrante del nostro sistema mediatico. Di fondo il giornalismo italiano, come sistema ripeto, non è in grado di gestire questi casi nel modo responsabile che richiedono”. Le linee guida per una copertura responsabile della violenza contro le donne, come ricorda Ciccone, sono state e sono completamente ignorate. Questo diventa particolarmente pericoloso in un’epoca in cui la cronaca di atti violenti costituisce uno dei principali prodotti attraverso i quali i media dominanti ingaggiano il pubblico.

I dati del Ministero dell’Interno mettono in evidenza che per l’Italia le violenze sessuali, “a fronte di un decremento nel 2020 rispetto all’anno precedente, mostrano un andamento in costante incremento nel biennio successivo” per arrivare a +11% nel 2022.

C’è un ulteriore aspetto che non riguarda il giornalismo ma il ruolo dell’esperta/o pubblica/o. Perché quelle responsabilità individuali sono state di volta in volta attribuite al mito del disagio giovanile, alla distruzione generazionale provocata dal mondo digitale e dai social media, a semplificazioni sul porno, a psicodiagnosi estemporanee. Una miscela perniciosa di miti, pregiudizi e disinformazione in cui la responsabilità sociale della violenza contro le donne non ha fatto capolino. Anche in questo caso, l’adesione a linee guida e codici deontologici è stata completamente sacrificata al conservatorismo delle proprie tesi – spendibili in ogni occasione propizia - e all’influenza sociale.  

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